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Le leggi amorose della dispersione

Lettura della Recherche

3. La fuggitiva Amore e menzogne di Albertine

3.1 Le leggi amorose della dispersione

Cominciamo con il movimento in profondità, che riprende in parte il discorso fatto nel paragrafo precedente. Fin dal primo momento in cui il narratore vede Albertine, ancora dispersa e confusa con la piccola banda sullo sfondo del tramonto marino di Balbec, egli scorge i suoi occhi, e si concentra su di essi. Il “raggio nero” che emana dagli occhi di lei si posa per un istante sulla figura del narratore. Ma non c’è modo di capire cosa abbia visto la fanciulla: la distanza tra i due non è percorribile, chiedersi cosa abbiano visto le sue pupille nella figura del narratore sarebbe come congetturare cosa potrebbe pensare un essere che proviene da un altro pianeta, da un altro sistema solare578. “Dal grembo di quale universo mi scorgeva?”579, si chiede, e questa lontananza astronomica non fa che generare in lui nuovo desiderio. L’impossibilità di raggiungerla, di possedere quella fanciulla fa sì che egli se ne innamori, che egli desideri di possederla. Ma sa anche che non sarà possibile possederla finché non avrà posseduto quegli occhi, ovvero finché non riuscirà a svelare quell’universo al momento impenetrabile che essa porta in sé580. Da questo momento dunque il narratore comincerà ad elaborare, a costruire, a fingere questi universi che ella, colei che nella sua mente è ancora “la ciclista”, porta in sé. E l’elaborazione è tale che nel momento in cui gli sarà presentata, da Elstir, Albertine Simonet risulterà perfino fisicamente diversa, tanto da arrivare ad arguire che perfino i caratteri esteriori, perfino la statura di una

578 Cfr., JF, p. 446-447. 579 JF, p. 446.

persona, sono modificati dal variare di certi stati che si interpongono tra l’osservato e l’osservatore, e in modo particolare sono le convinzioni che ci si è fatti a deciderne la percezione581. E l’elaborazione è tale, anche, da far parlare il narratore di una conoscenza “per sottrazione”582 di Albertine, a tal punto ella proiettava in lui un’immagine ricchissima e desiderata (e ricchissima in quanto costruita in larga parte dal desiderio stesso). Ancora non è del resto scalfita la fede che una lunga frequentazione, un indefesso lavoro di decifrazione (di smascheramento, in certa misura), possa condurre infine a comprendere l’altro. Ancora molte cose devono venire alla luce: ancora non è chiaro che quegli universi che stanno dentro Albertine non saranno mai posseduti, che dietro le maschere che la fanciulla indossa non c’è un individuo bello e finito, tridimensionale, unitario, spiegabile, che la stessa Albertine farà di tutto perché i suoi occhi non vengano imprigionati, e che infine Albertine, proprio in quanto oggetto d’amore e di gelosia, proprio perché oggetto di cui si aspira al possesso, è il meno conoscibile, e questo sia perché l’amante non può avere mente lucida nel comprenderla, sia perché egli stesso non fa che ritoccarla continuamente in base ai suoi desideri ed alle sue paure583. Tutte queste, del resto, saranno le verità che solo la lunga prigionia di Albertine potranno far emergere.

(Una piccola precisazione, forse non marginale: l’impossibilità del possesso dell’altro non è lo scacco dell’amore, ma viceversa è la sua condizione di possibilità. Proust ripete senza sosta che non c’è amore nel possesso, che in questi ambiti d’altra parte si configura solo come illusione del possesso, essendo il possesso stesso un ideale irraggiungibile. Non si ama se non ciò che si sa di non possedere584: nei rari momenti in cui Albertine, o qualsiasi altra persona o cosa, appare accessibile, di colpo cessa ogni interesse. Se il desiderio di Albertine non finisce stabilmente è solo perché la sua fuga non accenna mai ad acquietarsi. Così Lévinas: “Eros […] è relazione diretta con ciò che si dà sottraendosi, con l’altro in quanto altro, con il mistero”585).

581 Cfr., JF, p. 521. 582 Cfr., JF, p. 541. 583 Cfr. AD. P. 96.

584 Cfr. per esempio, CS, p. 292, P, p. 418.

585 E. LÉVINAS, L’altro in Proust in Nomi propri, cit., p. 135. Ora, è doveroso rilevare che a questa constatazione dell’alterità radicale con cui Eros ci mette in comunicazione non segue una comune

Ma torniamo alla prigionia, a tutte quelle molteplici scoperte che si traducono nell’impossibilità di giungere al desiderato possesso della persona amata. La verità della prigionia, potremmo dire, è la fuga. Il narratore dice di Albertine che è un être de fuite, un essere in fuga586. Ma in questo la fanciulla non è diversa da ogni altro oggetto d’amore, solo porta il principio della fuga alle sue estreme conseguenze. Nel suo essere animale (durante la prigionia Proust la descrive più volte in termini animali, e in particolare di animali addomesticati587) Albertine sente un richiamo dall’esterno: si pensi a quelle grida, ai richiami, alle offerte che arrivano dai mercanti per strada, che sembrano tutti inviti ad uscire di gabbia, ammalianti voci di sirene che la seducono a fuggire. Ma Albertine è in fuga anzitutto perché non può essere diversamente, perché la fuga è la prima terribile legge dell’amore. Gli occhi di Albertine non possono esser fermati, conosciuti, anzitutto perché sono molteplici: essi contengono non solo ciò che vedono, ma sono dispersi in tutti i luoghi in cui vorrebbero essere. E in secondo luogo gli occhi di Albertine non possono essere posseduti perché sono in movimento, e all’amante che vorrebbe fermarli non resta tra le mani se non la loro scia, mentre quelli sono ormai lontani.

Albertine è dunque in fuga soprattutto perché Albertine è dispersa, ubiqua nel tempo e nello spazio. Non solo perché lo è nella mente del narratore, che ignora dove sia e la finge ovunque: l’esplosione delle possibilità, l’esistenza effettiva delle possibilità è anzitutto implicata dall’essere in fuga che si muove, è ovunque, o anche solo vorrebbe essere ovunque. Amare vuol dire scontrarsi contro la proliferazione delle possibilità, contro l’impossibilità di contenerle tutte588. Grazie ad Albertine il narratore esperisce il fatto che un individuo, qualsiasi individuo, non è un essere contenuto in un corpo, che ci si può distendere di fronte:

valutazione: se per Lévinas Eros garantisce un mantenimento positivo dell’alterità (in quanto permet6te di amare l’altro in quanto altro), per Proust questa alterità è esclusivamente fonte di sofferenza, e anziché al rispetto dell’alterità radicale dell’amata, si trova tutto teso al tentativo di annullarne ogni alterità, di fagocitarne in sé ogni universo.

586 Cfr. P, p. 94, in cui è usata, al plurale, l’espressione “êtres de fuite”. Cfr. anche P, p. 19: “Un po’ con la mia gelosia, un po’ […] per ignoranza di quelle gioie, avevo fissato a mia insaputa le regole della partita a nascondino in cui Albertine mi sarebbe sempre sfuggita”.

587 Cfr. a titolo di esempio P, p. 9.

588 Sulla centralità del tema della possibilità nel romanzo proustiano e del ruolo che gioca nella deflagrazione del soggetto tradizionale avremo modo di parlare più avanti (§ 4.3).

Ahimè! Il vero oggetto [d’amore] è l’estensione di quell’essere a tutti i punti dello spazio e del tempo che esso ha occupato e occuperà. Se non possediamo il suo contatto con un certo luogo, con una certa ora, non possediamo nemmeno lui589.

Non occorrerebbe la precisazione successiva, che Proust aggiunge forse per togliere ogni dubbio: che questi punti non li possiamo toccare, e dunque non arriveremo mai a comprendere l’altro. Disseminato nel tempo e nello spazio, l’essere che amiamo si scioglie in una sequela di avvenimenti590 determinati, spaziotemporalizzati, per possedere i quali dovremmo essere in grado di contenere interi il tempo e lo spazio. Il che, evidentemente, è impossibile; ma un’impossibilità di grado superiore è data dal fatto che al possesso del tempo e dello spazio in quanto tali, si dovrebbe aggiungere il possesso di tempo e spazio immaginati, desiderati, rammemorati da quell’essere.

Crediamo, nonostante di volta in volta affiori la consapevolezza di questa dispersione, di amare un essere intero, una donna; ebbene, di lei non amiamo che un‘immagine, “l’aurora di cui il suo volto riflette momentaneamente il rossore”591. E lei, Albertine, finisce per ridursi proprio a questo, a quell’immagine riflessa che si radicò in lui in quel primo soggiorno a Balbec. Di Albertine il narratore non conoscerà altro, nonostante l’impegno, lo sforzo compiuto a decifrarla. Certo potrà aggiungere qualche altro momento, qualche altro riflesso, che in contraddizione con gli altri non fa che restituirne un’immagine smerigliata, molteplice, non sintetizzabile.

Una scena del romanzo è divenuta paradigmatica di questa scomposizione, di questo sfaldarsi in piani molteplici della persona nel momento in cui tentiamo di avvicinarci a lei. È la scena del bacio (il primo bacio effettivo e il secondo tentativo di bacio) ad Albertine che troviamo ne La parte di Guermantes. “Durante il breve tragitto delle mie labbra verso la guancia furono dieci le Albertine che io vidi; quell’unica fanciulla era come una dea dalle molteplici teste

589 P, p. 104.

590 Cfr. P, p. 108: “[…] una persona, disseminata nel tempo e nello spazio, per noi non è più una donna, ma una sequela di avvenimenti sui quali non possiamo far luce, problemi insolubili, un mare che cerchiamo ridicolmente, come Serse, di percuotere per punirlo di ciò che ha inghiottito”. 591 AD, p. 274.

e quella che avevo appena scorta cedeva il posto ad un’altra se solo tentavo di avvicinarla”592. Come in un quadro di Seurat, ciò che da lontano sembra unitario, si mostra, quanto più ci avviciniamo, un complesso caotico di parti eterogenee che solo all’osservatore superficiale appaiono formare un qualcosa di coerente593. Simile ad una fragile statua di sabbia, l’essere amato, nel momento in cui l’afferriamo ci si sgretola tra le mani in mille granelli che non abbiamo più modo di ricomporre.

Tutto questo, ci si permetta una precisazione superflua, non è dovuto all’amore: quest’ultimo è solo la ratio cognoscendi di una disseminazione esistente, che abbiamo già cominciato ad analizzare e che più avanti andremo ulteriormente ad indagare. La verità che sta dietro a tutto questo è che Albertine in realtà è una pluralità di persone. Più volte il narratore torna sull’argomento: “Ahimè, Albertine era parecchie persone”594, “i molteplici esseri nascosti, che palpitano sotto il suo involucro di carne”595. Non solo, insomma, la disgregazione di Albertine è dovuta al suo movimento (ovvero al suo disperdersi nel tempo e nello spazio), ma essa è anteriore, costitutiva. Come ogni personaggio della Recherche, Albertine è un’istituzione permanente sotto il cui nome convivono esseri diversi e molteplici, di cui, di volta in volta uno solo è alla ribalta596.

Ogni oggetto d’amore è insomma “innumerevole”597, nonostante i nostri sforzi di mantenerlo compatto e indistruttibile di fronte ai nostri occhi. L’amore, nelle pagine proustiane, è seriale, e questo in un duplice senso. Il primo è quello che stiamo vedendo: un amore, questo amore, quello che noi crediamo essere uno, è una molteplicità di amori, una serie di frammenti di amore, di desideri, di gelosie, di indifferenze, così come molteplice è il suo oggetto (e – lo vedremo meglio –

592 CG, p. 445.

593 Per un’interpretazione della scena del bacio in termini di un passaggio dal molare al molecolare Cfr. GILLES DELEUZE, FÉLIX GUATTARI, L’Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi,

Torino 1975, pp. 75 e 364. 594 P, p. 368.

595 P, p. 96.

596 Dedicheremo il paragrafo 4 a questo aspetto che richiama tanto da vicino le tematiche taineane e nietzscheane.

molteplice è anche il soggetto che lo vive)598. Si tratta, di nuovo, del principio di discontinuità. Le innumerevoli Albertine, incomplete, contraddittorie si rifrangono nel narratore, che a sua volta si fa molteplice in relazione ad esse599. Questa molteplicità si ripercuote a sua volta sulla relazione tra amato e amante, che ne esce frantumata in tanti momenti, la cui unità è data solo convenzionalmente e a patto di dimenticare che si tratta di una relazione sempre diversa tra due poli a loro volta sempre metamorfici.

Potremmo chiamare questa prima verità tratta dalla prigionia la “legge della fuga”, la prima legge costitutiva del rapporto d’amore. Ma esistono altre leggi, che andiamo ad analizzare più brevemente.

Anzitutto, la menzogna. Albertine è la bugiarda per eccellenza600, mente sistematicamente, così come sistematica è la menzogna in qualsiasi rapporto d’amore. È importante notare infatti che la menzogna di Albertine diventa radicale e omnicomprensiva solo dal momento in cui il narratore cessa di essere suo amico e diviene suo amante. Egli si rende conto di non poter più sapere da lei quello che prima ella gli avrebbe serenamente confidato601. Il rapporto d’amore è un allontanamento dalla possibilità di conoscere l’altro perché la fuga si estrinseca anche in questa tendenza a mentire, a non volersi aprire agli sguardi (inevitabilmente inquisitori) dell’altro. È così d’altra parte che il narratore ha modo di far pratica in un’opera di déchiffrement che sarà fondamentale per il suo lavoro d’artista. È stato notato, in particolare nella monografia deleuziana602, ma non solo603, la centralità di questo tema: Deleuze intitola il suo saggio proprio Proust e i segni, a voler sottolineare che la chiave di volta del romanzo è proprio

598 Si veda quanto il narratore ci dice a proposito della pluralità dell’amore di Swann per Odette, in CS, p. 449: “Quello che crediamo essere il nostro amore, la nostra gelosia, non è un’unica passione continua, indivisibile. Amore, gelosia sono composti di un’infinità di amori successivi, di gelosie diverse, che quantunque effimeri, grazie alla loro molteplicità ininterrotta, danno l’impressione della continuità, l’illusione dell’unità. La vita dell’amore di Swann, le fedeltà della sua gelosia, erano create dalla morte, dall’infedeltà di innumerevoli desideri, di innumerevoli dubbi, che avevano tutti un unico oggetto: Odette”.

599 Cfr. AD, p. 136.

600 Cfr. P, p. 382: “Quando la si interrogava, le parole di Albertine non contenevano un atomo di verità”.

601 Cfr. P, p. 56.

602 G. DELEUZE, Proust e i segni, cit. In queste pagine seguiremo – oltre al testo proustiano – alcune delle sue intuizioni.

603 Cfr. per esempio, MARIOLINA BONGIOVANNI BERTINI, Redenzione e metafora. Una lettura di

in una nuova immagine del pensiero, che muove dalla violenza e casualità del segno, verso una verità che si configura come sua interpretazione. Lo stesso lavoro d’artista è un’opera di un traduzione volta a decifrare i propri geroglifici interiori604. Da questo punto di vista l’amore, sopra ogni altra attività umana, permette di svolgere un tirocinio sintomatologico, di decriptazione dei segnali cifrati che ogni essere emette, ma ai quali di solito non ci interessa di essere sensibili. Non importa, qui, quanto sia profondo o intelligente l’essere che amiamo: l’opera decifrativa dipende esclusivamente dal lavoro che si è disposti (o meglio necessitati) a fare sotto la violenza di un segno che ci impone di essere decifrato. Molto meglio dunque, da un punto di vista gnoseologico, un amore con una donna mediocre (e magari bugiarda, come Albertine) che la frequentazione mondana o d’amicizia con il più raffinato degli uomini. Albertine dal canto suo è un fabbrica di segni, e soprattutto di segni criptati, talvolta di facile decriptazione (basta leggerli esattamente al contrario605), talaltra difficili o impossibili da interpretare. Eppure è proprio attraverso la menzogna (e attraverso tutta quella costellazione di sintomi che le si accompagnano) che la verità si tradisce. Intendiamo tornare sul complesso rapporto tra Proust e l’idea di ricerca della verità, e del ruolo che hanno in essa l’intelligenza e il metodo (filosoficamente inteso), ma qui è in gioco, più nello specifico, il rapporto tra menzogna e verità, che vogliamo trattare subito. Uno dei principi dell’“etica del déchiffrement”606 è che la verità non si comunica apertamente e non si trova con la buona volontà di cercarla. Fin da prima di Albertine, il narratore aveva appreso da Françoise che per manifestare la verità non importa dirla a parole, ma che è meglio prestare attenzione a certi segni esteriori, perfino talvolta a segni invisibili607. E così con Albertine l’unica cosa importante è cessare di udire le parole, ciò che ella razionalmente comunica (o ascoltare quelle parole solo per escludere dal campo di ricerca quello che esse sostengono) e dedicarsi solo all’arazionale e all’involontario608. Solo in questi spazi si raggiunge un sapere non banale, non predigerito, non segnato dall’abitudine. Ed è solo in questi spazi che la verità non

604 Cfr. TR, p. 230, e TR, p. 243. 605 Cfr. P, p. 93.

606 Cfr. M. BONGIOVANNI BERTINI, Redenzione e metafora,. cit., p. 40. 607 Cfr. CG, p. 75.

si comunica, ma si tradisce609. Perché la menzogna non venga svelata come tale, essa dovrebbe essere totale, il che è evidentemente impossibile; dunque, per non poter essere totale, la menzogna apre degli spiragli da cui affiora, talvolta, la verità (così che, paradossalmente, la menzogna diviene una delle forme dell’essere sinceri610).

Ma c’è un segreto ulteriore, che giace al fondo di tutte queste piccole menzogne quotidiane, quel segreto che rende impossibile ogni rapporto d’amore, e attorno alla quale ruotano tutte le altre bugie. È la legge di Sansone, la legge di Sodoma e Gomorra: “I due sessi moriranno ognuno dal suo lato”611. Ogni rapporto d’amore

eterosessuale è costretto a confrontarsi con l’incomunicabilità delle due serie (quella femminile e quella maschile) che finiranno per essere di nuovo separate, per morire lontane l’una dall’altra. Le due serie sono distinte, isolate entro vasi chiusi e non comunicanti, come i due côté dell’infanzia del narratore, Méséglise e Guermantes, la cui distinzione è intima, essenziale, e il cui incontrarsi, al termine del romanzo, risulta una scoperta accidentale, in eccessivo ritardo, avendo perso ormai i due lati ogni possibile valore. “L’omosessualità è la verità dell’amore”612, la certezza di una colpevolezza613 che lega due dichiarazioni di innocenza. I due grandi amori del romanzo, quello di Swann per Odette e quello del narratore per Albertine, devono sottostare allo stesso tormento: Odette e Albertine sentono al di sopra del rapporto con l’amante un richiamo ancestrale, il richiamo di Gomorra, che le porta tra le braccia di altre donne. E ciò significa ulteriormente lo scacco di ogni possibilità di comunicazione. La gelosia più terribile è quella che mette l’amante di fronte all’impossibilità di sopperire alle mancanze dell’altro. La legge non si può rompere, perché al fondo di ognuno giace la propria stirpe, la propria serie sessuale, alla quale non si può derogare; e al contempo dunque ciascuno è attratto dall’altro e dallo stesso: l’inclinazione sessuale stessa è indice della dissoluzione dell’individuo. In ogni singolo essere, maschio o femmina, coesistono l’uomo che desidera la donna accanto alla donna che desidera

609 Cfr. P, p. 382: “la verità le sfuggiva solo suo malgrado”. 610 Cfr. P, p. 127.

611 Cfr. SG, p. 21.

612 G. DELEUZE, Proust e i segni, cit., p. 75.

613 L’omosessualità è definita maledetta, colpevole appunto, nella lunga digressione che apre Sodoma e Gomorra e che segue l’episodio di Jupien e Charlus.

l’uomo614, e i due sessi restano incomunicanti, come nell’ermafrodito. Scrivono Deleuze e Guattari ne L’Anti-edipo a proposito di Proust: “Siamo eterosessuali statisticamente e moralmente, ma omosessuali personalmente, senza saperlo o sapendolo, e infine transessuati elementarmente e molecolarmente”615. Al di là delle due serie etero- e omo-sessuale (che già comportano un ripensamento sufficientemente radicale dell’individuo umano monolitico) c’è un’identità sessuale ulteriore: il transessuale. Il regresso al vegetale che spesso caratterizza il momento sessuale nella Recherche va proprio in questa direzione: come il fiore l’essere umano è ermafrodito, come il fiore i due sessi sono separati e incomunicanti, come presso i fiori c’è bisogno della mediazione esterna per fecondarsi616. La condanna della “razza maledetta” (i sodomiti) si estende così all’intero genere umano, di entrambi i sessi, poiché per entrambi vale la medesima scomposizione sessuale, ed entrambi appartengono interamente alle serie maledette di Sodoma e Gomorra.