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Gli sviluppi: le resistenze al varo della riforma

Nel documento Il controllo giudiziario delle società (pagine 57-64)

ENTRATA IN VIGORE Testo d.lgs 5/

3. Gli sviluppi: le resistenze al varo della riforma

Per le ragioni esposte, era troppo ottimistico prevedere un agevole passag- gio delle consegne tra vecchio e nuovo rito.

Era semmai probabile che, per quanto le controversie di cui all’ambito di applicazione del d.lgs. 5/2003 siano in genere di appannaggio del setto- re più qualificato e dinamico del ceto forense, con l’entrata in vigore della legge fossero destinate ad evidenziarsi difficoltà e a levarsi proteste.

Il rischio (o, a seconda dei punti di vista, la speranza) era che le lamen- tele, giustificate anche da ragionevoli considerazioni sulla necessità di ag- giustamenti del nuovo testo normativo per realizzare un migliore coordi- namento con le leggi processuali attualmente in vigore o in via di emana- zione (7), finissero per saldarsi con le istanze di chi critica l’opportunità delle modifiche introdotte dal nuovo processo.

In questo quadro, non poteva escludersi la soluzione drastica dell’ab- bandono del d.lgs. 5/2003, i cui obiettivi di velocizzazione e recupero di efficienza, in attesa del futuro ed incerto realizzarsi del cammino intrapre- so con la presentazione del progetto Vaccarella sulla riforma globale del rito civile, sembravano più facilmente perseguibili con l’approvazione del d.d.l. C. 2229/XIV, recante «Modifiche urgenti al codice di procedura ci- vile», che intendeva operare semplici aggiustamenti sul corpo del codice di rito, mantenendone inalterati i tratti fondamentali (8).

Tale eventualità non si è però verificata, nonostante che i contenuti del d.d.l. C. 2229/XIV siano stati in larga parte recepiti dall’ampia manovra riformatrice che ha investito, sul finire della XIV legislatura, il processo civile e che ha visto l’emanazione del d.l. 14 marzo 2005, n. 35 (il cosid- detto decreto competitività); della l. 14 maggio 2005, n. 80 (di conversio- ne, includendo un maxiemendamento, del d.l. 35/2005); della l. 28 dicem-

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(7) Per una riflessione sull’opportunità di un differimento del varo del d.lgs. 5/2003 al fine di coordinarlo con la riforma generale del processo civile o, quanto meno, con i «provvedimenti ur- genti» di cui al d.d.l. C. 2229/XIV, preannunciati come di imminente emanazione, v. TARZIA, Inter- rogativi sul nuovo processo societario, cit., 641 ss.

(8) Nel senso che gli aggiustamenti contenuti nel d.d.l. C. 2229/XIV fossero preferibili alla «ri- voluzione copernicana» di cui al d.lgs. 5/2003, cfr., con varietà di toni, cfr. PROTOPISANI, Verso una nuova stagione di riforme, cit., 192; VULLO, Il nuovo processo delle società, in Studium Iuris, 2003, 551; DIDONE, Risorge la «matricula mercatorum», il rito speciale per le società, in Dir. e Giust., 2003, 4, 55, ora Appunti sul nuovo processo societario di cognizione (con l’ausilio del «commento anticipato» del Mortara e del Ricci), in Giur. it., 2003, 1982; e il parere espresso dal C.S.M. sullo schema di decreto approvato dal Consiglio dei Ministri il 30 settembre 2002, poi di- venuto il d.lgs. 5/2003.

bre 2005, n. 263 («Interventi correttivi alle modifiche introdotte con legge 80/2005 ed ulteriori modificazioni del c.p.c.»); della l. 24 febbraio 2006, n. 52 («Riforma delle esecuzioni mobiliari»); del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 («Modifiche al c.p.c. in materia di processo di cassazione e di arbi- trato»); nonché della l. 8 febbraio 2006, n. 54 («Separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli»).

La l. 80/2005 ha anzi introdotto una nuova disposizione, l’art. 70 ter disp. att. c.p.c., che rimette alla concorde volontà delle parti la possibilità di scegliere il rito societario anche al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 1, d.lgs. 5/2003, adottandolo in alternativa al rito ordinario (9).

Il rito societario è così divenuto non più limitato alla trattazione di spe- cifiche materie ma pienamente alternativo rispetto al rito ordinario.

Sennonché, in pratica, non risulta che la facoltà oggi riconosciuta ai li- tiganti di optare per il rito societario in materie diverse da quelle origina- riamente previste sia stata in concreto esercitata in un numero apprezzabi- le di casi (10).

Ne consegue che, qualora avesse seguito la proposta, avanzata nell’ul- timo d.d.l. sulla riforma del processo civile di cui si ha notizia (11), di ri- chiedere il consenso di tutte le parti per utilizzare il rito societario anche quando la controversia abbia ad oggetto materie previste dall’art. 1, d.lgs. 5/2003, la sorte del rito societario apparirebbe segnata.

Lo scarso amore per il rito societario dimostrato dal negletto ricorso al- l’art. 70 ter disp. att. c.p.c. renderebbe infatti estremamente raro il ricorso alla procedura di cui al d.lgs. 5/2003 nel caso in cui questo si applicasse esclusivamente quando tutti i contendenti lo volessero (12).

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(9) In argomento, cfr., tra gli altri, supra CHIARLONI, sub art. 70 ter disp. att. c.p.c.; BALENA, in BALENAe BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2007, 53 ss.; AMBROSIOe AMEN- DOLA, La scelta del rito ai sensi dell’art. 70 ter disp. att. c.p.c., in Corr. giur., 2006, 1025 ss.

(10) Non esistono statistiche in proposito, ma una indicazione piuttosto eloquente è rappresen- tata dall’assenza di giurisprudenza sull’art. 70 ter disp. c.p.c., che pure, per la sua non felice for- mulazione, si presterebbe facilmente a controversie e quindi a pronunce sulla sua corretta applica- zione.

(11) Ci si riferisce allo schema di decreto presentato, con il titolo «Disposizioni per la raziona- lizzazione e l’accelerazione del processo civile», nel corso della XV legislatura, dal Ministro della giustizia, l’on. Clemente Mastella, consultabile al sito www.judicium.it (22 marzo 2007).

(12) Si avrebbe in altri termini una sostanziale abrogazione del processo introdotto con il d.lgs. 5/2003, e, secondo quanto scritto da LUISO, Prime osservazioni sul disegno Mastella per la riforma del processo civile, in www.judicium.it, par. 24 (2 aprile 2007), si darebbe così «soddisfazione a chi, in questi ultimi anni, ha considerato il rito societario come la fonte di tutti i mali del processo», tanto da giungere ad affermare, come CHIARLONI, Modello societario inefficace, in Sole-24 Ore, 29 maggio 2006, 37; ID., Il rito societario a cognizione piena: un modello processuale da sopprimere,

4. (Segue): e i dubbi di costituzionalità gravanti sul nuovo processo

Resta inoltre aperto il problema se l’introduzione del nuovo rito speciale a co- gnizione piena per la materia societaria, finanziaria e bancaria fosse costituzio- nalmente corretto nel contesto dei rapporti tra legge delega e decreto delegato. L’art. 12, 2° co., punto 2), lett. a), l. 3 ottobre 2001, n. 366, che la Rela- zione governativa allo schema di decreto indica come la fonte diretta del potere di emanare le relative norme (13), si limitava invero a stabilire che, per assicurare la «più rapida ed efficace definizione dei procedimenti» so- cietari, finanziari e bancari prescritta dal 1° co., il Governo avrebbe potuto dettare regole processuali volte a prevedere «la concentrazione del proce- dimento e la riduzione dei termini processuali».

Letteralmente, dunque, la delega consentiva al Governo due cose. Una era di accorciare la catena delle udienze, che nel rito ordinario di cognizione si snodava nei passaggi, oggi in parte accorpati dalla l. 80/2005, e successive modifiche, dell’udienza di prima comparizione, della prima udienza di trattazione, dell’udienza di ammissione delle prove e delle even- tuali udienze istruttorie nonché per la precisazione delle conclusioni.

L’altra era di comprimere i termini processuali, come ad esempio è già previsto nel giudizio dinanzi al giudice di pace e nelle opposizioni a de- creto ingiuntivo, dove, ai sensi, rispettivamente, dell’art. 318, 2° co., e del- l’art. 645, 2° co., c.p.c., i termini di comparizione sono ridotti alla metà.

Il legislatore delegato poteva cioè intervenire sull’articolazione delle udienze e sull’entità dei termini processuali (14), ma, nulla essendo previ-

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in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 865 ss., che «una sola operazione chirurgica si raccomanda: la soppressione del rito societario, quanto prima tanto meglio». Che l’idea sottesa all’ultimo d.d.l. sia proprio quella di lasciare il rito societario al proprio destino emerge del resto anche dalla rinuncia a proporre qualsivoglia aggiustamento al d.lgs. 5/2003, nella convinzione, evidentemente, che le storture evidenziatesi in questi anni di applicazione non siano raddrizzabili (per considerazioni di questo tipo, con il rammarico che si stia rinunciando ad introdurre correttivi che potrebbero salvar quanto di buono il rito societario, pur entro limiti palesi, lascerebbe intravedere, cfr. CECCHELLA, Il de profundis del rito societario, in Dir. prat. soc., 2007, 9, 6 ss.

(13) Nella Relazione ministeriale si legge: «si è ritenuto di realizzare «la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini [rectius: tempi] processuali» attraverso la previsione di un rito caratterizzato» dagli elementi che sono previsti negli artt. da 2 a 18 del decreto.

(14) Ed in effetti, a commento della legge delega, si era pensato che il legislatore delegato avrebbe provveduto «a una riduzione dei termini della vocatio in ius e di costituzione delle parti, alla soppressione dell’udienza di prima comparizione prevista dall’art. 180 c.p.c. e al suo accorpa- mento con l’udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c., in ragione del carattere in genere documentale di questo tipo di procedimenti», e più in generale si riteneva che fosse «possibile una riduzione di tutti i termini per il deposito di memorie»: così PANZANI, Un procedimento sommario per sveltire le cause, in Guida dir., 2001, 40, 58.

sto in proposito, non sembra avesse il potere di perseguire il fine di una più rapida ed efficace definizione dei procedimenti introducendo una compiuta disciplina di un nuovo rito a cognizione piena modellato su principi radicalmente difformi da quelli a cui si ispira l’attuale rito ordina- rio (15).

Del resto, nel tracciare lo schema di un d.d.l. delega di riforma del co- dice di procedura civile la Commissione Vaccarella ha sentito l’esigenza, per suggerire la modifica dei principi ispiratori della fase iniziale del pro- cesso, della definizione del thema probandum e del thema decidendum e dell’udienza di trattazione, di articolare cinque dettagliati punti accompa- gnati ciascuno da una specifica Relazione (16), sicché appare piuttosto sorprendente aver potuto trarre dalla lett. a) del 2° co. dell’art. 12, l. 366/2001, una disciplina di pari complessità rispetto a quella che nei pro- getti dei conditores dovrebbe discendere dall’attuazione di ben cinque punti, poi suddivisi, nel d.d.l. delega C. 4578/XIV, in cinque articoli, com- posti, complessivamente, da una quindicina di paragrafi.

Difficilmente si può quindi sfuggire alla seguente alternativa.

O il legislatore delegato, avendo introdotto innovazioni eccedenti il mandato di concentrare le udienze e ridurre i termini, ha ecceduto i limiti dell’incarico conferitogli dal Parlamento, violando così l’art. 76 Cost., che impone al Governo il rispetto dei principi e criteri direttivi dettati dalla legge delega (17).

O il mandato di concentrare le udienze e ridurre i termini non era nul- l’altro che un’indicazione esemplificativa delle modalità con cui si sareb- be potuto raggiungere l’obiettivo della «più rapida ed efficace definizione

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(15) Secondo il parere reso dal C.S.M. sullo schema di decreto, il legislatore delegato «avrebbe dovuto assumere come tertium comparationis il processo ordinario di cognizione qual è disciplina- to dal Libro II del codice di rito, rispetto al quale» avrebbe dovuto realizzarsi ogni necessaria mo- difica. La scelta di sottrarre a qualunque intervento del giudice e rimettere alle parti la gestione del- l’intera fase preparatoria, mentre il codice attuale prevede un potere di collaborazione del giudice nella definizione del thema probandum e del thema decidendum, pur di per sé pienamente legittima e ovviamente rientrante nel campo delle scelte discrezionali del legislatore, non poteva, ad avviso del C.S.M., essere operata dal legislatore delegato, dal momento che dalla legge delega non si rica- va l’intenzione del legislatore delegante di abbandonare il modello processuale sinora adottato.

(16) Lo nota sempre il parere del C.S.M. Per il medesimo rilievo v. CARRATTA, Riflessioni «a prima lettura» sui riti per le controversie societarie e finanziarie, in Dir. e Giust., 2003, 7, 106.

(17) Nel senso che a configurare l’eccesso di delega è sufficiente che «la norma delegata scon- fini dal fisiologico «riempimento» della norma delegante», v. C. Cost., 3 giugno 1998, n. 198, in Foro it., 1998, I, 3026 ss. Sui problemi di costituzionalità suscitati dai rapporti tra legge delega e decreto legislativo, v., in generale, tra gli altri, RUGGERIe SPADARO, Lineamenti di giustizia costitu- zionale, 2ª ed., Torino, 2001, 111 ss.; CERRI, voce «Delega legislativa», in Enc. Giur., X, Roma, 1988, 1 ss.

dei procedimenti» di cui al 1° co. dell’art. 12, come lascia intendere la so- stanziale «correzione» che la Relazione governativa allo schema di decre- to ha ritenuto di apportare al criterio indicato nell’art. 12, 2° co., lett. a) della legge delega («riduzione dei termini processuali»), riferendolo ad una generica direttiva a «ridurre i tempi processuali». In quest’ultimo ca- so, il Governo si sarebbe mosso correttamente, introducendo il nuovo rito a cognizione piena proprio per assicurare maggiore efficienza ed efficacia. Ma ad essere incostituzionale sarebbe allora, per la sua «insufficienza», la stessa l. 366/2001, postasi in contrasto con il dovere, derivante anch’esso dall’art. 76 Cost., di contenere principi e criteri direttivi sufficientemente specifici e determinati (18).

Naturalmente, nell’ipotesi in cui l’esposto ragionamento sia corretto (19), i rischi sono gravi.

L’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale (20) delle nuove norme processuali avrebbe, al pari delle declaratorie di illegittimità costi-

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(18) Così anche il parere del C.S.M., nonché CARRATTA, Riflessioni «a prima lettura», cit., 21. Sull’incostituzionalità della legge delega per aver omesso la «determinazione di principi e cri- teri direttivi», cfr. C. Cost., 21 gennaio 1999, n. 8, in Giur. cost., 1999, 61; Id., 24 luglio 1995, n. 362, in Foro it., 1996, I, 2671 ss.; Id., 13 maggio 1993, n. 237, ivi, 1993, I, 3198 ss.

(19) Nel senso dell’incostituzionalità della nuova normativa per eccesso di delega o comunque per l’eccessiva genericità della legge di delegazione, oltre al parere del C.S.M., e a CARRATTA, op. ult. cit., 21 e 106, v. RIVACRUGNOLA, Le attività del giudice nel nuovo «processo societario» di co- gnizione di primo grado: fissazione dell’udienza, istruzione, fase decisoria, in Soc., 2003, 782; CONSOLO, Esercizi imminenti sul c.p.c.: metodi asistematici e penombre, in Corr. giur., 2002, 1543 s., secondo cui il d.lgs. 5/2003 desta «preoccupazioni e occasioni di sconcerto, fin – a ben vedere – da quella di fondo sulla legittimità della sua ragion d’essere» dal momento che la legge delega 366/2001 non contemplava né consentiva l’emanazione di «un mini-codice di diritto processuale civile societario (e processuale bancario-finanziario ex d.lgs. 58/1998)». Sul punto, v. ora supra, CARRATTA, sub Premessa, par. 2, e TARZIA, Interrogativi sul nuovo processo societario, cit., 641 ss. (20) Secondo quanto esposto supra da CARRATTA, sub Premessa, par. 2 (già in Riflessioni «a prima lettura», cit., 106), al di là dei problemi del rispetto della legge di delegazione, vi sarebbe soprattutto da considerare come, in riferimento alla fase preparatoria, il nuovo rito prescinda dal dettato costituzionale dell’art. 111, 2° co., Cost., «che impone di disciplinare il processo (in tutto il suo corso) in modo tale da assicurarne lo svolgimento «nel contraddittorio tra le parti, in condizio- ni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale»: condizioni, queste», che verrebbero a manca- re «sia quando il paritario trattamento fra le parti venga limitato al solo aspetto formale (e non si tenga conto, invece, della ‘sostanza del problema’), sia quando in alcuni momenti del processo si precluda (salva una diversa volontà delle parti) la possibilità di intervento dell’organo giurisdizio- nale». In altri termini, se ben s’intende, il nuovo processo sarebbe incostituzionale, in violazione degli artt. 3, 2° co., e 111, 2° co., Cost., perché l’assenza del giudice dalla fase preparatoria, lascia- ta interamente al dominio dei privati e quindi all’abilità dei rispettivi avvocati, non consentirebbe di assicurare l’uguaglianza sostanziale delle parti, possibile solo attraverso l’attività di riequilibrio svolta dal giudice e non certo grazie agli istituiti di assistenza giudiziaria ai non abbienti, i quali «non mirano affatto ad eliminare il dislivello economico e sociale fra le parti del processo, ma solo a garantire un minimo aiuto economico ai non abbienti» (CARRATTA, Riflessioni «a prima lettura», cit., 110, adesso supra, sub Premessa, par. 4).

tuzionale delle norme sostanziali, effetto dichiarativo e quindi sarebbe, in sostanza, retroattiva (21), salvo il limite dei rapporti esauriti, delle statui- zioni irrevocabili e delle intervenute preclusioni o decadenze.

Ciò comporterebbe effetti molto negativi sul piano della regolare am- ministrazione della giustizia. Né si può sperare che, in considerazione de- gli effetti dirompenti di una sua pronuncia, la Consulta rinunci a pretende- re la corretta applicazione dell’art. 76 Cost. e ad assicurare la regolare esplicazione dei rapporti istituzionali tra Parlamento e Governo.

L’unica via d’uscita pareva pertanto una ratifica ex post, tramite legge formale, dell’operato del Governo (22).

Nessuna iniziativa è stata peraltro assunta sul piano legislativo, sicché i primi ricorsi, tesi alla caducazione del processo introdotto dal d.lgs. 5/2003, sono approdati alla Corte Costituzionale (23).

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(21) L’orientamento assolutamente prevalente, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, rico- nosce, salvo il limite dei rapporti esauriti, delle statuizioni irrevocabili e delle preclusioni o deca- denze, la retroattività delle sentenze dichiarative dell’incostituzionalità di norme processuali: sul- l’efficacia temporale delle sentenze di accoglimento v. da ultimi; in generale, RUGGERIe SPADARO, op. cit., 211-220; T. MARTINES, Diritto costituzionale, 8ª ed., Milano, 1994, 588-591; ZAGREBEL- SKY, voce «Processo costituzionale», in Enc. Dir., XXXVI, Milano, 1987, 629-636, ora La giusti- zia costituzionale, Bologna, 1988, 258-269; CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, L’or- dinamento costituzionale italiano, Padova, 1984, 384-387; specificamente per il processo civile, v. CAPPONI, La legge processuale civile. Fonti interne e comunitarie (applicazioni e vicende), Tori- no, 2001, 136 ss.; ID., Appunti sulla legge processuale civile (fonti e vicende), Torino, 1999, 104 ss., e, per il processo penale, MAZZA, La norma processuale penale nel tempo, in Tratt. Ubertis- Voena, I, Milano, 1999, 316 ss.

Il tema è recentemente tornato di attualità in materia di notificazioni a mezzo posta, a seguito della declaratoria di incostituzionalità del meccanismo di notificazione postale al temporaneamen- te assente contemplato dall’art. 8, l. 20 novembre 1982, n. 890, pronunciata con la sentenza 23 set- tembre 1998, n. 346 (in Giur. it., 1999, 1568, con nota di BALENA, e in Corr. giur., 1998, 1428, con commenti di CAPONIe di CONTE), che si è riflettuta su numerosissimi processi. Nella fattispecie, tanto la Cassazione civile (v. ad es. Cass., 7 giugno 2000, n. 7704, Id., 10 maggio 2000 n. 5992, Id., 3 maggio 1999, n. 4383, Id., 13 febbraio 1999, n. 1203, tutte in Giur. it., 2001, 467, con mia nota) quanto la Cassazione penale (da ultima, v. Cass. Pen., Sez. Un., 8 maggio 2002, in Guida dir., 2002, 30, 63, con nota di SANTORO), dove pure in passato si erano registrate delle incertezze, hanno ripetutamente ribadito la regola del dispiegamento degli effetti della declaratoria anche nei con- fronti degli atti processuali compiuti prima della pronuncia di incostituzionalità, con conseguente sopravvenuta nullità degli stessi, con la sola salvezza delle situazioni ormai definite.

(22) Ricorrendo la necessità ed urgenza di evitare i gravi problemi suscitati da un’eventuale pronuncia di incostituzionalità del nuovo modello processuale introdotto con il d.lgs. 5/2003, pare- va legittima addirittura l’emanazione di un decreto-legge da parte dello stesso potere esecutivo, salva naturalmente la successiva conversione in legge ad opera delle Camere.

(23) Con varietà di accenti ma richiamando sempre anche l’art. 76 Cost., cfr. Trib. Brescia, 18 ottobre 2004, in Soc., 2005, 85, con nota di SENINI, e in Giur. merito, 2005, 1327, con nota di CONFORTI, nonché con commento di MENCHINI, in Corr. giur., 2005, 301; oltre a diciannove ordi- nanze di rimessione dal contenuto sostanzialmente identico emesse dal Tribunale di Napoli, di cui v., per tutte, Trib. Napoli, 6 aprile 2005, in G.U., prima serie speciale, 2005, n. 26.

La Consulta ha respinto tali ricorsi; ma non nel merito, bensì rilevando la loro manifesta inammissibilità per ragioni di carattere formale (24).

Non è dunque escluso che la questione della globale legittimità costitu- zionale del nuovo rito societario, proposta in termini differenti, ritorni pre- sto all’attenzione del giudice delle leggi (25).

Nel frattempo, taluni incidenti di costituzionalità relativi a singole di- sposizioni inerenti al rito societario sono state accolte proprio sull’assunto della violazione dell’art. 76 Cost.

Così, la Corte Costituzionale ha censurato, per eccesso di delega, l’art. 13, 2° co., d.lgs. 5/2003, secondo cui, in caso di mancata o tardiva notifica della comparsa di costituzione del convenuto, i fatti affermati dall’attore si reputano non contestati, ritenendola in contrasto con i principi del diritto processuale italiano, nel quale alla mancata o tardiva costituzione mai è stato attribuito il valore di confessione implicita (26).

Ha in proposito osservato la Corte che con la disposizione in questione il legislatore delegato, è andato al di là della delega di cui all’art. 12, 2° co., lett. a), l. 366/2001, la quale prevedeva soltanto «la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini», ma non anche una così so- stanziale modifica del procedimento contumaciale, contraria alla tradizio- ne giuridica italiana. Un’innovazione come quella introdotta con la dispo-

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(24) Cfr. C. Cost., 7 novembre 2006, n. 360, in Foro it., 2007, I, 1059, in Riv. dir. process., 2007, 777, con nota di AYTANO, e in Corr. giur., 2007, 923, con nota di DECRISTOFAROe DIBLASI,

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