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Il Piano Solo 132

Nel documento Nenni uomo di governo (pagine 87-103)

Lo scandalo SIFAR – De Lorenzo esplose all‟inizio del 1967, ma già nel corso dell‟estate del 1964 “L‟Espresso” aveva pubblicato due articoli sulle “voci” che circolavano circa un‟eventuale ingerenza delle forze armate durante il tentativo di risoluzione della crisi politica che avrebbe poi portato alla costituzione del secondo governo Moro133. Il primo era una sorta di viaggio all‟interno delle forze armate che poneva alcuni interrogativi (“con la notizia della crisi di governo s‟era diffusa anche una voce preoccupante: s‟era alla vigilia d‟un colpo di stato della destra, appoggiato da generali e colonnelli?”134

), riferendo anche di una corrispondenza inviata da Roma al giornale amburghese “Die Welt”, in cui l‟autore, tracciando un quadro a forti tinte degli ultimi avvenimenti italiani, riportava una voce d‟una “diffusa irrequietezza degli alti ufficiali delle forze armate”135

. Il secondo articolo, non firmato, era ancora più dettagliato e ricco di indiscrezioni e gli interrogativi erano ancora più circostanziati:

“E‟ vero che il paese è stato sull‟orlo del colpo di Stato? Che le dichiarazioni del Presidente del Senato Cesare Merzagora, l‟incomposto agitarsi dell‟on. Pacciardi, i ripetuti colloqui dell‟on. Segni col comandante dei carabinieri e col Capo di Stato Maggiore dell‟esercito durante i giorni della crisi, fossero tutti episodi legati l‟uno all‟altro, indirizzati ad uno stesso fine eversivo degli ordinamenti costituzionali? Quale contenuto ha realmente quest‟ipotesi gravissima che lambisce il vertice delle nostre istituzioni democratiche? Per chi esamini freddamente la condizione politica dell‟Italia del 1964 e le forze che in essa si muovono e si confrontano, la risposta è semplice: l‟ipotesi del colpo di Stato non aveva alcune possibilità di concreta attuazione”136.

L‟articolo poi si chiudeva con una sorta di difesa del Presidente Segni che in nessun caso, a differenza del suo predecessore Gronchi137 “(quand‟anche glielo consentissero le sue personali convinzioni, il che certamente non è) potrebbe favorire una soluzione antipartitica,

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M. Franzinelli: “La ragione della denominazione del Piano Solo, sulla quale fioriranno ipotesi leggendarie, è chiarita dal generale Cento, interlocutore diretto di De Lorenzo nella fase d‟incubazione del progetto: «Se siamo impegnati soltanto noi, chiamiamolo così», “Il Piano Solo”, Mondadori, Milano 2010, pag. 92.

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Per una lettura diversa della crisi politica del luglio 1964, non esclusivamente incentrata sull‟analisi del Piano Solo, ma basato su una più approfondita analisi della situazione socio-economica, si veda il saggio di E. Cavalieri “I piani di liquidazione del centrosinistra nel 1964”: “E‟ stato però trascurato il contesto economico «eccezionale» in cui avvenne la formazione del secondo governo Moro, durante le fasi finali di una delle più gravi crisi valutarie della storia dell‟Italia repubblicana. Mentre sono note le difficoltà create dalla crisi della lira all‟esistenza del primo esecutivo di centrosinistra organico tra il gennaio e il giugno 1964, il ruolo cruciale giocato dalle questioni economiche nel luglio 1964 non è stato ancora sufficientemente evidenziato. L‟allarme per la «congiuntura» fu invece il principale fattore di aggregazione del gruppo eterogeneo – composto da politici, militari e industriali – che in quelle settimane si attivò per il ridimensionamento dell‟esperimento di centrosinistra. Fu tale preoccupazione a spingere il Presidente della Repubblica, Antonio Segni, a cercare alternative concrete al centrosinistra, con la collaborazione del Presidente del Senato, Cesare Merzagora”, in Passato e

Presente, aprile 2010.

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C. Gregoretti e S. Mazzolini, “Colonnello non voglio il «golpe»”, L’Espresso 12 luglio 1964. 135

Ibidem. 136

“Il mancato colpo di Stato”, L’Espresso 2 agosto 1964. 137

“Non soltanto egli non era il candidato ufficiale del suo partito, ma la sua elezione fu addirittura imposta alla DC. Questa circostanza segnò definitivamente i connotati politici del settennato presidenziale dell‟on. Gronchi; dal quale pertanto ci si potevano attendere anche iniziative che andassero al di là dei partiti stessi e della loro dialettica. E tale fu in effetti l‟episodio che prende il nome dall‟on. Tambroni e che culminò nelle giornate del luglio 1960”, Ibidem.

che finirebbe per scavalcare a destra tutto lo schieramento democristiano, puntando su forze extra-costituzionali”138.

“L‟Espresso” quindi, pur sostenendo che il golpe non avrebbe avuto alcuna possibilità di essere effettivamente realizzato, comunque non escludeva che qualcosa di anomalo in quell‟estate del 1964 si fosse verificato, così come aveva fatto qualche giorno prima il giornale del PSIUP “Mondo Nuovo”:

“A crisi risolta è opportuno ritornare su questo episodio, che non è affatto legato ai tentennamenti dell‟on. Moro, o alle ambizioni di qualche inquieto editore italiano. Se il discorso sul colpo di stato è stato fatto esplicitamente da numerosi settimanali, se nelle afose serate romane giornalisti e politici possono essersi sbizzarriti in ipotesi accompagnate da nomi e cognomi (e cosa mai è «segreto» in questo Paese: forse un colpo di stato proveniente da destra?...), tutto ciò è sintomo di una situazione obiettivamente esistente”139.

Sui Diari Nenni, solitamente molto attento ai commenti della stampa, non fece in quei giorni il minimo accenno alla questione sollevata.

Lo scandalo vero e proprio scoppiò nella primavera del 1967, ma ancor prima il SIFAR venne coinvolto per alcuni dossier che avrebbero dovuto restare segreti; i dossier coinvolgevano autorevoli esponenti politici compresi il Presidente della Repubblica Saragat e l‟ex Presidente Gronchi. Fu “L‟Europeo” a pubblicare le copie fotografiche di alcuni fogli del “dossier Saragat” raccolto dal servizio segreto e contenenti resoconti di suoi incontri con altri uomini politici, di sue dichiarazioni, di suoi colloqui anche riservati140. Ufficialmente però, questi dossier erano intanto “misteriosamente” spariti dagli archivi del SIFAR e “l‟Unità” lo aveva già denunciato nel corso del mese precedente:

“(…) Si sa che c‟è un‟inchiesta, si sa pure che trovato il numero di archivio dei fascicoli dei personaggi più altolocati, a cominciare da quello del Presidente Saragat, si è costatato che i fascicoli sono introvabili. Qualcuno se li è portati a casa: forse come ricordo per essere stato Ministro della Difesa per tanti anni, forse per servirsene per rimanere ministro in qualche altro dicastero (…). Ci troviamo dunque di fronte a tre scandali; e non uno può essere trascurato. Il primo è l‟esistenza di una polizia illegale, il cui apparato non è controllato da nessun organo costituzionalmente autorizzato a organizzarlo e a servirsene. Il secondo è quello dell‟uso personale che qualcuno ha fatto di questa polizia, aggravato dall‟occultamento di una parte del corpo del reato. Il terzo scandalo infine è quello del silenzio complice, della reticenza, del tentativo di deviare su questioni marginali tutta la faccenda”141. A tal proposito l‟Ufficio Politico del PCI di “sviluppare la massima pressione per ottenere che si faccia luce sulla vicenda”142

. La eco fu enorme e soprattutto era necessario spiegare come

138 Ibidem. 139

P. Ardenti, “I piccoli per i generali, i grandi per Nenni”, Mondo Nuovo 26 luglio 1964. 140

R. Trionfera, senza titolo, L’Europeo 16 febbraio 1967. Le copie fotografiche pubblicate dal periodico, fanno riferimento a episodi verificatisi nel 1951, nel 1960, nel 1961 e nel 1962.

141

G. C. Pajetta, “Liberi cittadini o vigilati speciali?”, l’Unità 29 gennaio 1967. 142

Verbale n. 2 della riunione dell‟Ufficio Politico del PCI del 30 gennaio 1967 a cui parteciparono Longo, Amendola, Berlinguer, Ingrao, Napolitano, Novella e Pajetta, Istituto Gramsci, microfilm 019, fascicolo 6.

“L‟Europeo” fosse venuto in possesso dei documenti-dossier143. Secondo Lambertini del “Il Tempo”, il giornalista Renzo Trionfera spiegò al Procuratore generale della Repubblica che la “fonte” era il dr. Emo Sparisci, ex segretario particolare di Gronchi durante tutto il settennato alla Presidenza della Repubblica, che “per via del suo incarico aveva contatti diretti con gli allora capi militari del SIFAR”144

. Gli effetti della pubblicazione dei dossier furono immediati. Il Ministro Tremelloni incaricò il generale Aldo Beolchini di svolgere un‟inchiesta sulle deviazioni del SIFAR e la Commissione da lui presieduta presentò la sua relazione finale che comportò una vera e propria epurazione tra le alte sfere dell‟arma dei Carabinieri e aspri contrasti in seno al governo145. Tra i puniti, figurava anche il generale De Lorenzo146.

E‟ una premessa necessaria (questa dei dossier scomparsi e dell‟attività del generale De Lorenzo147) per comprendere meglio il clima che si respirava quando a metà maggio esplose la bomba vera e propria che riguardava e coinvolgeva anche Nenni ed il PSI. Fu ancora una volta “L‟Espresso” protagonista dello scoop, a firma di Lino Jannuzzi, ad accusare senza giri

143

A. Ghirelli: “Tra le migliaia di schede che dopo il 1964 sarebbero state fatte sparire, insieme con quindici apparecchi di intercettazione telefonica, ce ne sono perfino sul conto del Presidente della Repubblica Saragat e di Moro. Forse ce n‟è anche una sul conto di Nenni, che tuttavia non se ne cura affatto, neppure per curiosità”, “Moro tra Nenni e Craxi. Cronaca di un

dialogo tra il 1959 e il 1978”, FrancoAngeli, Milano 1991, pag. 63.

144

M. Lambertini, “Iniziati dal magistrato gli interrogatori sulle fughe dal SIFAR”, Il Tempo 21 febbraio 1967. 145

R. Trionfera, “La grande purga tra i Carabinieri”: “Si sta facendo strada la tendenza a chiudere l‟affare SIFAR presto e in sordina. Intanto però sono state inflitte gravi punizioni ad alcuni alti ufficiali dei carabinieri”, L’Europeo 6 aprile 1967. Sull‟inchiesta Beolchini vedi anche M. Franzinelli, “Il Piano Solo”, Mondadori, Milano 2010, pag. 170.

146 G. B. Cavallaro, “Il SIFAR ha deviato dai suoi fini istituzionali”: “Le risultanze dell‟inchiesta coinvolgono - a quanto è dato sapere - i capi del SIFAR in questi ultimi anni ossia Viggiani, De Lorenzo, Allavena. La Commissione avrebbe, infatti, costatato che il servizio è andato al di là di quelli che erano i suoi compiti naturali (…), L’Avvenire d’Italia 16 aprile 1967; A. Airoldi, “I risultati dell‟inchiesta sul SIFAR”, Il Resto del Carlino 16 aprile 1967; U. Indrio, “La nomina del generale Vedovato a capo di Stato Maggiore dell‟esercito”: “L‟aspetto peggiore della recente esperienza consiste nella rivelazione di una lotta di fazioni all‟interno dell‟esercito. Il Ministro Tremelloni si è quindi dedicato ad un‟opera di moralizzazione, sorretto in questo compito dalle direttive del comandante supremo delle forze armate che è il capo dello Stato”, Corriere

della Sera 16 aprile 1967; A. Narducci, “Conclusa l‟inchiesta sul SIFAR. Sostituito il generale De Lorenzo”, Gazzetta del Popolo 16 aprile 1967; E. Mattei, “I pulcini nella stoppa”: “Un governo serio avrebbe agito in tutt‟altra maniera in una

siffatta vicenda. Avrebbe conferito alla Commissione di inchiesta un carattere interno e non ufficiale, non dandone alcune notizia; avrebbe allontanato senza chiasso i capi responsabili del servizio, modificando le loro direttive con atti interni e riservati; e di fronte al Parlamento, pur ammettendo di aver riscontrato le «deviazioni» di cui oggi si parla, si sarebbe limitato a dare assicurazione di averle corrette, dopo di che avrebbe preteso, ponendo la fiducia di essere creduto sulla parola”, La

Nazione 16 aprile 1967; A. Signoretti, “Un triste capitolo”, Roma 16 aprile 1967; M. Tito, “Riunito il governo per il SIFAR.

Sostituito il generale De Lorenzo”, La Stampa 16 aprile 1967; E. Mattei, “Il governo cerca di chiudere la scottante vicenda del SIFAR”, La Nazione 17 aprile 1967; A. Airoldi, “Tremelloni risponderà in Senato alle varie interpellanze sul SIFAR”, Il

Resto del Carlino 17 aprile 1967; E. Mattei, “Venerdì al Senato dibattito sul SIFAR”, La Nazione 18 aprile 1967; A.

Signoretti, “De Lorenzo sferra la controffensiva”: “L‟affare del SIFAR con il siluramento del generale De Lorenzo dalla carica di Capo di Stato Maggiore dell‟Esercito non è destinato a chiudersi rapidamente”, Roma 18 aprile 1967; E. Mattei, “Non ci prendano per imbecilli”: “Questo è uno scandalo che governanti più accorti e più sagaci avrebbero dovuto evitare, raddrizzando silenziosamente le cose che non andavano. Ora che se lo sono fatto scoppiare nelle inabili mani, parlino chiaro e dicano tutto. Non c‟è altro da fare”, La Nazione 19 aprile 1967; A. Giovannini, “Cinquant‟anni dopo Caporetto”, Roma 19 aprile 1967; A. Trombadori, “Il conflitto tra Taviani e Tremelloni deve essere discusso in Parlamento”, l’Unità 23 aprile 1967; C. Giannini, “La battaglia per il SIFAR in Senato”, Roma 22 aprile 1967. Per un dettagliato resoconto sull‟intera vicenda dei dossier scomparsi, vedi R. Trionfera, “SIFAR affair”, Reporter, Roma 1968.

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E. Mattei, “De Lorenzo si difende attaccando i politici”, La Nazione 10 maggio 1967; “Il generale De Lorenzo: le mie ragioni”: “Il SIFAR aveva il dovere di indagare sulla vita privata degli uomini politici”, Vita 11/17 maggio 1967, pagg. 13/16; R. Trionfera, “Il Vaticano e il SIFAR”, L’Europeo 11 maggio 1967, pagg. 20/21; E. Scalfari, “Perché spiavo Saragat”,

di parole Segni e il generale De Lorenzo, descrivendo due situazioni diverse che stavano svolgendosi contemporaneamente:

“Il 14 luglio del 1964 fu la giornata più calda dell‟anno: 36° all‟ombra. Due generali di divisione, undici generali di brigata, e mezza dozzina di colonnelli, in piedi impettiti sull‟attenti, stipati nella stanza del comandante generale dell‟arma dei carabinieri, sudavano (…). Calmo e severo, nonostante fosse il più grasso e il più sudato di tutti, il generale Giovanni De Lorenzo, stava concludendo il rapporto agli ufficiali: «Stiamo per vivere ore decisive. La nazione, tramite la più alta autorità, ci chiama e ha bisogno di noi. Dobbiamo tenerci pronti per gli obiettivi che ci verranno indicati». A quella stessa ora, a pochi chilometri di distanza, nei giardini di Villa Madama, Pietro Nenni s‟era disteso in maniche di camicia su di una panchina e si era addormentato. Da due settimane, giorni e notti, stava trattando la ricostituzione del governo di centrosinistra, rovesciato dalla Camera il 25 giugno. Era stanco, deluso, e angosciato, come aveva confessato dinanzi al comitato centrale del partito socialista: «Ho paura. Ho imparato in cinquant‟anni di lotte ad avere paura della destra, a non sottovalutarne le minacce e la forza. Ho paura delle elezioni, perché è difficile credere che nuove elezioni possano offrire una soluzione, mentre aumenterebbero un vuoto di potere utile soltanto alla destra».148

Jannuzzi evidenziò tutta una serie di anomalie, un ritardo (durato quasi 10 giorni) nella convocazione di Moro al Quirinale dopo che “tutti i gruppi della maggioranza lo avevano concordemente designato come unico candidato per il reincarico, ma Segni non lo aveva ancora richiamato al Quirinale. Perché?”149, una procedura “imposta” dal Presidente della Repubblica a Moro “finalmente la sera di venerdì 3 luglio, Segni chiamò Moro, lo tenne tre ore nel suo studio, e gli conferì l‟incarico. Ma all‟uscita il Presidente del Consiglio designato dovette leggere un lunghissimo documento, pieno zeppo di correzioni, che gli imponeva una riserva di tipo nuovo e senza precedenti: s‟impegnava a riferire periodicamente, nel corso delle trattative, al Presidente della Repubblica”150, e la “convocazione” di De Lorenzo al Quirinale “fu l‟annunciatore della televisione, la sera di lunedì 13 luglio, a leggere un breve e secco comunicato: «il presidente della Repubblica ha ricevuto stamane al Quirinale il comandante generale dell‟arma dei carabinieri, generale Giovanni De Lorenzo»”151

. Jannuzzi descrisse poi la reazione di Saragat al suo arrivo a Villa Madama:

“Vide Nenni disteso sulla panchina, col cranio lucido poggiato alla pietra e le scarpe coperte di polvere. Si girò verso il gruppo dei democristiani, e si mise ad urlare: «Guardate questo povero uomo, cinquant‟anni di milizia socialista, vent‟anni di esilio, una figlia trucidata dai nazisti. Ha portato il partito al governo, ha pagato il prezzo di una scissione, ha sacrificato tutto per il centrosinistra, per allargare le basi della democrazia. E voi ci state giocando, state scherzando col fuoco. Ora basta, non siamo più disposti a trattare. Le nostre ultime condizioni le conoscete. Dateci la vostra risposta, e sarà quello che sarà”152,

148 L. Jannuzzi, “Segni e De Lorenzo. Complotto al Quirinale”, L’Espresso 14 maggio 1967, n. 20. 149

Ibidem. 150

Ibidem. 151

Ibidem; M. Franzinelli, “Segni, Leone e Merzagora (le tre massime cariche dello Stato) si ritrovano al Quirinale e convengono sull‟inadeguatezza di Moro; il Capo dello Stato ribadisce che De Lorenzo garantirà l‟ordine pubblico. Segni raccomanda a Moro il ripristino dei fondi alla scuola privata e l‟esclusione di Giolitti dal governo: due misure che comporterebbero la rottura con i socialisti”, “Il Piano Solo”, Mondadori, Milano 2010, pag. 130.

152

e tornò al discorso (“un discorso inedito”) che De Lorenzo stava facendo agli ufficiali. Secondo il giornalista, a tirare in ballo Segni fu lo stesso De Lorenzo:

“Voi conoscete certamente, disse, la lettera che il ministro del Tesoro, Emilio Colombo, ha inviato due mesi fa a Moro. E‟ una lettera responsabile, meditata, che riflette opinioni e preoccupazioni dello stesso Presidente della Repubblica. E‟ un ultimatum alle richieste, alle pressioni dei socialisti, e ne va di mezzo la struttura economica e sociale del paese. La vera crisi è questa. Il Presidente della Repubblica è molto preoccupato di questa situazione. Dispera ormai che i socialisti si pieghino alla realtà e rinuncino alle pretese. Il paese ha urgente bisogno di un governo, di un energico intervento economico. Il Presidente della Repubblica non può permettere che si continui così: ha dato a Moro un termine ultimo, fino a sabato prossimo. Se per quel giorno Moro non gli porta l‟accordo sul programma, il programma richiesto dalla congiuntura, Segni gli toglierà l‟incarico per il centrosinistra e varerà un governo di emergenza, monocolore, costituito da tecnici e militari (…). Segni mi ha chiesto se sono in condizione di garantirgli l‟ordine pubblico, di far fronte a movimenti di piazza come quelli di quattro anni fa. Gli ho risposto che siamo in grado di farlo, di garantire l‟ordine, a patto di essere autorizzati a preparare per tempo i piani di emergenza necessari. Il Presidente della Repubblica mi ha autorizzato”153.

Poi il generale concluse spiegando agli ufficiali i dettagli dell‟operazione ES:

“Il «piano ES», che significa «Emergenza S», è un vecchio piano predisposto per le forze di polizia fin dai tempi di De Gasperi, ma periodicamente aggiornato e perfezionato. Per il 14 luglio del 1964 le novità fondamentali si riferivano alle «liste». Uno dei punti essenziali del piano «ES» consiste nella «occupazione delle sedi dei partiti e nell‟arresto degli esponenti politici, e nel loro concentramento in alcune località predeterminate». Per l‟occasione le «liste» nuove si erano arricchite, rispetto a quelle precedenti, di un lungo elenco di esponenti della DC, fino ad arrivare al nome del più famoso ministro degli Interni del dopoguerra, Mario Scelba. Le località fissate per il «concentramento» erano Genova, Napoli e Palermo, e la destinazione finale era la Sardegna”154.

Altre “anomalie” si erano verificate nei giorni precedenti: il 2 giugno 1964, alla parata militare in via dei Fori Imperiali, aveva partecipato “un numero di uomini doppio di quello consueto”155

dopo che Segni aveva inviato il suo saluto alle forze armate156, mentre il 14 giugno, all‟aeroporto dell‟Urbe, si era svolta una cerimonia militare alla presenza del Capo dello Stato e del Ministro della Difesa, e alla quale intervenne anche Sogno, giunto appositamente da New York157. Tornando al mese di luglio, e qui Craveri dà per certo l‟accaduto citando le testimonianze di Moro, Zaccagnini, Gava, Rumor, De Lorenzo e Viviani alla Commissione parlamentare d‟inchiesta, si svolse una riunione a casa del senatore Tommaso Morlino a cui parteciparono il generale De Lorenzo, il capo della polizia Angelo Vicari e lo stato maggiore della DC (Moro, il segretario politico Rumor, il presidente del gruppo parlamentare al Senato Silvio Gava, il presidente del gruppo parlamentare alla Camera Zaccagnini). Sulla base delle stesse testimonianze, l‟oggetto della riunione sembra essere stata

153 Ibidem. 154

Ibidem. 155

V. Ilari: “16 mila, con 126 pezzi d‟artiglieria, 201 cingolati M-113, 158 carri medi M-47, 70 semoventi M-44 e M-45. I carabinieri vi parteciparono con 1.500 uomini del battaglione paracadutisti (326 uomini) della Legione allievi di Roma (657) e di due battaglioni di formazione tratti dall‟XI Brigata (517 uomini, con 23 M-47, 12 M-113, 12 autoblindo, 32 automezzi e 55 moto)”, “Il generale col monocolo. Giovanni De Lorenzo 1907-1973”, Nuove Ricerche, Ancona 1994, pagg. 198-199. 156

“Messaggio di Segni alle forze armate”, Corriere della Sera 2 giugno 1964. 157

una semplice verifica dello stato dell‟ordine pubblico, ma quel che suscita perplessità resta il carattere informale della riunione stessa ed il fatto che il vicepresidente del Consiglio fosse all‟oscuro di tutto. Nenni, che come già detto fu abbastanza cauto nell‟affidare le sue riflessioni ai Diari a proposito di tale argomento, dichiarò infatti genericamente alla Commissione parlamentare d‟inchiesta di essere stato informato da Moro, nel corso della crisi, “di incontri del tutto normali”. Per Craveri è una testimonianza “la cui imprecisione, nel

Nel documento Nenni uomo di governo (pagine 87-103)

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