Il processo di miglioramento della performance nel tempo di molte tecnologie assume un andamento a forma di S. Si osserva infatti in genere che nel tempo più l’impresa aumenta il volume di investimenti e l’impegno organizzativo dedicati allo sviluppo di una tecnologia, più le prestazioni di questa aumentano (Figura 1). La curva, infatti, che esprime la relazione tra la performance di una tecnologia e l’impegno profuso da parte di un impresa per svilupparla nel tempo, è crescente. Essa però solitamente presenta una crescita iniziale più lenta, poi più rapida per un certo tratto, infine la crescita rallenta.
Figura 1
Fonte: Schilling M.A., (2009), Gestione dell'innovazione, Milano, Ed. McGraw-Hill, Seconda edizione, “cap.3”, p. 68.
L’aumento della performance di una tecnologia è lento inizialmente perché sono stati compresi solo in parte i principi di base della stessa. In questa fase, è possibile che si disperdano energie nella ricerca di opzioni di miglioramento alternative o cercando altri fattori che possono portare al progresso tecnologico. Se la tecnologia è diversa dalle tecnologie precedenti, i ricercatori potrebbero non possedere di strumenti di valutazione
adeguati per stimare il suo reale grado di progresso e il potenziale di sviluppo. Inoltre, anche negli ambienti della ricerca, finché una nuova tecnologia non è abbastanza conosciuta o diffusa e non risultano evidenti le sue potenzialità di sviluppo, risulta difficile che attragga altri ricercatori interessati ad occuparsene.
Tuttavia quando le imprese e i ricercatori possiedono un maggior grado di conoscenza della tecnologia, risulta gradualmente più rapido l’incremento delle sue prestazioni. Nel corso dello sviluppo, ci si concentra su tutte quelle attività che garantiscono i maggiori miglioramenti a parità di impegno, in modo da velocizzare l’incremento della performance. Il rendimento delle risorse e degli sforzi impiegati per lo sviluppo della tecnologia a un certo punto però comincia a decrescere, ossia a parità di impegno aziendale profuso, si ottengono incrementi delle prestazioni della tecnologia sempre più piccoli e trascurabili. La tecnologia si approssima a quello che si può definire il proprio
limite naturale. Questo è il momento nel ciclo di vita di una tecnologia a partire dal
quale non è più possibile ottenere rilevanti miglioramenti delle sue performance, ma solo marginali. In questa fase il costo marginale di ciascun miglioramento aumenta, e la curva si appiattisce progressivamente. La tecnologia è matura, è giunta al termine del proprio percorso di sviluppo ed esprime già il massimo delle proprie potenzialità prestazionali. Per ottenere delle performance superiori ad essa, sarà necessario elaborare e passare a delle tecnologie di una generazione successiva.
La curva a S del miglioramento tecnologico di solito viene impiegata per rappresentare il rapporto tra la performance (espressa con un indicatore di velocità, di capacità, di potenza ecc.) e il tempo, ma questo tipo di curva non sempre rappresenta bene la relazione tra le due variabili. Se, come di solito si suppone, l’impegno dell’azienda è risultato pressoché costante nel tempo, la curva del rapporto performance/tempo sarà molto simile o uguale a quella del rapporto performance/impegno. Se però l’impegno dell’impresa non è stato costante nel tempo, la relazione tra le due variabili non è più graficamente assimilabile a una curva a S, ma subisce alcune modifiche nella sua forma. Se l’impegno destinato allo sviluppo di una tecnologia diminuisce o aumenta nel tempo, la curva nel primo caso risulterà meno inclinata, mentre nel secondo sarà più ripida. L’assioma conosciuto come Legge di Moore illustra una delle più note curve del miglioramento tecnologico. Gordon Moore, cofondatore di Intel, constatò nel 1965 che da quando furono introdotti i circuiti integrati il numero di transistor presenti su un chip raddoppiava ogni anno. Il tasso di aumento poi è diminuito, perché il raddoppio della
densità attualmente si verifica ogni 18 mesi, aumentando comunque in modo molto rapido nel tempo.
La curva del miglioramento della performance dei microprocessori di Intel, è presentata nella Figura 2, illustrando il veloce incremento del tasso di accelerazione.
Figura 2
Fonte: Schilling M.A., (2009), Gestione dell'innovazione, Milano, Ed. McGraw-Hill, Seconda edizione, “cap.3”, p. 69.
Figura 3
Fonte: Schilling M.A., (2009), Gestione dell'innovazione, Milano, Ed. McGraw-Hill, Seconda edizione, “cap.3”, p. 71.
Come mostra la Figura 3, il tasso degli investimenti di Intel, calcolato in dollari investiti in ricerca e sviluppo ogni anno, è anch’esso aumentato velocemente. Non tutte le risorse destinate alla R&S di certo avranno concorso in modo diretto all’incremento della potenza del microprocessore; è plausibile ritenere però che gli investimenti che Intel ha dedicato al potenziamento dei microprocessori abbiano avuto anch’essi un aumento rapido. La Figura 3 mostra che il grande incremento della densità dei transistor ha comportato un rilevante impegno aziendale. Sebbene la curva non assuma ancora una forma ad S, essa è meno inclinata della curva performance/tempo, evidenziando che l’impegno aziendale per aumentare le prestazioni dei microprocessori non è risultato costante nel tempo, ma ha assunto un tasso di aumento crescente negli anni. L’aumento delle performance dei microprocessori tramite l’impiego di transistor sempre più piccoli, secondo le stime di molti, compresa quella di Gordon Moore, arriverà al suo limite naturale nel 2017 circa.
Non sempre le tecnologie raggiungono il proprio limite naturale, poiché anche prima che ciò accada potrebbero essere sostituite dall’introduzione di nuove tecnologie
discontinue. Un’innovazione tecnologica è definita discontinua quando soddisfa delle
esigenze di mercato simili a quelle già soddisfatte dalle tecnologie precedenti, basandosi però su delle conoscenze del tutto nuove. E’ un esempio di ciò il processo innovativo che si è avuto dagli aerei con motore a elica ai jet, o dalla fotografia con i sali d’argento (fotografia chimica) a quella digitale, dalla riproduzione con carta carbone alle fotocopie, o ancora dai dischi in vinile (o dalle musicassette) ai cd.
Una discontinuità tecnologica per un periodo iniziale può avere una performance inferiore rispetto alla tecnologia esistente. Una delle prime auto, ad esempio, realizzata nel 1771 da N.J. Cugnot, non venne mai commercializzata poiché era molto più lenta e difficile da guidare rispetto a un tradizionale carro trainato da cavalli. Aveva tre ruote, andava a vapore e poteva raggiungere una velocità di 3,7 km/h. Fu nell’Ottocento che vennero offerti al mercato diversi modelli di automobili a vapore o a combustibile e la produzione su larga scala si ebbe solo agli inizi del Novecento.
Il rendimento dell’impegno aziendale destinato allo sviluppo di una nuova tecnologia, in una fase iniziale, è di norma inferiore di quello degli investimenti finalizzati al miglioramento di una tecnologia già esistente. Le imprese spesso dimostrano una certa resistenza al passaggio da una tecnologia già conosciuta e consolidata a una nuova e meno familiare. Se quest’ultima è però caratterizzata da una curva a S più inclinata,
ossia presenta un più rapido incremento delle prestazioni (Figura 4a), oppure raggiunge un limite di performance più elevato (Figura 4b), c’è un punto a partire dal quale il rendimento degli investimenti nella nuova tecnologia sarà maggiore di quello degli investimenti destinati alla tecnologia esistente. Di solito le aziende, quando sono dei nuovi entranti in un settore, privilegiano l’adozione di una tecnologia discontinua, mentre le imprese già presenti nel mercato devono assumere una difficile scelta: valutare se continuare a investire nella tecnologia adottata o passare alla nuova tecnologia. Qualora la tecnologia discontinua, a parità di impegno, evidenzi un potenziale di performance superiore in misura notevole rispetto alla tecnologia esistente, probabilmente sostituirà quest’ultima nel lungo periodo, anche se la velocità con cui ciò accadrà varierà in misura rilevante a seconda di molti fattori.
Figura 4
Fonte: Schilling M.A., (2009), Gestione dell'innovazione, Milano, Ed. McGraw-Hill, Seconda edizione, “cap.3”, p. 72.