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Una nuova concezione del tempo

circolo vizioso

5.2 Una nuova concezione del tempo

Fin qui abbiamo cercato di seguire la pagina nietzscheana lungo le sue enigmatiche espressioni che riguardano l’eterno ritorno. Adesso cercheremo di chiarire meglio quale significato sia possibile attribuire a questa dottrina (e anche fin dove sia possibile attribuirgliene), per poi andare ad analizzare quali conseguenze ne derivino per il soggetto, alla volta della cui dissoluzione ci siamo messi in cammino.

Anzitutto è bene chiarire che fin qui non abbiamo ancora potuto vedere (e semplicemente perché non ne troviamo traccia, almeno nelle opere edite) un’esposizione coerente della dottrina dell’eterno ritorno dell’uguale. Nietzsche stesso sottolinea in almeno due occasioni questo fatto. Anzitutto in un appunto dell’anno 1883349 in cui si sostiene che il terzo libro dello Zarathustra non esprime ma si limita a preparare il pensiero del ritorno. La seconda dichiarazione di questo tipo la troviamo in una lettera destinata all’amico Franz Overbeck, datata 8 marzo 1884, in cui Nietzsche si dice ancora lontano dal poter formulare o esporre questa teoria350. Ciò per chiarire ulteriormente che gli elementi che Nietzsche ci fornisce e su cui si deve costruire un’interpretazione sono particolarmente scarsi, e in forma solo di preparazione di un discorso (forse di fatto impossibile). (Da ciò è forse più facile comprendere perché gli esegeti si siano tanto accapigliati sulla definizione del pensiero del ritorno con risposte anche tanto lontane e incompatibili)351.

348 Cfr. K. LÖWITH, Significato e fine della storia, cit., pp. 247-8. 349 Cfr. NF VII 16 [73].

350 E, vol. IV, p. 460.

351 Fondamentale, da questo punto di vista, anche ciò che nota Fink (E.FINK, La filosofia di

Nietzsche, cit., p. 143) sulla relazione tra i temi dello Zarathustra e il modo in cui sono espressi:

“Zarathustra parla del Superuomo a tutti, della volontà di potenza e della morte di Dio ai suoi e dell’eterno ritorno solo a se stesso”. Ciò ha una relazione tanto con una gerarchizzazione delle tematiche (e sicuramente il ruolo centrale spetta a quello che non a caso è chiamato “pensiero dei

Anzitutto, seguendo l’analisi dell’eterno che opera Löwith in una delle prime letture filosofiche di Nietzsche del secolo e che si incentra proprio sul pensiero dell’eterno ritorno352, bisogna distinguere (e almeno in un primo momento tener distinti) due aspetti fondamentali dell’eterno ritorno: quello etico e quello cosmologico.

Dell’eterno ritorno come dottrina etica abbiamo già avuto modo di dire qualcosa leggendo l’aforisma 341 della Gaia scienza. Si tratta di leggere l’eterno ritorno come possibilità di cambiare radicalmente il modo di esistere dell’uomo mutandone la concezione temporale (al di là del fatto che essa sia o meno reale). Concepire il mondo (e soprattutto se stessi) come qualcosa che eternamente ritorna identico può essere il peso più grande (sotto il quale far perire i deboli) o la più grande gioia (la radicalizzazione della quale porterà al modo di vivere dell’oltreuomo). L’anello del ritorno è un pensiero che da solo è in grado di trasformare l’esistenza degli uomini353 (e anche la storia del genere umano). Qui vediamo anche come l’eterno ritorno, da questo punto di vista, risponda anche ad una ricerca nietzscheana (nell’ultima fase della sua produzione) di guadagnare al suo pensiero un’efficacia che fosse anche storico-politica354: da un certo punto in poi Nietzsche vuole cambiare l’umanità, essere l’artefice di una rivoluzione, spaccare in due la storia dell’umanità in modo che ci sarà un prima e un dopo Nietzsche (si noti quella vanità messianica che non colpisce l’Anticristo meno del Cristo)355. Ad ogni modo, questa prospettiva non richiede un impegno a sostenere la realtà effettiva – fisica, cosmologica – del ritorno, ma richiede solo che si possa considerarla vera (sul versante più propriamente morale) o che la si consideri vera (sul versante storico politico)356. Si è giustamente notato357 che gli

pensieri”) quanto con una intrinseca possibilità di essere compresi (ma anche, e ciò ci interesserà particolarmente in seguito, espressi).

352 Nel già citato K. LÖWITH, Nietzsche’s Philosophie des ewiges Wiederkehr des Gleiches. 353 Cfr. V, 11 [226].

354 Si veda a proposito un appunto dell’estate del 1881(NF V, 11 [158] ): “Guardiamoci dall’insegnare una simile teoria come un’improvvisa religione! […] Che cos’è il paio di millenni nei quali il cristianesimo si è conservato? Per il pensiero più potente occorrono molti millenni – un

lungo lungo tempo deve essere piccolo e impotente!”.

355 Cfr. G.VATTIMO, Introduzione a Nietzsche, cit., pp. 73-75.

356 Scrive Nietzsche nella già citata lettera dell’8 marzo 1884 a Overbeck: “Se è vero, o meglio: se viene creduto vero – allora tutto cambia e si capovolge e tutti quelli che finora erano valori saranno svalutati” (E, vol. IV, p. 460). L’eterno ritorno è qui considerato principio, anche psicologico oltre che teorico, della Umwertung aller Werte che sarà il tema dominante nell’ultima produzione nietzscheana).

sforzi di Nietzsche vanno per la maggior parte in direzione di un rafforzamento di questo aspetto dell’eterno ritorno, vale a dire vertono sulle sue conseguenze più che sulla sua realtà e sul suo statuto teorico. E la prima e più fondamentale tra le conseguenze è senz’altro la selezione, il far prosperare coloro che riescono a vivere anche con il peso del ritorno (in un “mare infinito di ipotesi”358) e il far perire coloro che soccombono sotto il peso del circulus vitiosus deus. Sempre a questa dimensione etica si lega anche il tema della decisione, su cui insistono alcuni interpreti. Nel momento in cui, non solo l’eterno ritorno chiede un assenso, ma c’è piuttosto bisogno di dar corso ad un’azione che “stacchi la testa del serpente”, ed istituisca così l’anello del ritorno, nel momento stesso in cui viene richiesta una decisione, la dimensione deve necessariamente essere etica359. Un ultimo aspetto etico-esistenziale è quello – cui abbiamo già avuto modo di accennare – del ritorno come forma estrema (e dunque finale) del nichilismo, poiché rende perpetua e infinitamente ricorsiva quell’assenza di senso che il nichilismo rileva. Se infatti si guarda all’eterno ritorno dal passato il risultato è quello di perdere ogni speranza di poter agire, di perdere l’azione stessa, che diviene un atto determinato da un passato che non può non ripetersi (è questa la prospettiva del nichilista che perirà sotto il peso dell’eterno ritorno); se d’altra parte si guarda all’eterno ritorno dal futuro finiamo per acquistare una forza altrimenti impensabile: in ogni attimo c’è l’eternità intera, e in virtù del circolo è possibile determinare non solo il futuro, ma il passato stesso, costringerlo ad assumere la forma della nostra azione.

Il secondo complementare (anche se talvolta letto come alternativo) aspetto dell’eterno ritorno è quello che appare il più immediato: la sua valenza come dottrina cosmologica. La derivazione antica di una tale teoria ciclica è fin troppo evidente, ma non va esagerata: il proposito di Nietzsche non è quello di trovare una temporalità anticristiana, per cui andrebbe a ricercare il modello temporale greco e a riproporlo identico. Nietzsche sta pensando veramente il suo pensiero più profondo, più radicale e più radicalmente sconvolgente, e non si può pensare

357 Cfr. MAZZINO MONTINARI, Che cosa ha detto Nietzsche, Adelphi, Milano 1999, p. 123. 358 NF VII, 25 [515].

359 Secondo Vattimo (G. VATTIMO, Il soggetto e la maschera, cit., p. 210-11) la decisione del pastore che morde la testa del serpente attua un vero e proprio salto kierkegaardiano da una stato estetico ad uno etico.

di ridurlo ad una (malriuscita) mossa anticristana. Certo a Nietzsche avrà fatto piacere vedere come quest’idea fosse incompatibile col cristianesimo e con tutta la metafisica e come richiamasse invece l’ideale antico, ma pensare che riprenda il modello antico in funzione anticristiana è voler sminuire eccessivamente il pensiero nietzscheano. Sicuramente, ad ogni modo, esiste un versante cosmologico di questa teoria, che non può esser preso alla leggera. Abbiamo già citato il racconto di Lou von Salomé in cui si parla dell’intenzione nietzscheana di intraprendere studi scientifici al fine di fondare su solide basi la sua teoria del ritorno (si è notato che del resto la teoria non sembrava affatto incompatibile con le teorie scientifiche in voga negli anni ’80 del XIX secolo). Fatto sta che, sebbene la preoccupazione principale di Nietzsche sia quella di indagare le conseguenze dell’eterno ritorno, non mancano passi (contenuti nel Nachlass) in cui egli cerca di dimostrare l’effettività del ritorno (passi che mal si conciliano con un’idea esclusivamente morale del ritorno, e dunque con l’idea che Nietzsche non credesse realmente ad una, quantomeno possibile, realtà scientifica del ritorno). L’argomentazione che Nietzsche utilizza per fondare l’ “annulus aeternitatis”360 ha più o meno questo andamento: il movimento non può avere fine, giacché se potesse averla essa sarebbe già stata raggiunta nel tempo infinito che ci precede. Poiché tale stato finale non esiste, esso non può esistere (bisogna prescindere da ogni eventualità di finalismo, che ci spingerebbe a postularlo)361. Se inoltre si considera, da una parte una quantità di materia sterminata ma non infinita, dall’altra il principio di conservazione dell’energia, risulta inevitabile che una volta che tutti gli stati siano percorsi il ciclo debba ricominciare identico362. Scrive Nietzsche in un appunto dell’1881 (anno della rivelazione): “Il corso circolare […]” senza aspirazione né scopo “è eterno,

360 Cfr. NF V, 11 [197]. 361 Cfr. NF VIII, 11 [72].

362 Cfr. NF VIII, 5 [54]: “Il principio di conservazione dell’energia esige l’eterno ritorno”. Borges, nella sua Historia de la eternidad, riproduce molto meglio di quanto abbiamo fatto qui, l’argomentazione classica a favore della dottrina cosmologica del ritorno, sebbene non possa essere riferita a Nietzsche, non fosse altro perché parte dal concetto di atomo : “Il numero di tutti gli atomi che compongono il mondo è, benché smisurato, finito; e perciò capace solo di un numero finito (sebbene anch’esso smisurato) di permutazioni. In un tempo infinito, il numero delle permutazioni possibili non può non essere raggiunto, e l’universo deve per forza ripetersi. Di nuovo nascerai da un ventre, di nuovo crescerà il tuo scheletro, di nuovo arriverà questa pagina tra le tue mani uguali, di nuovo percorrerai tutte le ore fino all’ora della tua morte incredibile” (J.L. BORGES, Tutte le opere, cit., Vol. I, p. 568).

indivenuto. Esso è la mia legge originaria”363. Ed è questa, d’altra parte, la nietzscheana cosmodicea364 (solo negando l’essere in genere, cosa che fa l’eterno ritorno, il divenire risulta giustificato in ogni suo attimo365), cioè la giustificazione del divenire, poiché esso non può essere se non ciò che è366.

Dunque, questi sono i due aspetti della dottrina dell’eterno ritorno: da una parte quello etico e dall’altra quello cosmologico. La difficoltà, come già cominciò a rilevare Löwith, è riuscire a tenerli assieme, laddove invece esse cercano di fuggire in direzioni diverse. Bisogna pertanto vedere in che termini la dicotomia posta in questo modo sia limitante e quali elementi risulti necessario aggiungere per ottenere un’idea più completa della dottrina del ritorno367.

Per comprenderla più profondamente è necessario fare un passo indietro, e andare a leggere il capitolo Della redenzione, nel secondo libro dello Zarathustra. Qui si individua la più grande impossibilità per la volontà umana, il più grande scacco per l’uomo, nell’incapacità di volere a ritroso (una forma, se vogliamo, di ineludibile Geworfenheit, la heideggeriana gettatezza, su cui non si ha potere, ma da cui si è preliminarmente determinati). È da questo scacco che nasce la sofferenza della volontà (anziché la sua liberazione) e la sua ritorsione su tutto quanto possa essere oggetto di sofferenza. Alla base del risentimento, alla base dello spirito di vendetta, c’è una struttura temporale, quella di un tempo lineare che scorre irreversibilmente dal passato verso il futuro e in cui il passato è il dato immodificabile: quella legge per cui il tempo, come Chronos nella mitologia greca, non può che divorare i suoi figli368. “Tutto perisce, tutto deve perire”, così predica la nostra coscienza del tempo, ripetendo solo la nostra incapacità a volere a ritroso, la nostra impotenza sul passato. Avendo ormai rinunciato alla possibilità di seguire il vecchio maestro Schopenauer sulla strada

363 NF V, 11 [258].

364 Cfr. M. MONTINARI, Che cosa ha detto Nietzsche, cit., p. 124. 365 Cfr. NF VIII, 11 [72].

366 Cfr. anche R. DIONIGI, Il doppio cervello di Nietzsche, cit., p. 121: “Come non si può chiedere a una forza di desistere da ciò che è, così non si può imputare al divenire di essere quello che è”. 367 A scanso di equivoci, vorremmo chiarire che non intendiamo in alcun modo “risolvere” il problema dell’eterno ritorno. Nietzsche non dà indicazioni chiare a riguardo, così che un’ultima parola su questo argomento, oltre che infondabile, andrebbe esplicitamente contro la reticenza dei testi nietzscheani.

368 Significativamente Vattimo (G. VATTIMO, Il soggetto e la maschera, cit., pp. 249-283) chiama questa struttura temporale “struttura edipica del tempo”, quella in cui ogni attimo uccide il precedente, rendendolo inattingibile, rendendolo immodificabile.

che porta dal riconoscimento della vanità della volontà a quello della rinuncia al volere stesso (la famosa nolontà, che tanto ricorda il Nirvana dei buddhisti) ma cercando una risposta affermativa al problema, Nietzsche-Zarathustra vuole insegnare una nuova volontà creatrice:

Via da tutte queste filastrocche, io vi condussi quando vi insegnai: “la volontà è qualcosa che crea”369.

Ogni così fu è un frammento, un enigma, una casualità orrida – fin quando la volontà che crea non dica anche “ma così volli che fosse!”.

– Finché la volontà che crea non dica anche: “Ma così io voglio! Così vorrò!”.370

L’anello del ritorno è ciò che permette alla volontà di essere creatrice non solo del futuro, ma del passato stesso: l’attimo si porta dietro tutta l’eternità, e dunque l’intero ciclo è determinato dall’attimo, da qualsiasi attimo: in ogni istante il circolo indivenuto ed eterno è come creato ex nihilo. L’uomo cessa così di essere prigioniero del “così fu”, ovvero del passato come la struttura temporale irreversibile (edipica) lo concepiva. Nietzsche sente fin dalla giovinezza un senso di ostilità verso il peso del passato, della memoria. Nella Seconda inattuale (in cui mette a tema la storia371) egli parla dell’ipertrofia di senso storico e di nozioni, di conoscenza del passato: un tale eccesso porta alla paralisi, all’incapacità di produrre, o anche solo di pensare, il nuovo. Il rischio è di divenire come quel borgesiano Funes, schiacciati da una memoria tanto prodigiosa quanto di fatto castrante per la vita: si può passare un intero giorno a ricordare un giorno, a riprodurne i minimi dettagli, le sfumature infinitesime, col risultato di non aver vissuto e di aver accumulato un’archiviazione puntuale di un passato inservibile372.

369 Cfr. Z, Sulle isole beate.

370 Z, Della redenzione. Cfr. anche Z, Di antiche e nuove tavole, 3: “in quanto poeta, solutore di enigmi e redentore della casualità, insegnai loro a creare nell’avvenire e a redimere nella creazione tutte le cose che furono. Redimere il passato nell’uomo e ricreare ogni così fu finché la volontà dica: ‘Così volli che fosse. Così vorrò che sia!’ ”.

371 Il titolo è Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben, tradotto Sull’utilità e il danno

della storia per la vita (UB II). Anche in un passo già citato di su verità e menzogna in senso extramorale (UWL I) si leggeva dell’oblio come forma più salutare della memoria.

Ancora qui il passato immutabile viene a dare conferma dell’uomo come un nie zu vollendes Imperfektum373 (un imperfetto che non può mai giungere a compimento): una vita è la negazione continua del proprio passato ad opera degli istanti presenti e al contempo il passato grava come un peso ineliminabile su ogni presente. È questa, come accennato, l’origine dello spirito di vendetta contro cui spesso si è scagliato Nietzsche nel corso della sua opera. Dallo scacco del tempo perduto nasce il risentimento, che ha sia la forma della sofferenza che quella della volontà di punire, di infliggere dolore374. Siamo di fronte al cristiano una volta per tutte (una creazione, una caduta, una redenzione ad opera del figlio, una fine, un giudizio: tutto sta sulla medesima linea cronologica, tutto volge verso il te,loj, niente è modificabile di quanto è avvenuto), che è la stessa struttura su cui si fondano tanto la metafisica, quanto la morale, quanto l’idea di verità. La redenzione da questo giogo temporale può arrivare solo dalla scoperta che tutto deve ancora essere creato, e che le sorti dell’eternità dipendono da ogni attimo: è questo il significato dell’eterno ritorno, che non vuol dire, accettare stoicamente la necessità375 del circolo come la verità del tempo, ma significa concentrarsi sul valore dell’attimo, di quella porta carraia in cui collidono due sentieri opposti che all’infinito giungono a riunificarsi, di quell’istante da cui continuamente dipende l’intera eternità. Per questo il pastore-Zarathustra deve mordere la testa del serpente, rompere il ciclo per istituirlo, mostrare che il circolo in quanto tale è inadeguato al ritorno. La decisione del morso è qualcosa che bisogna aver la forza di prendere, e che nessuno, neanche il profeta dell’eterno ritorno, è in grado di insegnare. Si verifica in questo gesto il passaggio dal NO dello spirito di vendetta al Sì dell’eterno ritorno376: divenendo creatori dell’attimo (in esso dell’intero circolo) si accetta – non come passiva necessità, ma come creazione propria– tutto il divenire.

373 A parlarne è Vattimo (Nichilismo e problema della temporalità in Dialogo con Nietzsche, cit., p. 19). Ci serviremo ampiamente in questa fase del nostro discorso di questo saggio, per molti versi illuminante.

374 Cfr. MARTIN HEIDEGGER, Chi è lo Zarathustra di Nietzsche in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1991, p. 73-77.

375 “Amor fati” scrive Vattimo nella sua Introduzione a Nietzsche (cit., p. 93) non è solo “accettazione delle cose come stanno; il destino per Nietzsche non è mai accettazione delle cose come stanno, ma sempre unità di senso voluta e creata”.

Siamo alla vetta del pensiero nietzscheano: l’eterno ritorno è ciò che avvicina massimamente il divenire all’essere: “Imprimere al divenire il carattere dell’essere – è questa la suprema volontà di potenza. […] Che tutto torni, è l’estremo avvicinamento del mondo del divenire a quello dell’essere.”377. È il circolo vizioso che giunge a compiere quello che è forse il più fondamentale dei propositi nietzscheani, che lo rimanda all’amato Eraclito: il mondo è un innocente divenire, al di là di ogni mistificazione ed ipostatizzazione metafisica, che sempre torna su se stesso; il gioco del fanciullo, la cui casualità significa imprescindibilità di ogni attimo, necessità del caso fortuito.

Inoltre, per tener insieme i due momenti, ad una prima lettura scissi ed indipendenti, dell’eterno ritorno, è utile andare a vedere una sorta di rapporto circolare che viene ad instaurarsi tra questi due aspetti della dottrina, in virtù della struttura decisionale che Nietzsche le conferisce. Non è possibile infatti aderire, scegliere di dire sì, all’eterno ritorno se non si è già effettivamente immersi nella sua struttura temporale. La struttura lineare e irreversibile del tempo nega di fatto l’autonomia dell’attimo e lo sottomette allo scorrere del tempo (l’attimo è immediatamente negato dal suo successore e assume valore solo nella misura in cui lo si inserisca nella linea). “La linea è la verità del punto”: è questo il principio della struttura edipica del tempo, solo l’intero giustifica le sue parti. Il circolo vizioso del ritorno ribalta questa situazione: “il punto è la verità del circolo”; è nell’attimo che continuamente si decide l’intera eternità, passato e avvenire indistintamente. Solo se si è già parte di questa struttura circolare (e dunque si è già capaci di vivere l’attimo nella sua crucialità) è allora possibile trovare la forza della decisione di volere l’eterno ritorno. I due momenti della dottrina del ritorno finiscono dunque per implicarsi in un rapporto ironicamente circolare: solo nel tempo dell’eterno ritorno è possibile prendere la decisione, solo attraverso la decisione si arriva ad istituire il ritorno.

Un ulteriore aspetto che non si può tralasciare parlando dell’eterno ritorno è quello che lo lega alla sfera del piacere. Se il ritorno è il massimo Sì che si possa dire alla vita (tanto radicale da essere sovrumano, oltreumano), ben si capisce

come esso sia legato al piacere, che nell’ambito di una filosofia dionisiaca è un principio molto più profondo del dolore378. Il dolore (a partire da quello del tempo vissuto come inesorabile caducità) sembrerebbe essere un’obiezione all’eterno ritorno: l’uomo che si rotola a terra e piange di fronte al demone che gli comunica il ritorno identico di tutte le cose è colui che vede la vita come dolore e che pertanto non può accettare che esso si perpetui in infinite ripetizioni.