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Fede nella grammatica e fede nell’io

3 “Il mio nome è legione” 149 : individuo e molteplicità.

4. Illusioni grammaticali Il superamento del soggetto metafisico

4.1 Fede nella grammatica e fede nell’io

Abbiamo già detto in apertura – e lo abbiamo tenuto come punto fermo del nostro discorso – che il nodo cruciale del corpo a corpo nietzscheano con la metafisica si colloca nella dissoluzione dell’idea tradizionale di soggetto229. E per abbattere quest’idea metafisica, quella di un io-soggetto (che si lega a sua volta a quella di un io sostanziale, una res cartesiana, un subjectum come supporto cui si riferiscono le varie facoltà che siamo soliti attribuire all’io), Nietzsche indica chiaramente una via, attraverso la quale sia possibile mostrare l’inconsistenza di questo costrutto. “La fede nell’io” scrive in un appunto della metà degli anni ’80 “si sostiene e cade con la fede nella logica”230. Una volta che dunque si sia mostrata – come Nietzsche crede di aver fatto – la natura convenzionale della logica formale (ma più in generale della grammatica, e più in generale ancora del linguaggio) e una volta che si sia mostrato come l’idea di un io-soggetto dipenda da essa, ecco che potremo annunciare la “caduta” del soggetto stesso. È quello che cercheremo di vedere nelle pagine che seguono, per andare poi ad indagare in che modo dall’illusione grammaticale del soggetto seguano tutta una serie di congetture metafisiche, che perdono ogni consistenza una volta che il loro

229 In questo non diciamo niente di originale: sono in molti ad aver affermato la centralità di questo tema, sia negativamente (cioè contro l’intenzione dello stesso Nietzsche), alla maniera di Heidegger (il trionfo della soggettività nella filosofia di Nietzsche come la sconfitta dell’antimetafisica nietzscheana, e del resto anche ciò che da il la alla fine della metafisica), sia positivamente (per fare alcuni nomi, Klossowski, Vattimo, Cacciari). Quest’ultimo scrive testualmente: “La critica dell’idea di ‘soggetto’ è il punto cruciale del ‘pensiero negativo nietzscheano”, M. CACCIARI, Krisis. Saggio sulla crisi del pensiero negativo da Nietzsche a Wittgenstein, Feltrinelli, Milano, 1976, p. 60).

230 NF VIII, 7 [55]. Abbiamo già citato questo frammento come quello che mostra in che modo per Nietzsche dalla caduta del soggetto dipenda la caduta dell’intera metafisica, che si costruisce proprio usando il soggetto come modello (è ciò che tenteremo di documentare nel corso di questo capitolo).

modello soggettivo cessi di valere (si tratta, oltre che della già citata unità, anche della causalità, della sostanza, dell’essere stesso).

Il punto è questo: l’essere umano non può fare a meno di vedere somiglianze e uguaglianze in ciò che percepisce. Questo sia perché dispone di sensi troppo grossolani per cogliere differenze anche non eccessivamente sottili, sia perché ha bisogno di semplificare il reale allo scopo di renderlo utilizzabile231. Da questo limite fisico e da questa necessità biologica (di per sé assolutamente arazionale232) nasce il pensiero logico233, ovvero quella forma mentis che utilizza concetti, specie, universali, secondo raggruppamenti che risultano comodi ma quantomeno arbitrari. Secondo Nietzsche il caso identico, così come il fatto isolato, è un’invenzione umana troppo umana, atta a gestire un mondo, che però da parte sua offre solo casi diseguali, singolari e per di più non offre alcun fatto individuale, ma solo un divenire continuo di forze, che già di per sé renderebbe vacuo un concetto come quello di sostanza234. Presupposto della logica è dunque fingere che questa condizione di eguaglianza sia effettivamente adempiuta: ovvero la volontà di verità che si esprime nella logica riposa su di “una sistematica falsificazione di tutto ciò che avviene”235. Si pensi al concetto biologico di specie: esso non è che il prodotto di un rallentamento nella crescita e nel mutamento di un gruppo di esseri che ci appaiono simili, cosicché si possono tranquillamente considerare come se condividessero una forma, o addirittura un’essenza comune (il che può darsi al prezzo non eccessivo di ignorare le piccole mutazioni e i piccoli continui accrescimenti)236.

231 Cfr. NF VIII, 7 [9]. Qui Nietzsche dice chiaramente che la volontà di eguaglianza risponde ad una volontà di dominio umano sulla natura che è a sua volta volontà di potenza. Noi finiamo per credere che ci siano cose uguali, perché vogliamo costringere le cose all’eguaglianza di cui abbiamo bisogno.

232 Nietzsche è addirittura più radicale e la definisce “illogica”, giacché niente di uguale esiste (FW 111).

233 Cfr. anche FW 111. 234 Cfr. il già citato WS 11. 235 NF VII, 40 [13].

236 NF VIII, 9 [144]. Nella Gaia scienza (FW 354) Nietzsche sosteneva del resto che per la coscienza già il singolare è qualcosa di troppo complesso, per cui è molto più comodo ripiegare sul dato comune, specifico, e accontentarsi di quello. La specie sarebbe dunque rispecchiamento della semplicità dello strumento con cui si esamina, e non qualcosa che si possa legittimamente considerare come esistente: “La forma vale come qualcosa di duraturo e perciò più pregevole; ma la forma è stata inventata da noi” (NF VIII 9 [144]).

Allo stesso modo Nietzsche scrive pagine vibranti contro il principio dei principi, quel principio che da Aristotele in poi è stato istituzionalizzato come l’assunto imprescindibile di ogni logica: la non-contraddizione.

Noi non riusciamo ad affermare e a negare una stessa e identica cosa: è questo un principio di esperienza soggettivo, in esso non si esprime una “necessità”, ma solo un non potere. […] Il principio non contiene quindi un criterio di verità, ma un imperativo circa ciò che DEVE valere come vero. […] In realtà la logica vale solo per verità fittizie, CHE SONO STATE DA NOI CREATE. La logica è il tentativo di comprendere, o meglio di

rendere per noi formulabile, calcolabile, secondo uno schema di essere da noi posto, il mondo reale… 237

Il principio base della logica è dunque un mero strumento per conferire un ordine alla realtà in base a quelli che sono i nostri limiti e le nostre esigenze biologiche238. Esso è meramente normativo e in nessun modo ci descrive la realtà come essa è (ammesso che una simile espressione, nell’ambito del prospettivismo nietzscheano, abbia ancora senso). La logica non scopre che la realtà ha una logicità intrinseca, ma mette a punto degli strumenti che si rivelano efficaci per impossessarci di essa239. (Quindi essa è descritta ancor meglio che da un dover essere – cosa senz’altro giusta – da un voler-potere240).

La non contraddizione ci dice che le nostre strutture mentali non riescono a concepire il fatto che (usiamo l’espressione aristotelica) “una cosa sia e non sia allo stesso tempo”, ma non ci dice come le cose stiano effettivamente. Il metafisico opera proprio in direzione di un’obliterazione del fatto che questa struttura è quella che noi abbiamo imposto alla realtà, e si stupisce di ritrovare in essa proprio quello che ci aveva messo241. Da questo punto di vista, nota Cacciari, Nietzsche sta al contempo demistificando e fondando il giudizio logico:

237 NF VIII 9 [98].

238 Cfr. NF VIII 14 [152]. “La costrizione soggettiva – quella che vieta la contraddizione – è una costrizione biologica. […] Ma quale ingenuità ravvisarvi una prova del fatto che noi qui possederemmo una «verità in sé»”.

239 Cfr. VII 26 [61].

240 Cfr. MASSIMO CACCIARI, Krisis, cit., p. 69. 241 Cfr. GD, I quattro grandi errori, , 3.

“Demistificazione, nella misura in cui non lo deduce da alcuna necessità-verità oggettiva. Fondazione, perché ne stabilisce la necessità, pur in un contesto epistemologico trasformato”242: vale a dire la logica è solo uno strumento di potere (dacché il nostro potere dipende dalla nostra capacità di sistematizzare e semplificare il mondo, che altrimenti degenererebbe in un caos inconoscibile243). Non possiamo pensare prescindendo dall’essere, non possiamo conoscere ciò che è instabile: il divenire incessante che il mondo è, esclude di fatto la possibilità di essere conosciuto; per conoscere bisogna inevitabilmente introdurre surrettiziamente (ma inevitabilmente) “l’illusione dell’essere”244. Siamo

all’opposto diametrale dell’Eleate, il quale agli esordi del pensiero occidentale diceva: “Non si pensa ciò che non è”. Nietzsche ribatte: “Ciò che può venir pensato deve sicuramente essere una finzione”245.

Non c’è dunque niente nella realtà – o meglio, tralasciando il verbo essere246–, non accade nulla che sia in sé conforme all’ideale logico che abbiamo voluto (e in certa misura dovuto) piantare nella realtà247. Ciò che vediamo in essa di logico, altro non è che la proiezione delle strutture mentali con cui la percepiamo o la analizziamo. “Il mondo ci appare logico perché prima noi stessi lo abbiamo logicizzato”248.

In modo analogo Nietzsche tratta la questione del ruolo della grammatica, di cui abbiamo già parlato in sede di trattazione del prospettivismo. La grammatica del linguaggio che ci troviamo a parlare è essa stessa una rete che gettiamo sul mondo, il quale a sua volta ci appare secondo le forme che essa gli impone. Il nostro modo di percepire e di pensare ha una dipendenza diretta dalla grammatica

242 MASSIMO CACCIARI, Krisis, cit., p. 65. 243 Cfr. NF VIII, 9 [106].

244 NF VIII, 9 [89], frammento fondamentale sull’argomento. Cfr. anche NF VII, 26 [71]: “Con lo scopo e con i mezzi ci si impadronisce del processo (cioè ci si inventa un processo che si può afferrare), ma con i concetti ci si impadronisce delle cose che formano il processo”.

245 NF VIII 14 [148]. Cfr. anche NF VII 26 [70]: “Quanto più una cosa è conoscibile, tanto più essa è lontana dall’essere, tanto più è concetto”.

246 Talvolta è inevitabile usare termini che in realtà sarebbero “proibiti” dall’impostazione nietzscheana del discorso. Ciò è dovuto ora all’economia del discorso stesso, ora a motivi – che vaglieremo in seguito – di difficoltà, quando non di impossibilità, di uscire dal proprio linguaggio, specie in un tipo di testo come il presente, che deve rispondere istituzionalmente a criteri di coerenza, intelligibilità, comunicatività. Naturalmente, quando sarà possibile, cercheremo di evitare espressioni, usare le quali metterebbe in crisi ciò che cerchiamo qui di far valere.

247 Si pensi alle Ricerche filosofiche di Wittgenstein (§ 101, 103), in cui il rapporto tra logica e realtà è descritto in termini analoghi.

che articola il nostro linguaggio. Essa da questo punto di vista è una “metafisica popolare”249, vale a dire un pensiero imposto alla realtà che si spaccia per la realtà stessa, mantenendosi al semplice livello del comunicare linguistico, in cui tutti sono implicitamente coinvolti. Nella prefazione di Al di là del bene e del male Nietzsche liquida come “seduzioni della grammatica”250 la superstizione del soggetto, dell’io e dell’anima: parliamo in termini di soggetto-predicato- complemento251, dunque pensiamo nei medesimi termini, dunque crediamo che nella realtà si diano entità come “il soggetto”. La stessa metafisica, gli stessi sistemi filosofici dipendono inevitabilmente dalla grammatica che li esprime252.

Se la tradizione occidentale ha scelto l’essere anziché il divenire, se la sua metafisica ha privato di valore tutto ciò che non è durevole, ciò dipende esclusivamente dal fatto che le strutture linguistiche, logiche e grammaticali necessitavano di leggere il mondo secondo dei filtri che privilegiassero questa prospettiva ontologica anziché l’altra253. È questa la “mitologia filosofica”254 che giace al fondo di ogni linguaggio255.