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Le alterne vicende dell’estensione alla materia industriale

Nel documento Il controllo giudiziario delle società (pagine 64-68)

ENTRATA IN VIGORE Testo d.lgs 5/

5. Le alterne vicende dell’estensione alla materia industriale

In presenza degli esposti contrasti sull’opportunità e sulla legittimità di quanto introdotto con il d.lgs. 5/2003, l’idea di estendere la nuova disci- plina alla materia della proprietà industriale ed intellettuale imponeva at- tente valutazioni, che evidentemente non sono state operate, considerate le alterne vicende alle quali si è assistito in un breve volgere di anni.

Il tutto origina da una considerazione assai semplice.

Generalmente infatti si ammette che la materia industriale presenta più di una affinità con quelle indicate dall’art. 1, d.lgs. 5/2003 (27), tanto che originariamente, in una disposizione venuta meno nel corso dei lavori par- lamentari, il progetto Mirone prevedeva l’applicabilità delle nuove norme processuali anche alla materia della concorrenza, dei brevetti e dei segni distintivi dell’impresa (28).

Traendo lo spunto da queste affinità e dalla circostanza che, quasi in con- temporanea con l’approvazione del d.lgs. 5/2003, il Parlamento ebbe ad emanare la l. 12 dicembre 2002, n. 273, che, all’art. 16, delegava il Governo a emanare «uno o più decreti legislativi diretti ad assicurare una più rapida ed efficace definizione dei procedimenti giudiziari in materia di marchi na- zionali e comunitari, brevetti d’invenzione e per nuove varietà vegetali, mo- delli di utilità, disegni e modelli e diritto d’autore nonché di fattispecie di concorrenza sleale interferenti con la tutela della proprietà industriale e in- tellettuale», venne ipotizzato che il nuovo rito processuale societario sareb- be stato esteso alla tutela della proprietà industriale e intellettuale (29).

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(27) AMADEI, sub art. 43, in AMADEIe SOLDATI, Il processo societario. Prima lettura sistemati- ca delle novità introdotte dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, Milano, 2003, 179.

(28) Cfr. il punto 3) della lett. b) del 1° co. dell’art. 11, d.d.l. C. 7123/XIII, riprodotto nel d.d.l. C. 1137/XIV, ma poi abbandonato.

Peraltro, la legge delega non precisava come potesse conseguirsi il pre- scritto risultato di assicurare la «più rapida ed efficace definizione» delle cause in materia di marchi, brevetti e concorrenza sleale, limitandosi a prevedere l’istituzione presso dodici sedi giudiziarie (30) di altrettante se- zioni specializzate, sia in primo grado che in grado d’appello, in cui fosse- ro trattati con rito collegiale tali procedimenti (31).

Ciò dava luogo a due possibili scelte.

Secondo una tesi, sarebbe stato naturale attuare la delega per la rapida ed efficace definizione delle controversie in materia di diritto industriale agganciandola alla realizzazione dell’analoga delega di cui al 1° co. del- l’art. 12, l. 366/2001, volta anch’essa «ad assicurare una più rapida ed ef- ficace definizione di procedimenti», che ha trovato attuazione con il d.lgs. 5/2003 (32).

Secondo la tesi contrapposta, invece, limitandosi a prevedere i criteri da seguire per l’istituzione delle sezioni specializzate, il Parlamento dove- va avere stimato sufficiente l’istituzione di tali sezioni per assicurare alle controversie di cui all’art. 16, 1° co., una rapida ed efficace definizione. Il Governo non avrebbe quindi potuto approntare, in sede di attuazione della

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(30) La legge fa riferimento agli uffici giudiziari di Torino, Genova, Milano, Bologna, Venezia, Trieste, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Catania. Per quanto la cosa possa apparire sorpren- dente, anziché «Catania», il legislatore intendeva, con ogni probabilità, scrivere «Cagliari». Non vi è infatti ragione di individuare due sedi per le istituende sezioni specializzate in Sicilia e nessuna in Sardegna. Il legislatore delegato si è peraltro ritenuto vincolato all’errore commesso dal legislatore delegante, sicché, come risulta dagli artt. 1 e 4, d.lgs. 168/2003, a fronte dell’assenza di sezioni specializzate in Sardegna, le cui controversie sono state assegnate alla sezione specializzata con se- de a Roma, ed alla presenza di una sola sezione in Lombardia, e cioè nella regione maggiormente industrializzata d’Italia, si avranno ben due sezioni specializzate in Sicilia.

(31) In argomento, v. BARBUTO, Brevetti: processi rapidi con le sezioni specializzate, in FOR- LENZAet al., Commento alla l. 12 dicembre 2002 n. 273, misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza, in Guida dir., 2002, 49, 35; CERRETTO, Marchi e brevetti: sezioni specializzate condizionate dall’incognita delle sedi, ivi, 2003, 10, 112-114; ID., Marchi e tribunali specializzati: una delega inattuabile, in www.dirittoegiustizia.it.

È da ricordare che l’istituzione di sezioni specializzate per brevetti e marchi era da tempo im- posta da impegni internazionali (v. l’art. 4, l. 17 agosto 1993, n. 302, di ratifica dell’Accordo di Lussemburgo sul brevetto comunitario, e gli artt. 91 e 143 del regolamento 20 dicembre 1993, n. 40/94/CE, sul marchio comunitario, la cui mancata ottemperanza ha determinato l’apertura del- la procedura d’infrazione n. 4697/2000).

Inizialmente si pensava che le sezioni specializzate in materia di diritto della proprietà indu- striale e intellettuale avrebbero trovato la propria collocazione all’interno delle più ampie sezioni specializzate sul «diritto dell’economia» di cui al d.d.l. C. 7123/XIII e poi al d.d.l. C. 7123/XIII. Ma ciò non è stato possibile perché, nel tradursi nella l. 3 ottobre 2001, n. 366, dagli originari pro- getti sono state stralciate le parti sulla riforma ordinamentale, relative all’istituzione di apposite se- zioni specializzate.

delega, una procedura diversa da quella ordinaria per la definizione delle controversie devolute alla cognizione delle sezioni specializzate. D’altra parte, si soggiungeva, intervenire sulla disciplina processuale nell’assenza di principi indicati dal legislatore delegante avrebbe suscitato fondati dub- bi di illegittimità costituzionale per eccesso di delega (33).

In un primo tempo, tale ultima opinione prevalse.

Così, il d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, recante «Istituzione di sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale presso tri- bunali e corti d’appello, a norma dell’art. 16, legge 12 dicembre 2002, n. 273», evitò di dettare una procedura apposita per rendere più rapida ed efficace la definizione dei processi né, tanto meno, operò un rinvio al d.lgs. 5/2003. Ciò significa che, anche dopo il d.lgs. 168/2003, in materia industriale avrebbe dovuto continuarsi ad applicare il rito ordinario deli- neato dal codice di procedura civile (34).

Probabilmente, la conclusione non poteva essere diversa, tanto più che già il nuovo rito speciale a cognizione piena dettato dal d.lgs. 5/2003 ap- pariva, a causa della sua radicale diversità rispetto all’attuale rito ordina- rio, di dubbia legittimità costituzionale sotto il profilo del rispetto della delega (35). Estendere alle liti sul diritto della proprietà industriale e intel- lettuale il rito speciale delle controversie societarie, ispirato alle indicazio- ni del d.d.l. delega di riforma del codice di procedura civile elaborato dal- la «Commissione Vaccarella», sarebbe stato pertanto soggetto a un doppio rischio di annullamento da parte della Consulta: da un lato vi sarebbe sta- to il pericolo di eccedere la delega contenuta nella l. 3 ottobre 2001, n. 366, e dall’altro lato ci sarebbe stato il pericolo di importare nella mate- ria del diritto industriale una disciplina a sua volta fortemente sospettata di incostituzionalità.

D’altra parte, come si è in precedenza accennato, appariva altresì possi- bile che, per evitare i contraccolpi fortemente negativi sul piano della rego-

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(33) Per questa impostazione, v. CERRETTO, Marchi e brevetti, cit., 112-114; ID., Marchi e tri- bunali, cit.

(34) La Relazione governativa di accompagnamento allo schema di decreto approvato il 23 maggio 2003 dal Consiglio dei Ministri espone al riguardo: «le norme processuali da applicarsi per la trattazione dei giudizi devoluti alle sezioni specializzate per le controversie in materia di pro- prietà industriale ed intellettuale, in assenza di diverse indicazioni provenienti dal legislatore dele- gante, si è ritenuto che debbano essere quelle del rito civile ordinario».

(35) Secondo il parere reso dal C.S.M. sullo schema di decreto, la scelta del legislatore delega- to di discostarsi dal modello adottato dall’attuale codice di rito, che prevede un potere di collabora- zione del giudice nella definizione del thema probandum e del thema decidendum, non poteva es- sere effettuata, in mancanza di una indicazione in questo senso da parte del legislatore delegante.

lare amministrazione della giustizia di una eventuale declaratoria di illegit- timità costituzionale del nuovo rito societario, nel periodo immediatamente seguente all’entrata in vigore del d.lgs. 5/2003 si assistesse ad una ratifica ex post, tramite legge formale, dell’operato del Governo. E, se così fosse avvenuto, il Parlamento avrebbe potuto cogliere l’occasione di estendere al diritto industriale le innovazioni processuali di cui alla materia societaria, tornando così alle originarie previsioni contenute nel d.d.l. C. 7123/XIII e nel d.d.l. C. 1137/XIV, nonché dando corpo all’eccessivamente generico criterio direttivo della «più rapida ed efficace definizione dei procedimenti giudiziari» in materia di marchi e brevetti, di cui all’art. 16, l. 273/2002.

In un secondo tempo, tuttavia, trovandosi ad operare il «riassetto» del- la materia esercitando un’ulteriore delega, contenuta nell’art. 15 sempre della l. 273/2002, il legislatore, con il d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, re- cante «Codice della proprietà industriale» (o c.p.i.), ha provveduto – se- condo le parole della Relazione governativa – «ad assoggettare tutte le controversie di competenza delle sezioni specializzate alle norme di pro- cedura contenute nei Capi I e IV del Titolo II, a quelle del Titolo III non- ché agli artt. 35 e 36 del Titolo V del d.lgs. 5/2003, le quali – com’è noto – sono state emanate per essere applicabili nelle controversie di diritto so- cietario e per conseguire quivi risultati di maggiore efficienza: risultati che, se sono necessari per il diritto delle società, lo sono altrettanto per il diritto della proprietà industriale ed anzi, forse, ancor di più» (36).

In altri termini, le norme procedurali dettate dal d.lgs. 5/2003 per quan- to riguarda il processo di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione collegiale (Titolo II, Capo I, d.lgs. 5/2003), per quanto ri- guarda il procedimento in grado d’appello (Titolo II, Capo IV, d.lgs. 5/2003), per quanto riguarda il procedimento cautelare (Titolo III, d.lgs. 5/2003), e per quanto riguarda la disciplina procedimentale dell’arbitrato (Titolo V, artt. 35 e 36, d.lgs. 5/2003), vennero importate nel codice dei di- ritti di proprietà industriale.

È così che l’art. 134, 1° co., c.p.i. ha richiamato per i procedimenti giu- diziari in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale, le norme del d.lgs. 5/2003 sul processo di cognizione e sul procedimento cautelare, mentre il 2° co. del medesimo articolo ha richiamato gli artt. 35 e 36, d.lgs. 5/2003, in materia di arbitrato societario.

Non era però finita qui.

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(36) Relazione illustrativa del «Codice dei diritti di proprietà industriale» con commento arti- colo per articolo, par. 14.1.

In un terzo tempo, la Consulta ha infatti ritenuto che l’art. 15, l. 273/2002, non consentisse al legislatore delegato di innovare, tramite il richiamo al d.lgs. 5/2003, la disciplina processuale ed ha quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 76 Cost., l’art. 134, 1° co., c.p.i. nella parte in cui prevedeva l’applicazione del rito societario, di cognizione e cautelare, alle controversie in materia di proprietà indu- striale e di concorrenza sleale (37).

In conclusione, dunque, la materia industriale è tornata sotto il regime delle ordinarie regole processuali, essendo stato cancellato dal giudice delle leggi l’innesto delle norme di cui al d.lgs. 5/2003, salvo che per quanto riguarda gli artt. 35 e 36, d.lgs. 5/2003, tuttora applicabili dal mo- mento che il 2° co. dell’art. 134 c.p.i., a differenza del 1° co., non è stato investito dalla declaratoria di illegittimità costituzionale.

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