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2. Il volto di Dioniso L’io nella Nascita della tragedia

2.2 La festa dionisiaca

Vorremmo però fare un passo ulteriore, al di là della tragedia attica e della Nascita della tragedia. Se infatti il progetto nietzscheano è per il momento indissolubilmente legato alla “metafisica dell’artista”, e dunque ad una trattazione essenzialmente estetica dei problemi filosofici138, e dunque si lega alla forma dionisiaca della tragedia, è in realtà possibile andare a scoprire il significato più profondo del principio dionisiaco laddove esso può esercitarsi in tutta la sua potenza. La tragedia nasce infatti da una complementarietà che è anche un compromesso tra Dioniso e Apollo: sebbene Apollo finisca per parlare la lingua di

135 GdT 12. 136 Cfr. GdT 11. 137 Cfr. GdT 12.

138 Tema centrale della Nascita della tragedia è il fatto che l’esistenza è giustificabile solo se la si legge da una prospettiva estetica. (Cfr. GdT, Tentativo di autocritica, 5)

Dioniso, è anche vero che Dioniso è costretto a piegarsi alle forme apollinee per potersi esprimere nella rappresentazione tragica139 (che è e resta una forma della rappresentazione). Al termine del suo percorso filosofico Nietzsche arriverà addirittura a denunciare il “pericolo del teatro come corruzione di ogni forma d’arte”140.

Il luogo consacrato a Dioniso e solo a lui, il suo tempio, non sarà più dunque il teatro tragico ma piuttosto la festa dionisiaca, quella festa in cui le membra sparse del dio si ricompongono e hanno ragione dello smembramento operato dai Titani: Dioniso torna in vita nella festa dionisiaca, una festa in cui egli può esprimere incontrastato, senza compromessi, il proprio principio141. “Contro l’arte delle opere d’arte voglio insegnare un’arte superiore: l’arte dell’invenzione di feste”142, scriverà Nietzsche in un appunto del 1881, quasi un decennio più tardi della pubblicazione del saggio sulla tragedia greca.

Il senso e il luogo dell’affermazione molteplice del dio Dioniso è la sua festa, una festa che si distingue da ogni altra per la sua assoluta liceità: non si tratta né di fare ritorno ad un’origine perduta né di confermare i valori costituiti trasgredendoli né di ristabilire le differenze mimando il gesto di annullarle143. Nella festa del dio Dioniso le differenze vengono semplicemente lasciate essere, senza che abbiano la possibilità di cristallizzarsi in forme di dominio: non c’è ordine da seguire, né modello ideale. La compiutezza di questa festa è nel suo essere programmaticamente incompiuta, così da risultare perfetta in ogni suo momento. È la licenza del gioco (il gioco di quel bambino eracliteo che crea il mondo muovendo i pezzi su di una scacchiera, senza seguire un progetto144) in cui ciascuno perde la propria identità ed è libero di indossare tutte le maschere. Nelle

139 Cfr. GdT 21. Il fine supremo dell’arte è proprio questo confondersi di Apollo e Dioniso, e in particolare l’espressione della saggezza dionisiaca attraverso forme apollinee.

140 NF, VIII, 14 [50].

141 In questo breve sguardo sul tema della festa dionisiaca come luogo più proprio del dio (e come trionfo del suo elemento antisocratico e antisoggettivistico) ci rifacciamo alle illuminanti pagine di ROBERTO DIONIGI (Il doppio cervello di Nietzsche, cit., in particolare le pp. 29-46).

142 NF, V 11 [278]

143 Dionigi sottolinea le differenze specifiche che distinguono la festa dionisiaca dalle feste come vengono concepite dagli studi antropologici più accreditati (qui in particolare il riferimento è alle tesi di Girard e Caillois).

144 Cfr. ERACLITO, fr. 14 [A 18] (= 22B52 DK) : “aviw..n pai/j evsti pai,zwn( pesseu,wn” (La vita è un fanciullo che gioca, che sposta i pezzi sulla scacchiera, traduzione di GIORGIO COLLI, La sapienza greca III. Eraclito, Adelphi, Milano 1980).

parole di Roberto Dionigi: “La licenza dionisiaca è come la perfezione di un universo al quale un dio fanciullo – «assolutamente innocente e immorale» – abbia dato libero mandato di divenire ciò che può. Lasciare che l’essere viga nell’infinità delle sue forme e riconoscergli la prerogativa di un divenire che non può mai divenire reato è la sentenza liberatoria che Nietzsche vede inscritta nel gesto del fanciullo di Eraclito”145. La festa della “differenza senza identità”146 risulta d’altra parte una festa “impraticabile”147, ed è per questo che deve piegarsi ad essere rappresentata nel teatro tragico, incorporandosi al principio rappresentazionale apollineo148.

Dal nostro punto di vista l’elemento più rilevante è che nella festa dionisiaca l’individuo diventa completamente dispensabile, e anzi dannoso in quanto ostacolo alla licenza assoluta di maschera da una parte e alla ricomposizione del dio a partire dalle sue membra dall’altra. La filosofia socratica è quella che pone domande (per questo si fregia del nome di maieutica, un’arte che dovrebbe insegnare a partorire la “verità”), che interpella un soggetto, lo chiama a rispondere, a dare il suo assenso, a dire “sì” a qualcosa. La festa dionisiaca non vuole alcun “sì” determinato, essa ha bisogno di un “sì” preventivo che sappia essere totale, assolutamente affermativo, molteplice: è un sì che nessuna parola può dire e che nessun soggetto potrà contenere.

Fin qui, possiamo dire, la trattazione mitica e ancora legata ad una certa impostazione metafisica, del problema del soggetto, che pure mostra i prodromi di quella che sarà una critica teoreticamente più densa e fondata (oltre che svincolata, almeno nelle intenzioni, da ogni struttura metafisica, andandosi ormai consolidando il prospettivismo metodologico e ontologico nietzscheano).

145R. DIONIGI, Il doppio cervello di Nietzsche, cit., p. 36.

146 La definizione completa che ne dà Dionigi è: “Differenza senza ‘identità’, individui senza ‘collettivi’, gerarchie senza ‘dominio’, piacere del divenire senza obblighi di ‘decisione’” (Ivi, p. 40).

147 NF V, 11 [241].

148 Si pensi che l’accusa ad Euripide si basava sul fatto che egli aveva portato alle sue estreme conseguenze la rappresentazione come forma in sé antidionisiaca.

3. “Il mio nome è legione”

149

: individuo e