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La revoca o modifica

Nel documento Il controllo giudiziario delle società (pagine 154-157)

DENUNZIA AL TRIBUNALE Testo vigente

5. Provvedimenti 1 La forma

5.6. La revoca o modifica

Contro i provvedimenti «finali» adottati dal tribunale, gli artt. 26 e 27, d.lgs. 5/2003, ammettono la revoca o la modifica ed il reclamo.

Relativamente alla revoca o modifica, l’art. 26, d.lgs. 5/2003, specifica il contenuto dell’art. 742 c.p.c., chiarendo da parte di quale giudice, su im- pulso di chi ed entro quali confini, il provvedimento camerale possa esse- re revocato o modificato.

Per il 3° co. dell’art. 26, d.lgs. 5/2003, l’istanza di revoca o modifica deve essere avanzata dinanzi allo stesso giudice che ha emanato il decreto, deve essere proposta dalla «parte interessata o dal pubblico ministero» e ha ad oggetto il provvedimento di accoglimento.

Sono dunque legittimate a presentare l’istanza di revoca o modifica le «parti» e cioè i soci che abbiano proposto la denuncia (185), gli ammini- stratori e i sindaci, nonché la società. Stando alla lettera dell’ultima parte del 3° co. dell’art. 26, d.lgs. 5/2003, è altresì legittimato il pubblico mini- stero, ma è da ritenere che tale sua legittimazione sussista solo quando avrebbe potuto proporre l’azione (186) o sia comunque intervenuto ai sen- si dell’ult. co. dell’art. 70 c.p.c. ed abbia quindi assunto la qualità di parte. Diversamente, si verificherebbe la situazione piuttosto singolare secondo cui il pubblico ministero non può denunciare le gravi irregolarità compiu- te all’interno delle società chiuse, ma può domandare la revoca o modifica dei provvedimenti eventualmente disposti dal tribunale. In ogni caso, la

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(184) Così MAINETTI, sub art. 2409, in COTTINOet al. (diretto da), Il nuovo diritto societario, cit., 959.

(185) Per NAZZICONE, op. cit., 1084, con specifico riferimento alla revoca del provvedimento di nomina dell’amministratore giudiziario, nonostante l’ambigua dizione del nuovo art. 94 disp. att. c.c., secondo cui l’amministratore giudiziario «può essere revocato dal tribunale su richiesta dei soggetti legittimati a chiederne la nomina», la revoca non può essere chiesta da un socio non de- nunciante, dal momento che «il testo processuale attribuisce il potere di chiedere la revoca soltanto alla ‘parte’ interessata, che – dunque – deve essere tale» e cioè una «parte».

(186) Nel senso di una limitazione del potere di chiedere la revoca ai casi in cui può proporre la denuncia parrebbe anche NAZZICONE, op. loc. cit., che, facendo riferimento all’ipotesi di istanza di revoca della nomina dell’amministratore giudiziario scrive: «poiché sussiste un interesse generale alla corretta gestione delle società, il pubblico ministero, così come potrebbe intervenire nel proce- dimento, parimenti può chiedere la sostituzione dell’amministratore giudiziario».

necessità dell’istanza della parte interessata ovvero del pubblico ministero sembrerebbe far escludere che i provvedimenti del tribunale siano revoca- bili d’ufficio (187).

Con l’istanza di revoca o modifica si fanno valere, secondo la dizione di cui al 3° co. dell’art. 26, d.lgs. 5/2003, «nuove circostanze» (188), che in caso di precedente provvedimento di rigetto i legittimati al ricorso po- tranno sottoporre all’autorità giudiziaria riproponendo la denuncia, dal momento che (secondo una formula simile ma non identica a quella con- tenuta in materia cautelare dall’art. 669 septies c.p.c.) ai sensi del 2° co. dell’art. 26, d.lgs. 5/2003, il rigetto non preclude (189) la riproposizione dell’istanza camerale fondata su «nuovi presupposti di fatto» (190).

La disciplina appena descritta della revoca o modifica è da ritenere valga anche per la revoca dell’amministratore giudiziario che, secondo quanto di- spone il nuovo 1° co. dell’art. 94 disp. att. c.c. è possibile, da parte del tribu- nale, «su richiesta dei soggetti legittimati a chiederne la nomina» (191).

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Denunzia al tribunale

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(187) La previsione del 3° co. dell’art. 26, d.lgs. 5/2003, sostituisce, per i camerali societari, la previsione più generica di cui all’art. 742 c.p.c., secondo cui «i decreti possono essere in ogni tem- po modificati o revocati», rispetto alla quale, per quanto l’orientamento della dottrina appaia pre- valentemente negativo, la questione della revocabilità d’ufficio non trova univoca soluzione: sul punto, riguardo alla normativa previgente, cfr. CIVININI, I procedimenti in camera di consiglio, 1, cit., 281 ss.

(188) Per C. FERRI, La disciplina dei procedimenti, cit., 684, l’ampio riferimento legislativo a «nuove circostanze» consente di ritenere ammessa la revoca o modifica con riferimento non soltan- to a nuovi fatti ma anche a «qualsiasi evento o elemento di prova o profilo giuridico diverso e nuo- vo rispetto a quelli oggetto di allegazione o trattazione o prova precedentemente considerati», con l’esclusione però di semplici nuove «ragioni di diritto, salvo che le stesse forse non siano da colle- garsi a fatti di cui il giudice abbia omesso la valutazione o non siano stati oggetto di esame».

(189) La riproponibilità dell’istanza ex art. 2409 c.c. era del resto pacificamente ammessa anche nel precedente regime, data l’inidoneità al giudicato del provvedimento camerale: in proposito, per una fattispecie in cui erano stati dedotti fatti e motivi nuovi, v. Trib. Roma, 13 luglio 2000, in Giur. it., 2000, 2103 s., con osservaz. di MAINETTI, dove si esclude anche la rilevanza, ex art. 295 c.p.c., della pendenza di giudizi contenziosi aventi ad oggetto, in tutto o in parte, i fatti denunciati (posta la natura di giurisdizione volontaria del procedimento, per la non operatività dell’istituto della sospen- sione necessaria, ove sussista un rapporto di pregiudizialità con cause pendenti davanti ad altro giu- dice, v. anche App. L’Aquila, 19 gennaio 1990, in Dir. fall., 1990, II, 1092, con nota di DIGRAVIO).

(190) Secondo C. FERRI, La disciplina dei procedimenti, cit., 683, il dato testuale, che richiama «nuovi» presupposti, fa propendere per l’opinione che ai fini della riproposizione dell’istanza rile- vino esclusivamente i «fatti verificatisi dopo l’emanazione del provvedimento e decorso il termine per la proposizione del reclamo», senza potersi perciò accedere alla tesi meno restrittiva, in base alla quale rileverebbero «anche i fatti pur esistenti al momento della proposizione del ricorso ma non allegati per legittimo impedimento o per impossibilità giustificata di conoscerli».

(191) Per MAINETTI, sub art. 2409, in COTTINOet al. (diretto da), Il nuovo diritto societario, cit., 955, l’inquadramento dell’amministratore giudiziario nella categoria degli ausiliari del giudice rende tuttavia preferibile la tesi, affermata da App. Milano, 21 febbraio 1986, in Soc., 1986, 1231, secondo cui la sua revoca può essere disposta dal tribunale anche d’ufficio, in assenza di richiesta da parte «dei soggetti legittimati» a chiederne la nomina.

5.7. (Segue): ed il reclamo

Passando al reclamo, ai sensi del 1° co. dell’art. 27, d.lgs. 5/2003, che nel- la materia societaria sostituisce l’art. 739 c.p.c., il provvedimento del tri- bunale, anche di modifica o revoca di precedenti provvedimenti, è recla- mabile, su istanza dei «soggetti interessati», nel termine perentorio di die- ci giorni dalla sua comunicazione.

Gli interessati a reclamare saranno i soci (ovvero il pubblico ministero, nei casi in cui abbia proposto l’azione o sia intervenuto) la cui domanda non sia stata accolta. E viceversa potranno essere interessati al reclamo gli amministratori o i sindaci che il tribunale abbia riconosciuto responsabili del compimento di gravi irregolarità. Quanto poi alla società, dipende dal- la posizione assunta dal curatore speciale: se ha appoggiato la domanda della parte risultata soccombente avrà interesse a reclamare; se invece ha appoggiato la domanda della parte vittoriosa, no (192).

Relativamente al termine per reclamare, è da notare che esso decorre, a differenza di quanto il 2° co. dell’art. 739 c.p.c. prevedeva per i provvedi- menti camerali resi in confronto di più parti, quali devono essere conside- rati i provvedimenti ex art. 2409 c.c., non dalla notificazione del decreto (193), ma dalla sua semplice comunicazione (194), che, secondo quanto dispone l’art. 136 c.p.c., viene effettuata alle parti dal cancelliere con bi- glietto di cancelleria o con le nuove modalità tecnologiche consentite, nel- la materia societaria, dall’art. 17, d.lgs. 5/2003 (195).

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(192) Per il riconoscimento ad una società che aveva resistito in primo grado della legittima- zione a reclamare contro l’accoglimento di un ricorso proposto ex art. 2409 c.c., v. App. Roma, 29 marzo 2002, in Soc., 2002, 1392, con nota di MAINETTI.

(193) Per la giurisprudenza, la decorrenza del termine ex art. 739, 2° co., c.p.c., relativo ai pro- cedimenti plurilaterali, decorre dalla notificazione a istanza della parte, non surrogabile dalla co- municazione, neppure quando abbia avuto a oggetto il provvedimento nella sua integrità: v. Cass., Sez. Un., 29 aprile 1997, n. 3670, in Foro it., 1997, I, 3531; Id., 27 aprile 1998, n. 4260, in Giust. civ., 1999, I, 876.

(194) Nel senso che, pur in mancanza di una espressa previsione, per garantire la pienezza del diritto di difesa della parte (la cui possibilità di valersi di tutto il termine di dieci giorni per recla- mare è condizionata alla circostanza di essere subito posta a conoscenza delle ragioni che hanno portato il tribunale alla pronuncia del provvedimento), la cancelleria debba comunicare il testo in- tegrale del provvedimento e non soltanto il dispositivo, v. CANALE, Il «nuovo» procedimento, cit., 107. Per l’affermazione che «parrebbe opportuno che il decorso del termine avesse luogo a seguito della comunicazione della copia integrale del provvedimento», v. anche C. FERRI, La disciplina dei procedimenti, cit., 683.

(195) È da ricordare che per il 2° co. dell’art. 17, le disposizioni di cui al 1° co. sulla possibilità di effettuare tutte le notificazioni e comunicazioni anche a mezzo fax o per posta elettronica «si ap- plicano a tutti i procedimenti previsti dal presente decreto», compresi, è da ritenere, anche i proce- dimenti camerali.

Poiché i provvedimenti nel procedimento di denuncia per gravi irrego- larità sono emessi dal tribunale in composizione collegiale, ai sensi del 2° co. dell’art. 27, d.lgs. 5/2003, il reclamo si propone alla corte d’appello, che pronuncia anch’essa in camera di consiglio.

In presenza di gravi motivi, è possibile, secondo quanto dispone il 4° co. dell’art. 27, d.lgs. 5/2003, con una previsione che riecheggia quella dettata in tema di reclamo cautelare dal 5° co. dell’art. 669 terdecies c.p.c., chiedere al presidente del collegio la sospensione dell’esecuzione del provvedimento reclamato.

In ogni caso, in base al 3° co. dell’art. 27, d.lgs. 5/2003, il collegio, convocate le parti e assunte anche d’ufficio le informazioni ritenute neces- sarie, provvede con decreto motivato, non ulteriormente impugnabile (196), con il quale conferma, modifica o revoca il provvedimento contro cui è stato proposto il reclamo.

5.8. L’accertamento con efficacia di giudicato sulle questioni pregiu-

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