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Il dibattito intellettuale e gli ostacoli sulla via dell’unificazione.

Nel documento Nenni uomo di governo (pagine 131-145)

Il 1966 doveva essere, e sarebbe stato, l‟anno della riunificazione ma prima Nenni ed il PSI dovettero affrontare una crisi di governo generata dall‟ennesimo scontro interno in casa democristiana. Le dimissioni presentate dal Ministro degli Esteri Fanfani erano state respinte (con voto di fiducia) a larga maggioranza, ma le frizioni tra Moro ed i fanfaniani restavano notevoli1; il governo infatti cadde il 21 gennaio 1966 sul disegno istitutivo della scuola materna statale. Il nuovo esecutivo, sempre guidato da Moro, nacque il 23 febbraio e, oltre a Nenni vicepresidente, la compagine socialista era rappresentata da Pieraccini (Bilancio), Mancini (Lavori Pubblici), Mariotti (Sanità), Corona (Turismo e Spettacolo). Agli Esteri restò Fanfani, agli Interni Taviani, al Tesoro Colombo. Il PCI prese atto della conclusione della crisi decidendo di “spostare l‟attenzione e la polemica sul programma e di sviluppare un‟azione propagandistica verso il PSI e i DC di base”, ritenendo che dalla crisi di governo uscisse decisamente “screditata l‟unificazione socialdemocratica”2. Proprio l‟unificazione tra PSI e PSDI divenne il tema caldo del confronto politico, anche se già da qualche anno il dibattito tra gli intellettuali era più che mai aperto. Dall‟autunno del 1964 a quello del 1965 la rivista “Tempi Moderni” aveva infatti ospitato un dibattito dedicato all‟azione socialista in Italia; era stata una discussione di carattere generale sul rapporto tra socialismo e democrazia, sulla politica di piano, sulla politica del centrosinistra e ovviamente sulla costituente socialista, con l‟obiettivo di individuare le diverse strade da percorrere per sostenere ed articolare nuovi centri decisionali democratici. Alla “tavola rotonda” parteciparono diversi intellettuali i cui interventi sono stati raccolti nel volume “Costituente aperta, le nuove frontiere del socialismo in Italia”3

. Non tutti trattarono nello specifico il tema dell‟unificazione; tra coloro che lo fecero, il più critico fu Giolitti

“si avverte l‟incongruenza di una proposta come quella della unificazione socialista. Vedremo tra poco come essa sia del tutto sfasata rispetto a quelli che sono i problemi reali del movimento operaio e di una politica socialista in Italia. Ma basta il primo confronto con quello che è lo stato attuale dei partiti, con tendenze e le forze che si muovono al loro interno, con i motivi e gli orientamenti reali delle convergenze e delle divergenze, per vedere che quella operazione, nell‟attuale stato delle cose, non farebbe altro che riprodurre e irrigidire vecchi

1

P. Nenni: “Tutto continua a ruotare attorno all‟antagonismo Fanfani-Moro nonostante gli scambi di amorosi sensi dell‟uno per l‟altro. Ed è questo il lato deteriore delle cose”, P. Nenni, “Gli anni del centrosinistra. Diari 1957-1966”, Sugarco, Milano 1982, pag. 582.

2

Verbale n. 3 della riunione dell‟Ufficio Politico del PCI del 22 febbraio 1966 a cui parteciparono Longo, Alicata, Amendola, Berlinguer, Ingrao, Napolitano, Novella, Pajetta e Pecchioli, Istituto Gramsci, microfilm n. 018, fascicolo 4081. 3

schemi, creando una soprastruttura artificiosa ed esasperando i contrasti reali, in conseguenza di una fusione che sarebbe motivata dalla affinità fonetica delle sigle dei due partiti”4,

mentre Carabba, ponendo il problema della risoluzione della crisi del centrosinistra, sosteneva la necessità di non limitare a PSI e PSDI la costituzione di una nuova forza politica che potesse offrire una nuova prospettiva unitaria per il movimento operaio ma di aprire subito, in termini concreti, un confronto tra tutti i partiti socialisti “dal PSDI al PSI, al PSIUP al PCI” per elaborare una strategia ed una tattica comuni: “spinge a questo la crisi dello schieramento politico di maggioranza, la pressione della situazione economica, la dinamica dei rapporti di classe nel nostro paese”5

. Dello stesso avviso era Lauzi che però nel suo intervento incluse anche la DC tra quelli che potevano essere gli interlocutori del PSI nello “sviluppare un dialogo esteso lungo l‟arco dell‟intero movimento operaio”:

“una possibile alternativa d‟opposizione allo svuotamento della politica di centrosinistra presuppone nel PSI, a mio giudizio, la capacità di sviluppare un dialogo dal PCI, al PSDI, alla DC nella misura in cui quest‟ultimo partito è rappresentante di istanze popolari (e lo è indubbiamente in misura notevole), nell‟intento di promuovere un vasto schieramento socialista e, nel contempo, di proporre una politica che si ricolleghi, attraverso l‟approfondimento dei temi della programmazione democratica, ai contenuti originari del centrosinistra”6.

Partendo dall‟elezione di Saragat al Quirinale, che aveva rappresentato una netta battuta d‟arresto per il gruppo dirigente democristiano ed una vittoria delle forze laiche e socialiste, Orsello valutava l‟unificazione “come la naturale espressione di un processo da tempo iniziatosi ed oggi giunto alla logica dell‟evidenza”; la originalità della sua analisi sta nella scelta degli interlocutori: escludendo il PSIUP, “perché l‟unificazione socialista non può non farsi che sulla base di una scelta politica che il PSIUP ha rifiutato proprio con il suo sorgere”, bisognava coinvolgere, oltre ai socialisti del PSI e del PSDI, “i repubblicani, i movimenti regionali democratici, gli ex radicali e «Democrazia liberale»”7

. A prescindere dagli interlocutori, per Albanese si trattava invece di raccordare l‟azione del partito alla politica di centrosinistra e di

“fare in modo che l‟unificazione socialista ci dia una struttura politica nuova: a) che per la sua organizzazione decisionale costituisca un effettivo superamento di quella situazione di confusione e di carenza che è alla base dello svuotamento e della crisi delle istituzioni politiche; b) che, inoltre, riesca ad elaborare una strategia di azione socialista capace di dare contenuto alla partecipazione socialista al centrosinistra e di rappresentare una soluzione soddisfacente ai gravi problemi politici del paese”8.

4

A. Giolitti, “Fini e mezzi dell‟azione socialista in Italia: alcune osservazioni preliminari”, in R. Guiducci/F. Onofri,

“Costituente aperta, nuove frontiere del socialismo in Italia”, Vallecchi, Firenze 1966, pag. 41.

5

M. Carabba, “Necessità di nuovi indirizzi politici per il movimento operaio”, Ibidem, pag. 84. 6

G. Lauzi, “Centrosinistra e alternativa d‟opposizione”, Ibidem, pag. 108. 7

G. Orsello, “La sinistra democratica e l‟unificazione socialista”, Ibidem, pag. 190. 8

A chiudere la tavola rotonda, gli interventi dei due autori della raccolta Onofri e Guiducci. Onofri affermò che il processo di costituzione di “un‟alternativa socialista” era “molto complesso” ed andava ben al di là di semplici formule di partito e di programma:

“non sono così sicuro che si possa ancora parlare di «alternativa socialista» e di «socialismo», nell‟accezione che risulta di prevalente uso corrente. Se è vero che lo sviluppo della democrazia italiana va tendenzialmente verso una qualche forma di bipartitismo, è coerente con questa prospettiva asserire che tale processo metterà capo a un‟alternativa socialista? E‟ dubbio. Tutto, mi pare, dipende dai modi e dai tempi secondo cui si ritiene prevedibile o si immagina tale processo. Ipotizzare un‟alternativa socialista, imperniata su una formula di partito e di programma che sia una sorta di dilatazione dell‟attuale nucleo PSI-PSDI unificato, mi sembra limitativo. Che questo nucleo sia allo stato attuale ciò che si vede di più certo sulla linea che conduce al bipartitismo, non significa, mi pare, che l‟alternativa possa costruirsi per successive agglomerazioni ed estensioni di detto nucleo senza modificarne e caratteristiche e sostanza”9

.

Era già in atto, per Onofri, un “grandioso processo di adeguamento della società politica alla società civile” che per essere un processo di profonda democratizzazione di tutta la società italiana aveva bisogno di tutte le forze politiche propulsive che avrebbero dovuto guidarlo ed avrebbero dovuto realizzarlo, e questo richiedeva, naturalmente,

“una coerente trasformazione nei metodi e nel funzionamento del partito inteso non già come una associazione di uomini che ispirandosi a una certa dottrina da questa ricavano le linee principali della loro azione, bensì come strumento di scelte politiche operative, ricavate da una analisi sempre più approfondita dei rapporti sociali in cui quelle scelte si pongono, e strumento insieme di azione trasformatrice di tali rapporti sociali attraverso l‟esercizio di poteri che solo la partecipazione sempre più ampia e consapevole degli interessati a tutti i livelli può rendere democratica ed efficace”10.

Sulle prospettive del socialismo legate al mondo industriale, Guiducci aveva già scritto in “New Deal socialista” in cui aveva svolto la sua analisi allargandola su scala mondiale11

; da quel testo, nell‟ambito del dibattito della tavola rotonda sull‟unificazione, riprese il tema di una “cooptazione” molto ampia delle altre forze che, assieme al PSI, avrebbero dovuto avere, come obiettivo finale, la costruzione di un vero e proprio “modello socialista” nell‟ottica di quella che definì “una grande sinistra”:

“resta valida l‟ipotesi che sia possibile proporre una «grande sinistra» che vada ben oltre l‟unificazione PSI- PSDI e tocchi e inglobi la sinistra DC, il PRI, buona parte dello PSIUP e raccolga soprattutto tutta una serie di gruppi di pressione, di tecnici, di specialisti a tutti il livelli del paese, di operatori economici che accettino la programmazione democratica proposta dai socialisti, di quadri e di gruppi consistenti dello stesso PCI che vedano, per la prima volta, una apertura alternativa alle loro attuali funzioni direttive o attivistiche ora sterilmente congelate (…). La nascita di una «grande sinistra» italiana democratica è, quindi, condizionata dalla

9

F. Onofri, “Socialismo e alternativa democratica”, Ibidem, pag. 345. 10

Ibidem, pag. 357. 11

R. Guiducci: “Da qui la necessità di un New Deal, a scala nazionale e mondiale, che comporti la critica e la trasformazione di entrambi i sistemi e modelli, oggi vigenti sia nell‟occidente capitalistico che nell‟oriente comunistico, opposti tra loro, ma ugualmente basati sul dominio autocratico dell‟industria”, “New Deal socialista. Valori e strumenti per un piano a lungo

unione, in clima temperato, di forze già incluse nella sinistra democratica, e da forze nuove e preparate, presenti nell‟area socialista della società civile”12.

Per Guiducci quindi, la Costituente socialista, “se concepita e condotta a questo livello, in questo contesto di forze e di interessi in movimento”13, avrebbe potuto costituire “il luogo di coordinamento e di raccolta”14

di una grande sinistra italiana. Per il momento, però, il tema dell‟unificazione restava limitato al PSI e al PSDI.

Mentre l‟Ufficio Politico del PCI auspicava “la costituzione di un gruppo autonomo socialista che potesse raccogliere le forze orientate a non entrare nel nuovo partito che stava nascendo”15

, gli organi dirigenti del partito socialista cominciarono a discuterne agli inizi di marzo 196616 e proseguirono per l‟intera estate, ma già dall‟inizio risultarono evidenti i punti su cui era necessario fare chiarezza e che ancora presentavano poche certezze e molte ombre17. Il primo riguardava la politica estera ed in particolare la guerra in Vietnam: in occasione del dibattito alla Camera sulla fiducia al nuovo governo, ci fu un duro scontro tra Tanassi da una parte ed Ingrao ed Amendola dall‟altra18

; Tanassi, riferendosi alla linea precisa e categorica dei laburisti inglesi “che non hanno biasimato neppure la ripresa dei bombardamenti imposti dalla oltracotanza di Hanoi”, auspicava “una larga comprensione verso gli USA impegnati nella difesa della libertà”19

; il suo discorso fu subissato dagli ululati di proteste che si levarono dai banchi comunisti: “Sei peggio di Moro” gli urlò Ingrao, mentre Amendola sottolineò che “la posizione del PSI sul Vietnam è molto diversa”20

. Amendola aveva colto nel segno, ed in effetti nel successivo intervento di De Martino, che per l‟ennesima volta rivendicò la necessità di mantenere “equidistanza tra Est ed Ovest”, emerse chiaramente quello che Spadolini definì su “Il Resto del Carlino” “un complesso di inferiorità [del PSI] nei confronti del comunismo che non esiste nella socialdemocrazia”21. L‟intervento

12

R. Guiducci, “Per una costituente socialista della sinistra italiana”, in R. Guiducci/F. Onofri, “Costituente aperta, nuove

frontiere del socialismo in Italia”, Vallecchi, Firenze 1966, pag. 335-337.

13 Ibidem. 14

Ibidem. 15

Verbale n. 6 della riunione dell‟Ufficio Politico del PCI del 15 marzo 1966 a cui parteciparono Longo, Alicata, Amendola, Berlinguer, Ingrao, Napolitano, Novella, Pajetta e Pecchioli, Istituto Gramsci, microfilm n. 018, fascicolo 4081.

16

Dagli appunti di Nenni, riunioni della Direzione del PSI dell‟8, 9 e 10 marzo 1966, ACS – Fondazione Nenni, serie governo, busta 98, fascicolo 2267.

17

“Differenze [quelle tra PSI e PSDI] che riguardano grossi temi come la politica estera, i rapporti col comunismo, le giunte comunali e provinciali, il sindacato, l‟economia di mercato e così via. Cosicché, se la riunificazione si farà prima che queste divergenze siano appianate, si rischia non di creare un partito «nuovo» socialista, ma di federare due partiti socialisti, col pericolo, che è ricorrente nel socialismo italiano, di nuove scissioni”, La Civiltà Cattolica, 5 febbraio 1966, anno 117, quaderno 2775, vol. I, n. 3.

18

Resoconto del dibattito parlamentare della seduta di sabato 12 marzo 1966, “Atti Parlamentari, Camera dei deputati, IV

Legislatura, Discussioni”

19

G. Spadolini, “Complessi”, Il Resto del Carlino 13 marzo 1966. 20

Ibidem.

21 G. Spadolini: “E l‟equidistanza tra Est ed Ovest, che il PSI ha rivendicato anche in questa occasione, non coincide affatto con la linea di aperto e leale occidentalismo che il partito, per tanti anni guidato dall‟onorevole Saragat, ha continuato ad opporre a tutti i fantasmi del neutralismo impotente”, Ibidem.

di Tanassi fu criticato da Nenni (“una nota stonata”)22

che invece definì “eccellente”23 quello di De Martino. Sul Vietnam quindi, ma più specificamente sui rapporti con gli USA e sulla NATO, la linea dei due partiti non era convergente24. Ed inoltre, quali sarebbero stati i rapporti col PCI del nuovo partito unificato alla luce di valutazioni così distanti tra PSI e PSDI su questioni importanti come la politica estera?25 Questo era il punto cruciale su cui i dirigenti dei due partiti avrebbero dovuto confrontarsi (e scontrarsi) in maniera più dura. Un altro episodio, citato ancora da Spadolini nel suo articolo e verificatosi sempre in occasione del dibattito parlamentare sulla fiducia, confermava che il rapporto col PCI sarebbe stato uno dei nodi principali da sciogliere in vista dell‟unificazione; quando Malagodi, parlando delle Regioni, paventò la possibilità di giunte regionali frontiste “da Piacenza alle porte di Roma”26

, Tanassi dichiarò “Non faremo mai giunte coi i comunisti”27. “Questo impegno De Martino non lo ha mai preso per i socialisti”28

fu la replica di Malagodi. A giugno ci sarebbero state le amministrative (tra le principali città Roma, Firenze, Genova, Bari) e bisognava quindi decidere in fretta se presentare o meno liste unitarie. La linea di Nenni era chiara: accelerare sul processo di unificazione per giungere alla data delle amministrative del 12 giugno con liste unitarie. Si scontrò però sia con i dubbi sollevati in Direzione da Ferri29, Matteotti e soprattutto Lombardi30, sia con la linea Tanassi31; non mancò inoltre di destare perplessità tra i commentatori moderati32 e scatenare dure critiche da parte comunista. In un editoriale su

22

P. Nenni, “Gli anni del centrosinistra. Diari 1957-1966”, Sugarco, Milano 1982, pag. 610. 23 Ibidem.

24

C. Martucci, “La strada dell‟unificazione si fa sempre più difficile”: “Le divergenze tra i due Segretari socialisti, quindi, hanno provocato perplessità prima che sotto l‟aspetto dell‟esistenza o meno di un‟unità di indirizzi di politica estera nel governo, sotto quello dei rapporti dei due Partiti socialisti unificandi. (…) D‟altra parte numerosi deputati socialisti, conversando con i giornalisti, hanno sottolineato stasera che una delle prime cose da fare per avviare l‟unificazione è quella di stabilire una comune linea di politica estera”, Il Mattino 13 marzo 1966; A. Giovannini, “La via qualunquista al socialismo”: “(…) Ciò dimostra che quando si esce dalle considerazioni puramente strumentali per affrontare problemi di fondo della politica interna e internazionale, divergenze tra socialisti e socialdemocratici riaffiorano e diventano operanti. E una considerazione del genere può dar ragione a chi ritiene che l‟unificazione per riuscire vitale e definitiva, non deve essere una operazione meccanica che si risolve e si afferma in accordi e compromessi al vertice, ma deve realizzarsi dopo un ampio dibattito di base”, Roma 13 marzo 1966.

25

Oltre a De Martino, il tema del neutralismo e dell‟equidistanza veniva spesso ripreso e riproposto da Lombardi secondo cui la vecchia piattaforma neutralista aveva rappresentato in passato “l‟apparente singolarità (che non fu mai anomalia ma originalità) del PSI rispetto a tutti gli altri partiti socialisti in Europa ed era stata uno dei motivi di fondo per cui mai fummo né siamo comunisti ma anche per cui non siamo né potremmo divenire socialdemocratici”, in S. Colarizi (a cura di), “R.

Lombardi, scritti politici, 1963-1978”, Marsilio, Venezia 1988, pag. 63.

26

G. Spadolini, “Complessi”, Il Resto del Carlino 13 marzo 1966. 27

Ibidem. 28

Ibidem. 29

Dagli appunti di Nenni: “Ferri non si sente di prendere subito posizione per le liste uniche. Non è contrario, ma il problema va discusso”, ACS – Fondazione Nenni, serie partito, busta 98, fascicolo 2267.

30 Dagli appunti di Nenni, Intervento di Lombardi nella riunione della Direzione del PSI dell‟8 marzo 1966: “Con la socialdemocrazia c‟è stata una sola esperienza comune: quella dei governi di centrosinistra con i s.d. su posizioni sempre moderate”, Ibidem.

31

P. Nenni: “Per parte sua Tanassi mi dice che le liste uniche sono possibili soltanto a unificazione compiuta. In queste condizioni non si può che andare alle urne separati”, “Gli anni del centrosinistra. Diari 1957-1966”, Sugarco, Milano 1982, pag. 610.

32

P. Gentile, “Col cappuccio sulla testa”: “(…) La discussione tra gli interessati è stata allora trasportata su un altro terreno: e cioè se si debbano porre le questioni controverse o se si debba invece andare dritti nell‟organizzazione della procedura

“l‟Unità” Mario Alicata ribadì che le divergenze tra i due partiti non erano legate ad aspetti secondari, ma riguardavano contenuti di carattere “ideologico e politico”; se, nonostante i distinguo di De Martino rispetto alla posizione espressa alla Camera da Tanassi, il PSI e Nenni parlavano di “chiarimento intervenuto e posizioni ormai largamente comuni”, questo poteva significare una cosa soltanto: che essi consideravano “marginali” e “non qualificanti” le posizioni rispetto al problema vietnamita. “Ma hanno essi coscienza del carattere aberrante di questa tesi?” si chiese Alicata, “possono essi negare che le posizioni assunte dal PSDI e da Tanassi non investono soltanto un problema di tattica di fronte a questo conflitto (…) ma investono problemi di principi e di strategia generale su tutti i principali e più scottanti problemi del mondo contemporaneo? (…) Sono problemi ai quali il PSI ha dato, anche negli ultimi anni, una risposta che non coincide con la nostra, ma che è profondamente diversa da quella data dal PSDI, dalla Internazionale socialista e ribadita ora con provocatoria arroganza da Tanassi come la posizione del PSDI. Basterebbe questo” concluse Alicata, “a dimostrare quanta ragione abbiamo a considerare la fusione PSI-PSDI come una liquidazione del PSI e del suo patrimonio ideale e politico”33

. Sui tempi e sulle modalità del processo di unificazione il partito continuò a discutere anche in sede di Comitato Centrale. Per Ferri un primo passo in avanti era stato fatto in occasione della risoluzione della crisi di governo quando c‟era stata “la prima sperimentazione di un‟azione comune” ma ora era necessario procedere per gradi, nominare la delegazione del Comitato Centrale per il comitato interpartitico e concedere allo stesso “un mese o due per presentare le sue conclusioni alla Costituente”. Le liste uniche per Ferri restavano legate ai tempi dell‟unificazione34. Pieraccini invece, parlò genericamente di concludere l‟operazione nel corso del 1966 dichiarandosi favorevole alle liste uniche35

. Mentre alcune Federazioni invitavano il Comitato Centrale ad un “massimo sollecito impegno”36

nella conclusione del processo e fornivano il loro “contributo” al processo di unificazione37, Nenni svolse il suo intervento (molto chiaro, circostanziato, in cui toccò tutti i

organizzativa dell‟unificazione rimettendo, ad unificazione avvenuta, ogni decisione. L‟onorevole Nenni, che è un consumato pilota a quanto si dice, sarebbe per l‟appunto di questo avviso. Egli vorrebbe portare il suo partito all‟unificazione come si portano in pista i cavalli ombrosi: con un cappuccio sulla testa”, Corriere della Sera 13 marzo 1966.

33

M. Alicata, “Con slancio coraggioso”, l’Unità 13 marzo 1966. 34

Dagli appunti di Nenni, Intervento di Ferri nella riunione del Comitato Centrale del PSI del 22 marzo 1966, ACS – Fondazione Nenni, serie partito, busta 98, fascicolo 2267.

35

Dagli appunti di Nenni, Intervento di Pieraccini nella riunione del Comitato Centrale del PSI del 23 marzo 1966: “In questo iter, le elezioni di giugno si debbono fare in liste comuni”, Ibidem.

36

Dagli appunti di Nenni: telegrammi della Federazione di Piacenza e della sezione di Trastevere, Ibidem. 37

“Contributo delle federazioni potentine del PSI e del PSDI alla unificazione socialista, luglio 1966”: “Il partito a cui

Nel documento Nenni uomo di governo (pagine 131-145)

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