Dalle parole degli stessi dirigenti di Fiat, si può notare una evidente autocritica da parte loro per aver sopravvalutato i vantaggi ottenibili dall’approccio del black box sourcing. La convinzione che, tramite una precisa e rigorosa individuazione delle specifiche tecniche di progettazione e delle interfacce di assemblaggio fra i sistemi/componenti e il resto dell’auto, si riuscisse agevolmente in seguito ad affidare in outsourcing ai fornitori la maggior parte della progettazione dei propri prodotti e ad effettuare un efficace coordinamento interorganizzativo, si è dimostrata una illusione, un grosso errore di valutazione.
L’individuazione delle interfacce e delle specifiche tecniche, assume una funzione fondamentale per il coordinamento dei fornitori nel corso del processo di progettazione del prodotto. Infatti, nell’ambito del processo di sviluppo dei prodotti Fiat, la tipologia della specifica determina anche la natura della relazione con il fornitore. Il differente grado di collaborazione e coinvolgimento dei fornitori nel processo di sviluppo di Fiat, è definito proprio dalla quantità e qualità delle informazioni fornite da essa stessa all’inizio del rapporto collaborativo. E’ presente, in realtà, un continuum lungo il quale può cambiare il livello di dettaglio delle specifiche e, assieme a questo, il grado di responsabilità di realizzazione del progetto della quale sono investiti i fornitori. Questo continuum stabilisce la classificazione dei fornitori di Fiat in diverse tipologie. I diversi tipi di specifiche, dunque, sono relative a un differente grado di responsabilità del fornitore nella sua attività di integrazione del sistema o componente con il resto del veicolo. Più elevate sono le capacità di integrazione del fornitore, più generiche saranno le specifiche che gli verranno affidate, fino ai casi più estremi nei quali Fiat dà al fornitore solo le informazioni relative al concept del modello di auto su cui lavorerà e le prestazioni che realizza il medesimo a livello complessivo. Fiat, in modo analogo, investe delle risorse finanziarie decrescenti per lo sviluppo di un componente, se aumenta la precisione delle specifiche che vengono impartite al fornitore e la sua responsabilità progettuale.
Di sicuro, assieme alla classificazione dei fornitori, Fiat con tale prassi gestionale voleva non solamente determinare il grado di precisione con cui venivano individuate le interfacce di assemblaggio fra i diversi componenti e il resto dell’auto, ma anche
stabilire una metodologia di gestione delle relazioni con i propri fornitori, che portava a differenti rapporti collaborativi, a seconda delle diverse circostanze e necessità di sviluppo di componenti o sistemi del veicolo. Soprattutto, come già osservato in precedenza, l’ipotesi principale alla base di tale modo di operare era che all’aumentare del grado di generalità delle specifiche e delle responsabilità dei fornitori, dovessero anche diminuire le necessità di coordinamento e di condivisione delle informazioni con essi. Tale supposizione era fondata sulla convinzione che, a seguito della determinazione in maniera precisa dell’interfaccia di assemblaggio tra i componenti, questa costituiva anche lo strumento fondamentale di coordinamento per lo svolgimento delle attività di progettazione nel corso del processo di sviluppo dei prodotti.
Nella reale prassi di gestione, fu molto arduo individuare con precisione le interfacce di assemblaggio, prima della realizzazione dei componenti e di provare la loro integrazione con il resto dell’auto. Ad esempio, nel caso della progettazione dei sistemi di sicurezza per il passeggero, il livello di complessità delle interdipendenze fra i componenti del sistema e le loro diverse prestazioni, comportava una grande difficoltà nell’individuazione ex-ante delle interazioni fra i componenti e il resto delle parti dell’auto e delle interfacce di assemblaggio. Tale fenomeno non si è verificato in tutti i casi. In alcune circostanze, infatti, l’individuazione delle interfacce è avvenuta con grande facilità e l’approccio del black box sourcing in questi casi ha prodotto i suoi effetti positivi. Ad esempio, ciò si è verificato nel caso dello sviluppo dei sistemi di condizionamento, per i quali è prassi consolidata da tempo che Fiat precisi le interfacce di assemblaggio del sistema (per esempio gli attributi del motore), la potenza da cui deve essere caratterizzato il climatizzatore, lo spazio occupato dalla plancia ecc. e le riferisca al fornitore.
Dalle considerazioni prodotte però dal management stesso di Fiat, si può sottolineare che anche nei casi in cui la individuazione delle interfacce di assemblaggio e delle prestazioni dei componenti sia possibile da effettuare in maniera certa anche ex ante, ossia resti pressoché la medesima e invariata nel corso dell’intero svolgimento del progetto di sviluppo, i soggetti partecipanti al rapporto collaborativo devono comunque ricorrere a dei complessi metodi organizzativi di coordinamento, che richiedono scambi di informazioni frequenti e ripetuti, nonché articolati e complessi. La ragione di tale evidenza pare consistere nel fatto che, anche nei casi di individuazione ex-ante delle interfacce, è necessario compiere un processo, seppur rapido e poco approfondito, di
perfezionamento e affinamento della collaborazione con i fornitori, a seguito della realizzazione dei componenti e della verifica della loro integrazione con il resto del veicolo, e della integrazione delle prestazioni a livello complessivo. Il conseguimento, infatti, delle prestazioni del prodotto attese è di frequente dovuta alla padronanza e al controllo di interdipendenze complesse fra i differenti sistemi e componenti, i quali in genere vengono progettati da fornitori diversi. Da ciò ne consegue che l’impresa integratore di sistema, deve operare delle modifiche ex-post al fine di accertare e assicurare l’integrazione ottimale fra i sistemi o componenti del prodotto complesso finito, per conseguire le prestazioni del prodotto a livello complessivo desiderate.
Il coordinamento, la collaborazione stretta e l’adattamento reciproco con i fornitori sono utili inoltre, poiché sono diverse le caratteristiche specifiche di ciascun progetto di sviluppo all’interno di una sola impresa e anche le modalità di svolgerli da parte delle differenti aziende produttrici di automobili.
Dalle affermazioni compiute dagli stessi dirigenti Fiat, si nota che il ricorso all’approccio del black box sourcing, non costituisce la prassi interorganizzativa gestionale praticata nei reali processi innovativi. A tal riguardo, il concetto di modularità che è alla base del ricorso alla soluzione del black box sourcing, può essere impiegato e produrre maggiori effetti positivi nell’ambito dei processi di produzione, invece che in relazione alle attività di progettazione, per lo meno nel settore automobilistico.
Tale affermazione è di fondamentale importanza per le analisi che verranno di seguito prodotte. Infatti diversi manager di Fiat intervistati, hanno evidenziato pressoché in modo unanime che, nei processi di progettazione e sviluppo dei prodotti, la modularità non è il principio in base al quale i compiti di progettazione vengono suddivisi fra l’impresa integratore di sistema e i fornitori, e che essa stessa non agevola in grande misura il coordinamento tra loro. A conferma di tale evidenza, può essere fatto un esempio di un rilevante fornitore di sistemi di condizionamento di Fiat, che permetterà di produrre ulteriori osservazioni importanti.
“Nel caso dei moduli frontali (radiatore, paraurti, proiettori ecc.) nel progetto (l’intervistato si riferisce alla fornitura di un modulo frontale per un impianto green field, N.d.A) fu chiesto a un altro fornitore di fornire i moduli preassemblati in modo just in time. Questo implicò che non fummo chiamati a sviluppare tutti i componenti del modulo. Alcuni componenti erano infatti legati logicamente ad altri componenti del veicolo con i quali formavano un sistema. In quel
caso per il modulo frontale fornimmo solo i componenti inclusi nel thermal system. In altre parole, fornimmo il sistema ma non il modulo in cui parte dei componenti erano posizionati. In questo caso, come nella maggior parte dei casi, la modularità ha rappresentato solo un altro vincolo alla progettazione per coloro come noi che svilupparono i componenti inclusi nel modulo.” (Fiat Account Director, Impresa Q, 2006).
In altre circostanze, si può osservare che nonostante fossero presenti dei vantaggi evidenti nell’impiego dei moduli preassemblati nei processi produttivi, Fiat ha voluto realizzare l’insourcing della produzione dei moduli di alcuni modelli di auto in precedenza esternalizzata, come per esempio per l’assemblaggio della Grande Punto nello stabilimento di Mirafiori. Abbandonando la soluzione organizzativa adottata inizialmente, Fiat ha smesso di adottare l’approccio nel quale alcuni moduli, come per esempio il modulo frontale, venivano preassemblati e ha svolto al suo interno tale attività di produzione di alcuni moduli al posto del fornitore. In maniera inaspettata e illogica, la modularità ha comportato una integrazione a monte delle attività di assemblaggio invece che il loro affidamento in outsourcing. La dirigenza di Fiat sostiene che il motivo di tale decisione di reinternalizzare alcune attività di sviluppo, consiste nelle ridotte competenze dei fornitori e alla difficoltà dovuta al fatto che i vantaggi ottenibili dall’outsourcing relativi a una maggiore efficienza e flessibilità, venivano più che compensati da una ridotta qualità dei componenti o moduli prodotti dai fornitori. Quindi, come osservato dal direttore dello stabilimento Fiat di Mirafiori: “Modularità e outsourcing sono concetti non necessariamente legati tra di loro. Spinte differenti, come differenziali di costo e nelle competenze, sembrano spiegare meglio le scelte di outsourcing”. (direttore stabilimento Fiat di Mirafiori, Fiat Auto, 2006).
I fornitori concordano anch’essi su tali osservazioni. Pressoché tutti i fornitori intervistati, infatti, sostengono che la modularizzazione è uno strumento che produce maggiori vantaggi se viene impiegato nell’ambito delle attività di produzione poiché agevola il conseguimento di economie di scala. Essa può essere ritenuta una moda manageriale che ha comportato delle conseguenze negative sia sui fornitori, che non hanno potuto avvalersi dei benefici della modularità poiché hanno dovuto effettuare degli investimenti in attività aziendali di gran lunga estranee dal loro core business, sia per l’impresa integratore di sistema, che ha dovuto subire una graduale e rischiosa erosione delle proprie conoscenze e competenze, soprattutto in relazione all’adeguata valutazione delle esigenze del processo di produzione nel corso della progettazione dei prodotti.
Tali osservazioni sono in accordo con le recenti critiche mosse dallo studioso MacDuffie sulla funzione della modularità nel settore automobilistico. Le considerazioni ottenute dalle interviste effettuate a diversi fornitori di Fiat, conducono ora all’analisi della seconda problematica fondamentale relativa all’esternalizzazione, ossia le conseguenze che essa stessa ha comportato sulle competenze in possesso di Fiat. Le ricerche empiriche svolte, evidenziano che il management della casa automobilistica torinese e i fornitori non ritengono che l’architettura modulare dei prodotti e le interfacce di assemblaggio standard siano degli elementi che agevolano in ogni circostanza il coordinamento interorganizzativo nello sviluppo dei prodotti, e che possano determinare una allocazione efficace dei differenti compiti di progettazione. Bisogna sottolineare che queste osservazioni non mirano a negare i vantaggi ottenibili dalla modularità, ma invece vogliono sostenere semplicemente la rilevanza contenuta che questo strumento di gestione applicato allo sviluppo dei prodotti ha nella pratica reale dei processi di innovazione aziendali.