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3 “Il mio nome è legione” 149 : individuo e molteplicità.

3.3 Equilibri e gerarchie

Fin qui, possiamo dire, il momento disgregativo della teoria della molteplicità dell’ego. Accanto ad esso troviamo però un altro movimento: quello della ricerca di un baricentro, di un punto di equilibrio sulla cui mutevole incertezza cercare di far stare in piedi l’io. Del resto lo stesso profeta nietzscheano aveva detto di voler redimere “l’orrida casualità” dello smembramento umano. Questo è solo un primo tentativo, non di redimere ma di stabilizzare il tumulto dinamico dell’ego.

Così si trovano in Nietzsche diversi passi dedicati proprio alla strutturazione di un equilibrio intrasoggettivo. Anzitutto, come già accennato, dal punto di vista dinamico, con la ricerca di un punto di equilibrio della sfera soggettiva in continuo mutamento e dell’emergere di uno specifico io come risultato dell’interazione delle forze e dello spostamento dei punti di equilibrio213. Le forze che compongono l’uomo devono essere, affinché questo equilibrio si verifichi, organizzate secondo gerarchia214, con elementi che comandano ed altri che obbediscono. Gli elementi che comandano dovranno prendersi cura anche di quelli che obbediscono, per garantire la sopravvivenza dell’organismo. Ognuno di questi elementi, a sua volta, non ha la possibilità di esistere isolato dal resto della “comunità” (il modello di organizzazione dell’io è politico, secondo i criteri gerarchici cari a Nietzsche), ma il centro attorno a cui essi gravitano è instabile, anche a causa del moltiplicarsi imprevedibile delle forze in gioco215.

211 Cfr. P. KLOSSOWSKI, Nietzsche e il circolo vizioso, cit., p. 84: “Il ‘soggetto’ non è affatto un’unità vivente, ma la lotta impulsionale che vuole conservarsi”.

212 Cfr. NF VIII 1 [58].

213 Se il punto di equilibrio non si trova si corre il rischio di una scissione dell’io, che ha come effetto ciò che gli psicologi chiamano personalità multipla e che era stato oggetto di numerose attenzioni da parte degli psicologi francesi del secondo Ottocento. Cfr. NF VIII 9 [98].

214 Cfr. NF VII 34 [123] (si veda anche GM II, 1). 215 Ibidem.

Un’altra espressione di stampo politico per indicare la strutturazione dell’io la troviamo anche nel già citato aforisma 12 di Al di là del bene e del male, in cui leggiamo che l’anima è un “Gesellschaftsbau der Triebe und Affekte” (“una struttura sociale degli istinti e delle passioni”216). Ma perché questa società funzioni è necessario che il potere venga confiscato alle singole parti (e ciò può avvenire solo attraverso il conflitto tra le parti stesse – il modello politico nietzscheano è di tipo agonale217) e concentrato in un sistema variabile di “reggitori di comunità”218.

Se per Nietzsche bisogna in primo luogo negare ogni atomismo delle anime, ogni sostanzialità egologica, in favore di una moltiplicazione delle sottounità che compongono l’io (modello citologico) o delle forze personali che si disputano l’io e che lo mutano continuamente (modello dinamico), è del resto necessario anche vedere come questa molteplicità dia poi vita a sistemi complessi, proprio attraverso l’individuazione di una struttura gerarchica (instabile) o di un baricentro (mobile).

In tutto questo discorso abbiamo tenuto volutamente da parte la coscienza, poiché essa non aiuta a comprendere effettivamente come si strutturi o come effettivamente funzioni quello che abbiamo fin qui chiamato “io”. Anzi, essa è quell’elemento che fa sì che noi non percepiamo niente di tutto quello che succede nella sfera dell’io, e che ce ne diamo un’immagine la più semplificata possibile. La coscienza è uno sviluppo tardivo dell’organico, e perciò anche il più incompiuto e il meno efficace, il più soggetto ad errori219. La nostra fortuna è piuttosto che i nostri istinti ancora ci salvano dal suo fantasticare e favoleggiare, e del resto il fatto stesso di sentirsi così onnipotente ha permesso che essa continuasse ad occupare uno spazio relativamente piccolo e che non si sviluppasse ulteriormente. Anzi, Nietzsche auspica piuttosto che la natura torni sui suoi passi e determini una sparizione di questo fenomeno che non riesce a dare ragione che di una parte infinitesima della nostra vita psichica, di ciò che accade all’interno del

216 JGB 12.

217 Cfr. R. BODEI, Destini personali. cit., p. 89: “è attraverso il conflitto e la discordia (neikos) che si instaurano le forme più alte di libertà e armonia”.

218 Cfr. NF VII 40 [21]. 219 Cfr. FW 11, NF VII 7 [126].

nostro sistema nervoso, e lo sostituisca finalmente con un completo automatismo220.

Comunque, bisogna aggiungere, esistono dei motivi per cui avere una coscienza risulta di vitale importanza. Essa rientra sostanzialmente infatti nell’ambito delle illusioni, degli errori necessari alla conservazione della vita. Per stare al mondo infatti – e specialmente per entrare in relazione conoscitiva e sociale è indispensabile un apparato di semplificazione in un caso e di auto-semplificazione nell’altro221. Solo al prezzo dell’illusione di una coscienza (e dell’identità stabile di cui si fa garante) è possibile la comunicazione222, e questa del resto risulta

indispensabile agli esseri umani per potersi unire in società, istituzionalizzare delle regole e difendersi: è dunque anzitutto sotto un bisogno di sicurezza che ci si crea il comodo schermo della coscienza. Essa rimane protetta e staccata dall’infinita varietà dei fenomeni che avvengono nel sistema nervoso e nel corpo, e si comporta da questo punto di vista come un’aristocrazia dominante, cui non possono arrivare informazioni su tutto quello che succede, ma solo una selezione minima di esse; una selezione minima di esperienze giunge fino alla coscienza e anche queste sono già state sottoposte ad un processo di semplificazione per essere immediatamente gestibili, fruibili dalla coscienza. Nel momento in cui rendiamo qualcosa perspicuo ed intelligibile, ciò significa già averlo falsato, e d’altra parte questa falsificazione è ciò che permette di evitare il collasso della volontà e dell’identità (così come le concepiamo e le utilizziamo comunemente)223. Non è difficile riscontrare in questa descrizione del funzionamento della coscienza un impianto di pensiero essenzialmente taineano. Il punto nodale è che la coscienza è una struttura già in sé troppo semplice perché possa comprendere tutto il molteplice brulicare di cellule e forze che compongono quello che è il nostro fenomeno più complesso, il nostro vero sé, ovvero il corpo (“«Io», tu dici, e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa più grande, cui tu non vuoi credere, - il tuo corpo e la sua grande ragione: essa non dice «io», ma fa «io»”224). È da questo fenomeno che bisogna partire, prendere come filo

220 NF VIII 14 [144].

221 Sulla superficialità della coscienza cfr. NF VII 26 [49] e FW 354. 222 Cfr. NF VIII 11 [145].

223 Cfr. NF VII 37 [4].

conduttore per capire l’articolazione dell’io, e non pensare di poterlo ridurre alla coscienza. È il corpo il modello attraverso cui è lecito leggere la nostra struttura psichica225, la nostra egologia: siamo molteplici, cellulari, plurali, attraversati da forze, esperienze, impulsi, passioni, e siamo il risultato di questa incessante interazione, di un incessante nascere e perire. La coscienza deve essere considerata uno strumento utile per quanto grossolano (ma del resto anche utile proprio in quanto grossolano), del nostro corpo226. Da questo punto di vista, accanto all’idea della coscienza come reggente nominale, come aristocrazia (che si crede) dominante delle cellule che compongono l’organismo, bisogna affiancare l’idea della coscienza come mera spettatrice di ciò che avviene nel corpo, e anche questo solo in misura infinitesima227.

Lo stesso pensiero, di cui la coscienza-intelletto va fiera come del suo più raffinato prodotto, in realtà non è affatto qualcosa che pertiene ad essa (tanto meno che le è dipendente secondo un rapporto causa-effetto), ma è il prodotto di una serie di interazioni tra sentimenti, desideri, avversioni, esperienze vissute, altri pensieri. Il pensiero sorge autonomo, senz’altro autore che la cooperazione di una serie di personaggi. La coscienza non fa che osservarlo (nella remota ipotesi che lo percepisca e che non si trovi nella massa di accadimenti che le sfuggono), isolarlo, ripulirlo, e dopo tutto ciò, ex post, attribuirselo come se fosse una sua creazione.

La dissoluzione della coscienza e la sua riduzione a strumento di semplificazione per la conservazione dell’essere umano, la concezione dell’io come una società (una “legione”, per riprendere l’espressione del nostro titolo, la stessa espressione che il Vangelo usa per indicare la pluralità di una persona posseduta, cioè che mostra più personalità – ciò che con gli psicologi francesi della scuola taineana si rivela essere la situazione normale della psiche umana), l’idea di un soggetto mobile, che abita in punti sempre diversi di una sfera-soggetto definita dalle forze

225 Cfr., tra i tanti esempi, NF VIII 2 [92], o NF VII 40 [41], NF VIII 5 [56].

226 Scrive Klossowski: “Il corpo e lo stesso corpo solo nella misura in cui uno stesso io può e vuole confondersi con lui, con le sue vicissitudini: la coesione del corpo è quella dell’io; esso produce l’io e così pure la propria coesione. Ma il corpo muore e rinasce più volte, a seconda delle morte i delle rinascite alle quali l’io pretende di sopravvivere nella sua propria coesione”. (P. KLOSSOWSKI, Nietzsche e il circolo vizioso, cit., p. 59)

che vi agiscono, alla ricerca di un precario punto di equilibrio; tutti questi aspetti corrispondono al secondo momento della dissoluzione nietzscheana del concetto di soggetto, momento che potremmo chiamare fisiologico e far seguire al momento mitico che abbiamo trattato nel paragrafo precedente. Proprio a partire da questo aspetto si è cercato del resto di salvare la soggettività nel pensiero nietzscheano, mostrando appunto come solo l’individuo cada a fronte di queste obiezioni, mentre la soggettività non viene scalfita, ma richiede piuttosto un modello più complesso, molteplice, policentrico, per essere compresa228. Questa riflessione di per sé non ci trova contrari, ma non si confronta con il fatto che l’attacco di Nietzsche al soggetto non si esaurisce a questa riformulazione in termini plurali del fenomeno ego, ma che prevede almeno altri due ordini di attacchi, che cercheremo di analizzare nei prossimi paragrafi (in particolare gli attacchi successivi saranno condotti su di un piano linguistico e ontologico, che seguono quelli mitico e fisiologico appena trattati).

228 Si tratta della tesi per esempio di ROBERT GUAY (The”I”s have it: Nietzsche on subjectivity, disponibile presso il sito internet www.columbia.edu/~reg28/tihi.pdf).

4.

Illusioni grammaticali. Il superamento del soggetto