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I dubbi di costituzionalità sulla sede legale come foro esclusivo

Nel documento Il controllo giudiziario delle società (pagine 176-181)

DENUNZIA AL TRIBUNALE Testo vigente

9. Soggetti, procedimento e provvediment

9.2. I dubbi di costituzionalità sulla sede legale come foro esclusivo

Bisogna poi segnalare un importante provvedimento di rimessione alla Corte Costituzionale, con cui è stata dedotta l’illegittimità costituzionale dell’art. 25, 1° co., d.lgs. 5/2003, nella parte in cui prevede che la compe- tenza per i procedimenti in camera di consiglio (237) si radichi esclusiva-

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I dubbi di costituzionalità sulla sede legale come foro esclusivo 1593

(234) Così Trib. Tivoli, 24 maggio 2004, in Giur. merito, 2005, 1573, con nota di D’ORAZIO, secondo cui la notificazione del ricorso introduttivo anche alla società non può avere altro signifi- cato che di estendere ad essa il contraddittorio, non potendo essere stata prevista «al solo fine di provocare, eventualmente, i provvedimenti dell’assemblea di nomina di soggetti di adeguata pro- fessionalità, per l’accertamento della sussistenza delle violazioni», dal momento che, «anche in di- fetto, la società avrebbe conoscenza dell’esistenza del procedimento (basti pensare che necessaria- mente ne sono parti amministratori, sindaci e soci di minoranza, questi ultimi solo quando il ricor- so sia stato da loro proposto) e, quindi, la possibilità di provocare i detti provvedimenti sarebbe, in ogni caso, garantita».

(235) Sempre Trib. Tivoli, 24 maggio 2004, cit. (236) Cfr. supra, sub art. 2409, par. 3.8.

(237) Nella specie, si trattava del procedimento relativo all’accertamento di una causa di scio- glimento della società, ma ovviamente la questione interessa anche l’art. 2409 c.c., a cui l’art. 25, 1° co., d.lgs. 5/2003, risulta applicabile.

mente con riferimento al luogo dove la società ha sede legale e non anche, come dovrebbe se si applicassero le regole generali, con riguardo al luogo dove si trova la sede effettiva (238).

Il dubbio di legittimità costituzionale è stato sollevato per inosservanza dei criteri dettati dalla l. 3 ottobre 2001, n. 366, di delega al Governo per la riforma del diritto e del processo societario, nonché in riferimento alla lesione dell’art. 3 Cost.

Quanto al primo aspetto, secondo il giudice remittente sarebbe stato violato l’art. 76 Cost., parendo che il Governo abbia esercitato la funzione legislativa delegata in netto contrasto con i principi direttivi assegnatigli con la legge di delegazione. Infatti, l’art. 12, l. 366/2001, delegava l’Esecu- tivo ad emanare norme che, «senza modifiche della competenza per territo- rio e per materia», fossero dirette ad assicurare una più rapida ed efficace definizione dei procedimenti in materia societaria. E poiché al momento dell’attuazione della delega, in materia camerale generale ex artt. 737 ss. c.p.c. veniva, di regola, riconosciuta l’equivalenza tra foro del luogo della sede legale di una persona giuridica e foro del luogo della sua sede effetti- va, qualora non coincidessero, sarebbe palese la violazione della direttiva che imponeva di non modificare i criteri di competenza territoriale.

Quanto al secondo aspetto, l’art. 25, 1° co., d.lgs. 5/2003, è parso di dubbia legittimità costituzionale sotto il profilo dell’irragionevole diver- sità di trattamento di fattispecie processuali che al contrario appaiono omogenee. Più in particolare, è stato ritenuto ingiustificato che, non es- sendo stata operata nessuna modifica rispetto ai criteri valevoli in genera- le ex art. 19 o 23 c.p.c., le controversie societarie da definire nel contrad- dittorio tipico della cognizione piena, ai sensi degli artt. 2 ss. d.lgs. 5/2003, possano essere decise dal giudice individuato come territorial- mente competente non solo in relazione alla sede legale, ma anche con ri- ferimento alla diversa sede effettiva della società convenuta, mentre «le controversie nella medesima materia e fra le medesime parti, che per scel- ta del legislatore delegato sono sottoposte al rito camerale, dovranno ob- bligatoriamente essere portate alla cognizione del giudice territorialmente competente secondo l’esclusivo criterio della sede legale della società convenuta» (239).

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Denunzia al tribunale

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(238) Ci si riferisce a Trib. Agrigento, 3-17 giugno 2004, in Foro it., 2004, I, 3233, con osser- vaz. di FABIANI, in Giur. merito, 2005, 100, con nota di D’ORAZIO, in Soc., 2005, 509, con nota di TRIPALDI, e in Giur. it, 2005, 2309, con mia nota.

Riguardo alla condivisibilità dei rilievi su cui ci si è soffermati, si po- trebbe discutere.

Sembrava chiaro, avendo il legislatore delegato scelto il criterio dell’e- sclusività del foro della sede legale, l’eccesso di delega per violazione del criterio che imponeva di mantenere gli antichi criteri di ripartizione territo- riale della competenza (240), anche se il criterio dell’alternatività dei fori in realtà non costituiva diritto vivente in tutta la materia camerale, posto che, quanto al procedimento ex art. 2409 c.c., la giurisprudenza preferiva semmai la tesi della prevalenza della sede effettiva. Ma non mancava chi aveva subito sostenuto che «la previsione della legge delega era rivolta ad impedire la formazione di sezioni specializzate e la concentrazione delle controversie solo presso i tribunali dei distretti di corte d’appello, piuttosto che ad impedire interventi sulla competenza ordinaria ex art. 18 e 19 c.p.c.», e che pertanto, in questa prospettiva, il vizio di violazione della de- lega non sembrerebbe decisivamente emergente dalla limitazione imposta all’operatività di uno dei possibili fori alternativi prima vigenti (241).

Inoltre, pareva sensato rilevare che il processo di cognizione può ope- rare come termine di comparazione soprattutto se si nega che i procedi- menti camerali societari appartengano solo alla categoria della volontaria giurisdizione, o comunque della tutela non contenziosa, e «si ammette che la tutela camerale in materia societaria possa avere spazio anche per la ri- soluzione di posizioni antagoniste in funzione della risoluzione di diritti soggettivi» (242).

9.3. (Segue): e la sentenza di rigetto della Corte Costituzionale

In ogni caso, non c’è stato tempo per lo sviluppo di un vasto confronto, in quanto la Consulta, con una pronuncia lodevolmente tempestiva (243), ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità sollevata dal Tribuna- le di Agrigento.

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(Segue): e la sentenza di rigetto della Corte Costituzionale 1595

(240) Nel senso della violazione dell’art. 76 Cost., essendo stato modificato un criterio di com- petenza in violazione del divieto contenuto nel 1° co. dell’art. 12, l. 366/2001, v. supra, TURRONI, sub art. 25, par. 1; D’ORAZIO, Note sulla legittimità costituzionale del procedimento camerale in materia societaria, in Giur. merito, 2005, 105 ss.

(241) FABIANI, in Foro it., 2004, I, 3233, a commento di Trib. Agrigento, 3-17 giugno 2004. (242) FABIANI, op. loc. cit., a parere del quale solo in questa seconda ipotesi «il dubbio di costi- tuzionalità potrebbe alimentarsi».

Secondo la Corte Costituzionale, il principio direttivo contenuto nel- l’art. 12, 1° co., l. 366/2001, costituito dal divieto di modifiche della com- petenza per territorio e per materia, troverebbe la propria spiegazione e la propria ratio «nel dibattito sviluppatosi, a livello politico, riguardo ad una possibile, radicale modifica delle regole di competenza, nel senso di attri- buire i procedimenti in materia societaria alla competenza esclusiva di se- zioni specializzate istituite presso i tribunali delle città sede di corte di ap- pello ovvero, secondo altra proposta, presso i tribunali delle città capoluo- go di provincia» (244).

Spiega la Corte che, essendo infine prevalsa la tesi contraria all’accen- tramento delle competenze nei tribunali delle città di maggiore importanza (245), «il legislatore delegante introdusse, tra i principi della delega, il di- vieto di cui si tratta, al quale quindi non sarebbe ermeneuticamente corret- to attribuire il significato di una previsione di assoluta e generalizzata in- tangibilità di tutte le regole di competenza precedentemente vigenti» (246). D’altra parte, soggiungono i giudici costituzionali, l’art. 25, 1° co., d.lgs. 5/2003, «non individua un diverso criterio di competenza per terri- torio, ma interviene sul criterio già utilizzato dall’art. 19 del codice di pro- cedura civile, sostanzialmente precisandone il significato, nel senso che – ai fini del procedimento camerale – per sede della società deve intendersi soltanto la sede legale, con esclusione della cosiddetta sede effettiva» (247), sicché non potrebbe affermarsi che vi sia stata una vera e propria «modifica» del criterio di competenza ricavabile dagli artt. 737 e 19 c.p.c. con conseguente violazione dei principi della delega.

La delega sarebbe stata al contrario correttamente interpretata, «se si considera che, con specifico riguardo ai procedimenti camerali, il 2° co., lett. f), dello stesso art. 12 detta quale criterio direttivo prevalente quello della «rapidità» di tali procedimenti, nel rispetto dei principi del giusto processo» (248). Osserva infatti la Corte che sarebbe ben noto come l’o- nere, gravante sull’attore, «di dimostrare l’esistenza della sede effettiva della società nel luogo ove siede il giudice adito determini il più delle vol- te un incongruo appesantimento dell’istruttoria, con ovvio pregiudizio

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(244) C. Cost., 10 maggio 2005, n. 194, cit.

(245) Sulle vicende della mancata istituzione delle sezioni specializzate in materia societaria, rinvio alla mia Introduzione al d.lgs n. 5 del 2003, in COTTINOet al. (diretto da), Il nuovo diritto so- cietario, cit., 2747 ss.

(246) C. Cost., 10 maggio 2005, n. 194, cit. (247) Ibidem.

delle esigenze di celerità che sono viceversa alla base stessa del rito came- rale» (249).

Nessuna lesione dell’art. 3 Cost. si trarrebbe poi dal raffronto tra le re- gole di competenza valevoli in materia societaria nel processo ordinario di cognizione (dove persiste il criterio dell’alternatività dei fori) e nel proce- dimento camerale, «non sussistendo tra il processo ordinario di cognizio- ne ed il procedimento camerale la omogeneità necessaria a rendere com- parabili le rispettive discipline ai fini dello scrutinio riferito al principio di eguaglianza».

Non si può però evitare di osservare che, se accolto, il sollevato inci- dente di costituzionalità avrebbe corretto una presa di posizione del legi- slatore della riforma che, al di là della sua legittimità, appare scarsamente opportuna. Come si è in precedenza accennato occupandoci in generale della competenza per materia e per territorio nel procedimento ex art. 2409 c.c. (250), la scelta legislativa in favore del foro esclusivo della sede legale impedisce infatti l’utilizzo del criterio della sede effettiva anche quando esso potrebbe tornare utile per facilitare lo svolgimento dell’atti- vità istruttoria e di trattazione, che sembrerebbe agevolata dalla prossimità tra il giudice e il luogo dove la società ha realmente sede. Inoltre, conside- rato che la sede legale può essere fissata dovunque, l’esclusività del foro sembrerebbe consentire alla società una sorta di preventivo forum shop- ping quando non, addirittura, l’elusione della giurisdizione italiana fissan- do la sede legale all’estero (251).

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(249) Ibidem.

(250) Cfr. supra, sub art. 2409, par. 4.2.

(251) In senso critico rispetto alla scelta dell’esclusività del foro della sede legale, v. anche OLIVIERI, I procedimenti camerali plurilaterali (le principali fattispecie), cit.; SILVESTRI, sub art. 25, in CARPIe TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile. Appendice di aggiorna- mento, Padova, 2004, 208; supra, TURRONI, sub art. 25, par. 1. Sottolineano invece i vantaggi in termini di certezza del foro esclusivo della sede legale, ARIETAe DESANTIS, Diritto processuale societario, Padova, 2004, 476, secondo cui «il rischio di legittimare il trasferimento della sede le- gale al solo fine di rivolgersi ad un giudice diverso da quello naturale può essere neutralizzato ap- plicando l’orientamento giurisprudenziale formatosi in tema di convenuto fittizio», quando un sog- getto estraneo alla controversia sia citato in giudizio al solo fine di radicare la causa, valendosi del- l’art. 33 c.p.c., dinnanzi a un giudice diverso da quello che sarebbe altrimenti competente. Sennon- ché, oltre al permanere degli altri inconvenienti, c’è da considerare che tale orientamento trova ap- plicazione solo in casi limite, e cioé quando la citazione in giudizio del «convenuto fittizio» appaia prima facie artificiosa e preordinata unicamente al fine di radicare la competenza presso il giudice adito sottraendola al giudice naturale.

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