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L’equa riparazione per l’eventuale eccessiva durata del processo: la tesi dell’irrilevanza della fase preparatoria

Nel documento Il controllo giudiziario delle società (pagine 46-54)

DISPOSIZIONI FINALI Testo d.lgs 5/

3. L’equa riparazione per l’eventuale eccessiva durata del processo: la tesi dell’irrilevanza della fase preparatoria

Naturalmente, il problema del conteggio dei tempi processuali si collega a quello dell’individuazione del dies a quo di decorrenza degli stessi.

Non par dubbio che tale dies a quo sia da identificare con il giorno del- la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, che, ai sensi dell’art. 2, d.lgs. 5/2003, ha la forma della citazione di cui all’art. 163 c.p.c.

Con la notificazione della citazione scattano effetti processuali e so- stanziali quali la litispendenza, la prevenzione, l’interruzione e la sospen- sione della prescrizione, l’impedimento della decadenza. Non vi è quindi motivo di negare che a partire da essa si debbano calcolare anche le dura- te processuali.

Si apre a questo punto il problema di stabilire quali siano le durate pro- cessuali rilevanti ai sensi dell’art. 2, l. 24 marzo 2001, n. 89 (4), detta «legge Pinto», dal nome del primo firmatario del relativo progetto, secon- do cui chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale sotto il pro- filo del mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ha diritto ad una equa riparazione.

Sicuramente, il mero fatto della mancanza del giudice nella fase preli- minare non può comportare la conseguenza che la lunghezza del processo vada calcolata a partire dalla presa di contatto con l’organo giudiziale e cioè a decorrere dal deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza di cui all’art. 8.

Basti al riguardo considerare che nel computo della durata del processo si ritiene occorra inserire persino le eventuali fasi preliminari di tipo am- ministrativo o conciliativo, dove ovviamente il giudice non compare, col- locate dalla legge in un momento anteriore all’inizio del processo vero e proprio (5). Se dunque rilevano anche fasi non propriamente processuali,

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(4) Su cui cfr. CHIARLONI(a cura di), Misure acceleratorie e riparatorie contro l’irragionevole durata dei processi. Commento alla legge 24 maggio 2001, n. 89, Torino, 2002, passim; DIDONE, Equa riparazione e ragionevole durata del giusto processo, Milano, 2002, XI-234.

(5) Così, ad esempio, i giudici di Strasburgo hanno individuato il dies a quo della ragionevole durata ai sensi dell’art. 6, par. 1, della Convenzione, nell’attimo della proposizione dell’istanza am- ministrativa di indennizzo che un emofiliaco, divenuto sieropositivo al virus dell’Aids in occasione di una trasfusione di sangue, aveva dovuto preliminarmente sottoporre ad una autorità amministra- tiva prima di poter investire della questione il tribunale competente: v. C. Dir. Uomo, 31 marzo 1992, X c. Svizzera. E secondo OLIVIERI, La «ragionevole durata» del processo di cognizione (qualche considerazione sull’art. 111, 2° co., Cost.), in Foro it., 2000, V, 254, «tutte le volte in cui

a maggior ragione sono da computare, ai fini della ragionevole durata, le fasi processuali, ancorché svolte in assenza di un giudice, previste dal de- creto delegato per la fissazione, attraverso il reciproco scambio di memo- rie tra le parti, del thema decidendum e del thema probandum.

Bisogna però tener conto che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiarito e il legislatore italiano ha espressamente stabi- lito, al 2° co. del ricordato art. 2, che nell’accertare la violazione il giudice deve considerare «il comportamento delle parti», escludendo l’equa ripara- zione quando siano queste ad aver dato causa alle lungaggini. Né si può ignorare come, fino alla presentazione dell’istanza di fissazione dell’udien- za di cui all’art. 8, l’ufficio giudiziario non svolga nessuna attività se non quella di custodire gli atti e i documenti depositati. Sembrerebbe quindi corretto imputare, fino alla presentazione dell’istanza di fissazione dell’u- dienza, gli eventuali ritardi esclusivamente alle parti, e negare che la notifi- cazione della citazione coincida anche con il dies a quo da cui computare il termine di ragionevole durata del processo ai sensi della l. 89/2001 (6).

Poiché ciascuna delle parti ha la possibilità di accelerare la fase prece- dente all’istanza di fissazione dell’udienza, eventualmente rinunciando a replicare alla memoria di controparte, sembrerebbe in effetti difficile so- stenere che i tempi di svolgimento della fase preparatoria dipendano dalla legge o dalla condotta del giudice e non dal volontario comportamento dell’attore e del convenuto.

Parrebbe dunque inevitabile concludere che non sia possibile conside- rare la durata della fase preparatoria ai fini dell’equa riparazione di cui al- la l. 89/2001.

Ci si potrebbe semmai interrogare sulla legittimità costituzionale di un meccanismo che consenta alle parti, pur di loro comune accordo e quindi senza la possibilità di reclamare il risarcimento previsto dalla l. 89/2001, di allungare i tempi processuali (7).

L’art. 111, 2° co., Cost., prescrive infatti che la legge assicuri la ragio- nevole durata del processo e di conseguenza sembrerebbe escludere che il legislatore possa affidare alla scelta delle parti private la maggiore o mino- re celerità del processo.

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la legge preveda un’ipotesi di giurisdizione condizionata», ai fini del calcolo della durata del pro- cesso ex art. 111 Cost. bisogna «calcolare» anche il tempo occorrente per quelle attività (ad es., il tentativo di conciliazione) imposte alle parti prima della proposizione della domanda.

(6) In questo senso, v. COSTANTINO, Il nuovo processo commerciale: la cognizione ordinaria in primo grado, in Riv. dir. process., 2003, 402 s.

Il d.lgs. 5/2003, come si ricava dagli artt. 2, 4, 6 e 7, consente invece, senza che il giudice possa impedirlo, che la durata minima della fase in- troduttiva possa normalmente giungere sino a 230 giorni (60 per la com- parsa di risposta del convenuto; più 30 per la replica dell’attore; più 20 per l’ulteriore memoria difensiva del convenuto; più 20 per l’ulteriore replica dell’attore; più 20 per la controreplica del convenuto; più 80 per lo scam- bio di ulteriori memorie), se le parti, o meglio i loro avvocati, per scrupo- lo defensionale o magari per poter conteggiare in parcella la redazione di un numero maggiore di memorie, non rinunciano a nessuna delle facoltà di replica loro concesse dalla legge.

Considerando poi che la fase che va dalla notifica del decreto di fissa- zione dell’udienza allo svolgimento della stessa è, ai sensi dell’art. 12, di almeno 72 giorni (10 per la presentazione del fascicolo al presidente; più 2 per la designazione del giudice relatore; più 50 per il deposito di fissa- zione dell’udienza; più 10 per lo svolgimento della stessa), i dubbi sulla congruenza rispetto al modello costituzionale del nuovo processo societa- rio aumentano, specie considerando che un processo ordinario di cogni- zione ex art. 163 ss. c.p.c., se concluso con una pronuncia ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., può essere definito, dopo la riforma dovuta alla l. 14 maggio 2005, n. 80, e successive modifiche, anche alla prima udienza e cioè in un minimo di appena 90 giorni (8).

4. (Segue): la sua critica

Ma a ben vedere la tesi dell’irrilevanza, sotto il profilo del diritto all’equa riparazione per eccessiva durata del processo, della fase preparatoria, es- sendo essa sotto il pieno ed esclusivo dominio delle parti, potrebbe non essere così sicura come a prima vista appare.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha infatti avuto modo di affer- mare ripetutamente che l’esistenza di una disciplina processuale che affidi alle parti il potere di iniziativa e d’impulso non dispensa i giudici dall’ob- bligo di garantire il rispetto di quanto disposto dall’art. 6, § 1, della Con-

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(Segue): la sua critica 1373

(8) Per il rilievo della possibile durata rilevantemente minore del rito ordinario previsto dal co- dice di rito, v. PROTOPISANI, La nuova disciplina del processo societario (note a prima lettura), in Foro it., 2003, V, 8, che si riferiva alla situazione anteriore alla l. 80/2005, alla cui stregua, in caso di decisione ex art. 281 sexies c.p.c., i tempi potevano essere vieppiù rapidi, arrivando a un minimo di soli 75 giorni (60 per lo svolgimento della prima udienza più 15 per lo svolgimento dell’udienza ex art. 183 c.p.c., al cui termine avrebbe potuto essere pronunciata la sentenza).

venzione (9). E quando il processo sia talmente modellato sul principio dispositivo da impedire al giudice di assolvere al compito di assicurare ugualmente la ragionevole celerità del processo, non per questo non sussi- ste la responsabilità dello Stato per la violazione dell’art. 6 della Conven- zione. La Corte infatti precisa che è dovere degli Stati membri «organizza- re il rispettivo sistema giudiziario in modo tale da assicurare una durata ragionevole dei procedimenti» (10). Per i giudici di Strasburgo, in altri termini, non c’è differenza se l’eccessiva durata dipende dal mancato eser- cizio di poteri riconosciuti dall’ordinamento al giudice o dall’insussisten- za degli stessi. La responsabilità dello Stato sussiste ugualmente anche se la legge non consente al giudice di intervenire ed è riconducibile proprio alla carenza normativa in questione (11).

È dunque dubbio che l’aver affidato alle parti il governo della fase in- troduttiva valga ad esonerare lo Stato da ogni responsabilità per le durate maturate in quella fase (12). Quel che invece è sicuro è che l’insussistenza

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(9) C. Dir. Uomo, 20 febbraio 1991, Vernillo c. Francia, in Riv. dir. internaz., 1991, 334; Id., 25 giugno 1987, Capuano c. Italia, in Foro it., 1987, IV, 385, con osservaz. di PIZZORUSSO; Id., 15 ot- tobre 1985, Capuano c. Italia, e in Temi romana, 1986, 792, con nota di ROSI; Id., 6 maggio 1981, Buchholz c. Germania Federale, in Foro it., 1981, IV, 273. Nel senso dell’irrilevanza che la struttu- ra del processo sia informata al principio dispositivo, v. anche C. Dir. Uomo, 8 febbraio 1996, Commissione c. Danimarca, in Danno e resp., 1999, 184, con commento di IZZO.

(10) C. Dir. Uomo, 24 maggio 1991, Pugliese c. Italia, in Riv. it. dir. lav., 1991, II, 714; Id., 24 maggio 1991, Caleffi c. Italia, in Riv. it. dir. lav., 1991, II, 714; Id., 25 giugno 1987, Baggetta c. Ita- lia, in Riv. dir. internaz., 1988, 650, part. 651; Id., 13 luglio 1983, Zimmermann c. Svizzera, ivi, 1985, 368.

Per la Corte, lo Stato membro è tenuto non solo ad organizzare l’apparato giudiziario in modo tale da assicurare la ragionevole durata dei processi in condizioni «normali» ma anche in situazio- ni di emergenza. Secondo C. Dir. Uomo, 25 giugno 1987, Baggetta c. Italia, cit., 650, part. 651, in- fatti, «un affollamento passeggero del ruolo, conseguente a disordini politici verificatisi nel distret- to giudiziario interessato, può giustificare una durata anormale, purché non eccessiva, dei processi coinvolti, solo nel caso in cui siano state adottate con la necessaria sollecitudine le misure idonee a superare tale situazione eccezionale». E ad avviso di C. Dir. Uomo, 13 luglio 1983, Zimmermann c. Svizzera, cit., 368, un rallentamento passeggero dell’attività giudiziaria dovuto a circostanze ec- cezionali non impegna automaticamente la responsabilità dello Stato, nel caso in cui siano state adottate con la necessaria sollecitudine le misure idonee a superare tale situazione eccezionale e ad impedire che essa assuma carattere strutturale.

(11) In proposito, con riferimento all’inerzia non delle parti ma dei consulenti tecnici, C. Dir. Uomo, 25 giugno 1987, Capuano c. Italia, in Foro it., 1987, IV, 385, con osservaz. di PIZZORUSSO, ha chiarito che il governo italiano è responsabile per i ritardi dei periti nell’adempimento degli in- carichi loro affidati, tanto ove ciò dipenda dal mancato esercizio di poteri di cui il giudice dispon- ga, quanto ove ciò dipenda dal fatto che al giudice non sono conferiti poteri adeguati per ottenere il rispetto dei termini assegnati.

(12) Così, pure, DIDONE, Risorge la «matricula mercatorum», il rito speciale per le società, in Dir. e Giust., 2003, 4, 54 s., ora Appunti sul nuovo processo societario di cognizione (con l’ausilio del

di poteri officiosi del giudice rileverà, ai fini dell’art. 5 della legge Pinto, per escludere l’imputabilità al singolo magistrato delle lungaggini dovute allo scambio di memorie tra le parti. È infatti ovvio che il giudice contro cui sia stato in ipotesi avviato il procedimento di responsabilità o intrapre- sa una azione disciplinare per l’eccessiva durata del processo da lui con- dotto non potrà essere incolpato dell’eccessiva durata della fase anteriore all’istanza di fissazione dell’udienza.

5. (Segue): e il nodo cruciale dell’intervallo tra l’istanza di fissazione dell’udienza e lo svolgimento di quest’ultima

In ogni caso, è da avvertire che ai fini della valutazione della ragionevole durata assume, in pratica, grande importanza il lasso di tempo intercorso tra il momento in cui una delle parti sollecita la fissazione dell’udienza e la data in cui l’udienza viene effettivamente tenuta.

L’art. 12 prescrive in proposito che, decorsi dieci giorni dal deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza, il cancelliere, nei tre giorni succes- sivi, forma il fascicolo contenente tutti gli atti e documenti depositati dal- le parti e lo presenta al presidente che, entro il secondo giorno successivo, designa il giudice relatore. Questi, nel termine, ovviamente ordinatorio (13), di cinquanta giorni dalla designazione, deposita il decreto di fissa- zione dell’udienza, con cui, oltre a stabilire quando si svolgerà l’udienza collegiale, da tenere non prima di dieci e non oltre trenta giorni dalla co- municazione alla parte del decreto, «prende posizione» sul thema deci- dendum e sul thema probandum, indicando le questioni, di rito e di meri- to, rilevabili d’ufficio ed ammettendo i mezzi istruttori.

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(Segue): e il nodo cruciale dell’intervallo 1375

«commento anticipato» del Mortara e del Ricci), in Giur. it., 2003, 1981, secondo il quale aver messo il processo nelle mani degli antagonisti, precludendo al giudice un ruolo attivo nella fase iniziale del- la controversia, non potrà impedire l’applicazione della legge Pinto, specie adesso che «la Suprema Corte, con le sue prime pronunce in materia ha correttamente evidenziato il vincolo per i giudici ita- liani della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di ragionevole durata». (13) In tal senso, v. anche CARRATTA, Riflessioni «a prima lettura» sui riti per le controversie societarie e finanziarie, in Dir. e Giust., 2003, 7, 108.

È peraltro da segnalare che, a differenza degli altri termini ordinatori, la prorogabilità del ter- mine per emettere il decreto di fissazione dell’udienza è ammessa, «per comprovate ragioni», con- dizionatamente all’autorizzazione del presidente del tribunale. In tal modo, il legislatore delegato ha inteso segnalare l’eccezionalità del mancato rispetto del termine. Ma ciò ha un valore poco più che simbolico e certo non impedirà, qualora il carico di lavoro non riesca ad essere smaltito dai giudici, che il periodo tra il deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza e l’emanazione del de- creto ecceda di routine il limite dei cinquanta giorni.

Questo meccanismo appare così congegnato per «obbligare» il giudice relatore a giungere all’udienza collegiale preparato sulla causa, dopo aver dovuto scrivere un provvedimento importante come quello con cui si deci- de sulle istanze istruttorie e vengono sottoposte alle parti le questioni rile- vabili d’ufficio da affrontare. Ma proprio l’importanza e la complessità del decreto di fissazione dell’udienza fa temere che per la sua redazione, quando il nuovo processo societario sia entrato a pieno regime, occorrerà, a causa del progressivo accumularsi dell’arretrato e quindi dello slitta- mento in avanti degli adempimenti relativi alle cause più recenti, un tem- po sensibilmente maggiore dei cinquanta giorni indicati dalla legge. Oltre- tutto, è da ritenere che la difficoltà a provvedere in tempi ragionevoli al- l’emanazione del decreto di fissazione dell’udienza sarà accentuata dal fatto che le parti si siano potute scambiare memorie a loro piacimento, si- no a poter collezionare «repliche, dupliche e tripliche», in una fase sottrat- ta alla direzione del giudice, il quale dovrà studiarsi atti accumulatisi al di fuori della sua partecipazione e controllo.

Sembra quindi probabile, per quanto non siano disponibili dati statisti- ci, che tra l’istanza di fissazione dell’udienza e l’emanazione del decreto di fissazione della stessa si formino tempi di attesa notevoli (14).

Sennonché è per l’appunto l’accertamento di tempi morti, ossia di pau- se tra una attività processuale e quella successiva, uno degli indici sinto- matici del fatto che il processo abbia una durata eccessiva.

Non appare accettabile, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, che passino mesi o magari anni senza che il processo avanzi verso la sua conclusione (15) o che si impieghi un tempo eccessivo per redigere la mo-

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(14) Secondo E.F. RICCI, Verso un nuovo processo civile?, in Riv. dir. process., 2003, 221, una volta chiesta la fissazione dell’udienza da una qualunque delle parti, la pronuncia del relativo provvedimento da parte del giudice ha molte probabilità di dover essere attesa a lungo. Nel mede- simo senso, v. PROTOPISANI, Verso una nuova stagione di riforme?, in Foro it., 2002, V, 189 ss., part. 192, e CARRATTA, op. ult. cit., 107 s., secondo cui la redazione del decreto di fissazione del- l’udienza rappresenta un incombente «che il giudice potrebbe agevolmente assolvere ove avesse modo di prender parte anche alla fase preparatoria, ma che, invece, diventa estremamente difficile per un giudice che, come prevede il decreto legislativo, rimane (deve rimanere) rigorosamente in disparte».

L’intervallo di tempo tra l’istanza e la pronuncia del decreto di fissazione dell’udienza potreb- be divenire una «cassa di compensazione» analoga a quella che, nelle controversie rette dal rito or- dinario anteriore alla riforma del 1990, veniva identificata con il periodo frapposto fra la precisa- zione delle conclusioni e l’udienza collegiale e nel rito successivo alla Novella viene a collocarsi fra la fine della fase di trattazione o istruzione e la precisazione delle conclusioni.

(15) Cfr., per varie ipotesi di stasi processuali ingiustificate, C. Dir. Uomo, 26 aprile 2001, Ag- giato c. Italia, par. 28, relativa al passaggio tra la richiesta di rinvio a giudizio e la data dell’udienza

tivazione di un provvedimento (16).

I «tempi morti» non possono essere giustificati da parte delle autorità con il «sovraccarico di ruolo del tribunale» o con simili ragioni organiz- zative, perché «l’art. 6, par. 1, obbliga gli Stati contraenti a predisporre il loro sistema giudiziario in modo tale che i tribunali possano soddisfare ciascuno dei suoi requisiti, ed particolare il requisito del termine ragione- vole» (17).

Gli organi di Strasburgo non hanno pertanto esitato ad attribuire impor- tanza, in materia civile, al trascorrere di due anni di totale inattività tra un’udienza istruttoria e l’altra (18), allo svolgimento di due sole udienze in tre anni (19), o all’attesa di due anni tra l’udienza di precisazione delle conclusioni e l’immediatamente successiva udienza collegiale (20). La

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preliminare; Id., 10 dicembre 1982, Foti c. Italia, par. 66, in Foro it., 1983, IV, 181 (la sentenza è pubblicata pure in Cass. pen., 1983, 512, e in Riv. dir. internaz., 1983, 438), e Id., 1° marzo 2001, Orlandi c. Italia, par. 15, aventi ad oggetto l’intervallo tra la data del provvedimento di rinvio a giu- dizio e l’inizio del dibattimento; Id., 26 aprile 2001, Ferrarin c. Italia, parr. 25-26, che si riferisce ad un inammissibile intervallo di tempo tra la presentazione dell’impugnazione e la data iniziale del dibattimento d’appello; Id., 26 maggio 1993, Bunkate c. Paesi Bassi, parr. 22-23, che fa riferi- mento ad una «inaccettabile» fase di inattività totale di quindici mesi e mezzo occorsi per trasmet- tere il dossier alla Corte di cassazione. Per il caso della intempestiva rimessione ad un giudice di un diverso distretto del procedimento il cui svolgimento davanti al giudice naturale avrebbe com- portato il pericolo di turbative dell’ordine pubblico, v. inoltre C. Dir. Uomo, 10 dicembre 1982, Fo- ti c. Italia, parr. 67, 71, 74, cit., part. 191-192.

Per il caso dell’attesa di due anni tra l’udienza di precisazione delle conclusioni e l’immediata- mente successiva udienza collegiale, v. C. Dir. Uomo, 24 maggio 1991, Pugliese c. Italia, par. 19, in Riv. it. dir. lav., 1991, II, 714, part. 718, e, anche qui per una attesa biennale, Id., 17 febbraio 1992, Tusa c. Italia.

Per il caso di ripetuti e immotivati rinvii delle udienze di trattazione e dell’udienza collegiale disposti d’ufficio per periodi talvolta pari o superiori a un anno, v., in applicazione della legge Pin- to, App. Catanzaro, 30 luglio 2001, Bertolotti, in Foro it., 2002, I, 234, con osservaz. di CIVININI, 232-238.

(16) C. Dir. Uomo, 28 marzo 1990, B. c. Austria, par. 52, ha definito «deplorevole» che ad un giudice siano occorsi trentatré mesi per motivare una propria sentenza.

Tra la giurisprudenza nazionale, App. Ancona, 28 giugno-11 luglio 2001, in Guida dir., 2001, 46, 23, con nota di FINOCCHIARO, ha riconosciuto l’eccessiva durata di un procedimento in cui una riserva di decisione era stata sciolta a distanza di tre anni, liquidando a titolo di equa riparazione,

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