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Effetti del richiamo alla procedura dettata dagli artt 38, 39 e 40, d.lgs 5/

Nel documento Il controllo giudiziario delle società (pagine 194-197)

DENUNZIA AL TRIBUNALE Testo vigente

2. Effetti del richiamo alla procedura dettata dagli artt 38, 39 e 40, d.lgs 5/

Nonostante la perdurante possibilità per le parti di un contratto di franchi- sing di non pattuire nulla quanto alla conciliazione e quindi di rimanere li- bere di adire immediatamente l’autorità giudiziaria o di pattuire forme di conciliazione stragiudiziale diverse da quelle disciplinate dagli artt. 38, 39 e 40, d.lgs. 5/2003, non si può dire che l’art. 7, l. 129/2004, sia superfluo (5).

La ragione è semplice.

Senza l’espresso rinvio agli artt. 38, 39 e 40, d.lgs. 5/2003, non sarebbe stato possibile attribuire efficacia esecutiva ai verbali di conciliazione, che, ai sensi dell’art. 40, 8° co., una volta omologati con decreto del presi- dente del tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo di conciliazio- ne, costituiscono titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecu- zione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. In propo- sito è appena il caso di aggiungere che i normali verbali di conciliazione, di per sé, non hanno alcuna efficacia esecutiva, ma valgono quali meri do- cumenti contrattuali, e che l’efficacia esecutiva deve essere espressamente

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Effetti del richiamo alla procedura dettata dagli artt. 38, 39 e 40, d.lgs. 5/2003 1635

tentativo di conciliazione presso le Camere di commercio era previsto come obbligatorio, ma suc- cessivamente questa previsione è caduta. Sul punto, per una valutazione positiva della scelta legi- slativa di abbandonare l’obbligatorietà del tentativo, v. VACCÀ, La conciliazione extragiudiziale nella legge sui contratti di franchising, in Contratti, 2004, 643.

(4) Per l’opinione che, nonostante il richiamo alle disposizioni di cui agli artt. 38, 39 e 40, d.lgs. 5/2003, in quanto compatibili, le parti continuino ad essere libere di pattuire modalità diver- se di conciliazione, v. BORTOLOTTI, La nuova legge sul franchising: prime impressioni, in Contr. e Imp./Europa, 2004, 119.

(5) Nel senso che, «non prevedendo un tentativo di conciliazione obbligatorio, la norma è inu- tile», dato che anche senza la previsione dell’art. 7 della nuova l. 129/2004 le parti avrebbero certa- mente potuto ricorrere ugualmente alla conciliazione, v. invece BORTOLOTTI, op. loc. cit.

prevista dalla legge, come per l’appunto è il caso dei verbali di concilia- zione societaria richiamati dall’art. 7, l. 129/2004, verso cui il legislatore ripone fiducia anche in virtù della particolare qualificazione dei soggetti ai quali viene riconosciuta, ex art. 38, d.lgs. 5/2003, la possibilità di offri- re i servizi di conciliazione, e alle particolari garanzie procedimentali pre- viste dall’art. 40, d.lgs. 5/2003.

Ma il rinvio alle norme sulla conciliazione societaria non ha solo l’ef- fetto di dotare di efficacia esecutiva i verbali di intervenuta conciliazione, che altrimenti ne sarebbero privi.

Ulteriori importanti conseguenze sono quelle previste dall’art. 40, 6° co., d.lgs. 5/2003, in tema di improcedibilità dell’azione dinanzi all’auto- rità giudiziaria ordinaria in caso di mancato svolgimento del tentativo di conciliazione convenzionalmente previsto, e quelle di cui al 5° co. del me- desimo articolo, in tema di rilevanza del comportamento assunto dinanzi all’organo di conciliazione ai fini della condanna alle spese nel successivo eventuale processo.

Quanto all’improcedibilità, per l’art. 40, 6° co., d.lgs. 5/2003, il pre- ventivo esperimento del tentativo di conciliazione condiziona la proponi- bilità della domanda giudiziale, con la conseguenza che la parte può agire in giudizio anche prima della proposizione dell’istanza di conciliazione, ma il processo deve essere temporaneamente sospeso in attesa dell’instau- razione del procedimento di conciliazione (6). Ed è da rimarcare che la sospensione del processo non sarebbe possibile in assenza del richiamo a tale effetto da parte dell’art. 7, l. 129/2004, dal momento che la violazione di un normale patto «di diritto comune», per sottoporre preventivamente a conciliatori la controversia, di per sé potrebbe avere conseguenze solo sul piano della responsabilità per inadempimento contrattuale (7).

Eugenio Dalmotto © 88-08- 4378

Legge 6 maggio 2004, n. 129

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(6) Un meccanismo analogo è previsto per le controversie individuali di lavoro ed è stato rico- nosciuto costituzionalmente legittimo, nonostante la temporanea compressione del diritto di agire in giudizio sancito dall’art. 24 Cost., anche in altre materie (v., in proposito, C. Cost., 13 luglio 2000, n. 276, in Foro it., 2000, I, 2752, in tema di controversie individuali di lavoro; Id., 4 marzo 1992, n. 82, ivi, 1992, I, 1023, con nota di COSTANTINO, in tema di impugnazione del licenziamen- to soggetto a tutela obbligatoria; Id., 21 gennaio 1988, n. 73, ivi, 1988, I, 3666, in tema di contro- versie in materia di contratti agrari).

(7) Nel senso dell’esclusione della natura obbligatoria e pregiudiziale rispetto al normale ricor- so all’autorità giudiziaria delle normali clausole contrattuali relative al preventivo tentativo di con- ciliazione (e/o di composizione amichevole), v. Trib. San Remo, 27 agosto 1998, in Foro pad., 1999, I, 234, con nota di CURTI; Cass., 3 dicembre 1987, n. 8983, in Mass. Foro it., 1987. In argo- mento, in senso critico rispetto all’orientamento assunto dalla Suprema Corte, cfr. CURTI, Profili processuali delle clausole di conciliazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, 1039 ss., il quale so- stiene che a tutte le clausole di conciliazione deve essere riconosciuto lo stesso effetto preclusivo

Quanto poi alla condanna alle spese, l’art. 40, 5° co., d.lgs. 5/2003, re- cita che la «mancata comparizione di una delle parti e le posizioni assunte dinanzi al conciliatore sono valutate dal giudice nell’eventuale successivo giudizio ai fini della decisione sulle spese processuali, anche ai sensi del- l’art. 96 c.p.c. Il giudice, valutando comparativamente le posizioni assunte dalle parti e il contenuto della sentenza che definisce il processo dinanzi a lui, può escludere, in tutto o in parte, la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato la conciliazione, e può anche condannarlo, in tutto o in parte, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente» (8). Ovviamente, anche qui, solo il richiamo alla disciplina della conciliazione societaria consente di far operare, in materia di franchising, regole che nulla hanno a che vedere con la conciliazione di diritto comune, che ha valenza esclusivamente contrattuale.

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all’instaurazione del procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria che viene pacificamente ricono- sciuto alle clausole per arbitrato irrituale. È peraltro da segnalare che, in un ordinamento a noi si- mile come quello francese, la Cour de cassation, con arrêt du 14 février 2003, ponendo termine ad alcune incertezze giurisprudenziali, ha stabilito che l’inosservanza dell’obbligo contrattuale di ten- tare la conciliazione in caso di lite è, su istanza di una delle parti, motivo di improcedibilità dell’a- zione giudiziaria.

(8) Una previsione simile, che però non sembra poter giungere ad escludere del tutto l’operati- vità del principio della soccombenza, è contenuta nell’ult. co. dell’art. 412 c.p.c., secondo il quale, nell’ambito del processo del lavoro, il giudice «tiene conto in sede di decisione sulle spese del suc- cessivo giudizio» delle risultanze del verbale di mancata conciliazione stragiudiziale (cfr. anche l’art. 194 bis, 6° co., l. 22 aprile 1941, n. 633, in tema di tutela del diritto d’autore, come introdotto dal d.lgs. 9 aprile 2003, n. 68, secondo cui nel giudizio ordinario sono acquisiti, anche d’ufficio, i verbali concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito, ed, in questo caso, «il giudice valuta il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa ai fini del regolamento delle spese»).

Decreto ministeriale 23 luglio 2004, n. 222

Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione

di cui all’art. 38 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5

1.Definizioni. – Ai fini del presente regolamento si intende per:

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