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circolo vizioso

5.3 Eterno ritorno e soggetto

Questa breve rassegna, senz’altro incompleta391, dovrebbe servire soprattutto a dare l’idea della delicatezza del tema e della sua plurivocità. A noi però interessa ora andare a vedere come l’eterno ritorno intervenga nella lotta nietzscheana contro il soggetto, senza per altro aver bisogno di addentrarci in ipotesi azzardate per costringere il pensiero dei pensieri a sottostare ai nostri scopi.

Che una metamorfosi radicale della concezione temporale, in cui il passato e il futuro si confondono l’uno nell’altro ed entrambi risultano contenuti ed implicati in e da ogni attimo, è già di per sé una prospettiva con la quale il soggetto metafisicamente inteso non può coesistere. Si è anzi individuato proprio nella trasformazione del soggetto il senso più profondo del circolo vizioso392. Il soggetto che vive il ritorno come angoscia e disgusto è il nemico più accanito del ritorno stesso e quello che dall’idea stessa del ritorno sarà annichilito, in vista della creazione dell’oltreuomo. L’oltreuomo infatti, come prodotto essenziale del ritorno (si pensi che Zarathustra si presenta alternativamente come maestro ora dell’eterno ritorno, ora dell’oltreuomo, mostrando come i due insegnamenti siano inscindibili) è la negazione del soggetto tradizionale; è l’essere che riuscirà a vivere il ritorno come perdita della soggettività e dell’identità, e in questo egli può realmente dire “Io sono” anziché “io devo” o “io voglio” essere, postulando una sostanza data a cui aderire. Il soggetto tradizionale può vivere solo nella forma del cammello o del leone393, mentre l’essere extrasoggettivo sarà in grado

391 Non fosse che per l’assenza di Heidegger, la cui lettura è stata e sarà comunque riferimento costante del nostro discorso. Egli, ad ogni modo, insiste sul valore dell’attimo che Nietzsche dà al ritorno, e legge la sua nuova concezione della temporalità come la dissoluzione di ogni fondamento. Egli, tuttavia, pur riconoscendo la centralità del pensiero del ritorno, finisce per oscurarlo e per piegare l’intera lettura di Nietzsche al principio della volontà di potenza, come principio estremo della soggettività moderna (Cfr., ad esempio, M. FERRARIS, Nietzsche e la filosofia del Novecento, cit., pp. 99-108).

392 Cfr. G. VATTIMO, Il soggetto e la maschera, cit., p. 213 ss.

393 Ci rifacciamo qui ai tre stadi di cui Nietzsche parla nello Zarathustra (Z, Delle tre metamorfosi), rappresentati dalle figure del cammello (colui che non riesce ad essere se non coincidendo con il peso che gli è dato portare, colui che porta sulle spalle il proprio dover essere) del leone (lo spirito libero, capace di ribellarsi, di liberarsi, di volere se stesso, ma pure sempre preso dai lacci della metafisica dalla qual non può uscire) e del bambino (colui che irriflessamente è – cioè diviene –, senza dover aderire ad alcuna soggettività, ma in grado di produrre liberamente la propria esistenza

di produrre l’esistenza libera e massimamente innocente del bambino, cui non è imposto di dover aderire ad una soggettività data. Nel momento in cui il ritorno distrugge ogni fondamento metafisico – la possibilità stessa di un fondamento metafisico – esso travolge lo stesso soggetto, che restava l’ultimo tentativo di fondazione (la risposta moderna, cartesiana, al problema del fundamentum inconcussum).

Lo spazio delle possibilità era stato spalancato, a monte, dall’annuncio della morte di Dio, che significava la perdita del garante di ogni identità così come di ogni dover essere. La lotta nietzscheana consiste proprio nel fare in modo che il posto che era di Dio non venisse occupato da un soggetto deificato (come più o meno lo accusa di aver fatto Heidegger394), e che si mantenga aperto un oceano infinito ed instabile di ipotesi e di possibilità, che diventasse il terreno per il prosperare di un essere nuovo, quell’oltreuomo che può esistere solo in relazione all’eterno ritorno e come suo portato. Da questo punto di vista è indispensabile operare una cesura netta tra uomo e oltreuomo: se pure l’uno è evoluzione dell’altro, il mutamento è sostanziale e non si può in alcun modo far coincidere l’uomo superiore con il l’oltreuomo (anzi, l’uomo superiore è l’antitesi massima dell’oltreuomo395).

Il soggetto, che l’uomo superiore interpreta nella sua forma più compiuta, dipende dalla struttura temporale dell’una volta per tutte, che è la struttura della metafisica, della morale, del cristianesimo, della verità. Il soggetto metafisico sussiste, e nel far ciò aderisce ad una identità. Solo nel momento in cui l’eterno ritorno giunge a negare la possibilità del sussistere come si era fino ad allora inteso, allora sarà possibile liberarsi dell’identità, e divenire molteplici, periodici, come l’esistenza396: sarà aperta la strada all’oltreuomo. Non c’è più fine, mezzi, senso, vale a dire quegli strumenti su cui la soggettività credeva di poter fare affidamento per appropriarsi del mondo, per sottometterlo. Nel momento in cui esplode il ritorno e l’inizio si confonde con la fine, il passato con il futuro, tutte

al di là della morale, della metafisica, dello spirito di vendetta). L’oltreuomo risponde all’ideale del fanciullo, quell’ideale che già più volte abbiamo fatto risalire ad Eraclito – unico vero predecessore, in questo, di Nietzsche.

394 M. HEIDEGGER, La sentenza di Nietzsche “Dio è morto” in Sentieri interrotti, cit. 395 Cfr Supra pp. 19-21.

queste categorie – illusorie e necessarie alla sopravvivenza – crollano, trascinandosi dietro quell’essere che di esse viveva.

Alcune pagine illuminanti sul nesso tra esplosione del soggetto e circulus vitiosus deus, le troviamo nel suggestivo saggio di Pierre Klossowski Nietzsche et le circle vicieux397, la cui tesi di fondo è del resto proprio questa. Il soggetto che si vuole nel ritorno, che è parte del ritorno, non può più volere se stesso come è stato finora, ma vuole attraversare tutte le possibilità che il ritorno stesso ha aperto: cessa di essere un io hic et nunc, e diviene invece suscettibile di divenire infiniti altri. Si apre infatti con il ritorno una nuova concezione della fortuità. Il nostro io è solo un caso fortuito, prodotto da eventi fortuiti, che non aderisce ad alcuna sostanza né ad alcuna identità. Rivolere se stessi in quanto esseri fortuiti significa, quindi, rivolersi non come riproposizione delle possibilità attualmente espresse, ma come espressione del ritorno integrale della serie. La morte di Dio ha aperto la possibilità di attraversare ogni Stimmung dell’anima, ma è il ritorno ad attuare questa potenzialità, permettendo al soggetto di includere in una sola persona tutte le Stimmungen, ogni identità possibile. Non siamo individui, nel momento in cui siamo in grado di volere il nostro ritorno: noi siamo l’intera serie delle possibilità percorribili.

Abbiamo parlato in precedenza398 della necessità di assumere diverse maschere, di impersonare (attorialmente) diversi ruoli. Colui che riuscirà ad attraversare queste personae sottraendosi al dovere di aderire, di cristallizzarsi in una “maschera ad una sola espressione” per giovarsi dell’apporto di sicurezza che ogni ipostatizzazione comporta, l’uomo in grado di sapersi e di volersi molteplice, è l’uomo affermativo (che non ha nulla a che vedere con l’uomo superiore, l’ultimo uomo), mentre colui che indosserà tutte le maschere assieme sarà l’oltreuomo, incarnazione postuma di Dioniso. L’eterno ritorno chiarisce e specifica come ciò sia possibile: nell’attimo in cui, volendo se stessi come eternamente ciclici, vogliamo al contempo attraversare tutto il ciclo, vale a dire impersonare tutta la serie, essere ogni uomo. È il concetto nietzscheano di metempsicosi: esaurire ogni possibilità personale, voler vivere ogni esperienza per poter rivivere questa esperienza fortuita. Si è anche notato come il termine

397 P. KLOSSOWSKI, Nietzsche e il circolo vizioso, cit. 398 Cfr. § 3.2 del presente capitolo.

tedesco Rolle (ruolo, parte) rimandi al latino rotolus (diminutivo di ruota), ovvero contenga già etimologicamente un’idea di circolarità che l’anello del ritorno viene a confermare399.

Nietzsche dunque arriva a sostenere che dobbiamo giungere ad identificarci non più con un singolo individuo, ma con l’intera catena, la quale include necessariamente il suo stesso avvenire. Egli si sta dunque muovendo verso un’idea di soggetto aperto, indeterminabile, che è quella contenuta nell’idea di Ego Fatum, vale a dire un soggetto di dimensioni cosmiche, che assume in sé ogni possibilità, ogni evento passato, presente e futuro400. Che questo soggetto

abbia qualcosa in comune con quello tradizionale, metafisico, è da escludere, come si può escludere che abbia ancora senso utilizzare qui la nozione stessa di soggetto.

Ai confini della pazzia, nella sua ultima lettera (destinata a Burckhardt), Nietzsche scriverà questa significativa frase: “Ciò che è sgradevole e che tormenta la mia modestia è che, in fondo, io sono tutti i nomi della storia”401.

Ma c’è un altro aspetto che la dottrina del ritorno chiama in causa, ed è quello, già accennato, della sua sostanziale incomunicabilità402, del suo essere al limite dell’indicibile, del suo trasformare la filosofia in un che di impraticabile403. Nel momento infatti in cui si cerca di esprimere un pensiero che si presenta da una parte come l’unico discorso possibile sull’essere, dall’altra come ciò che è destinato ad abbattere ogni fondamento, si pone un problema di difficile soluzione (se non addirittura insolubile).

399 M. HAAR

, La critique nietzschéenne de la subjectivité, cit., pp. 334-360, in particolare p. 346-

348.

400

Cfr. ERACLITO, fr. 14 [A 18] (= 22B52 DK) : “aviw..n pai/j evsti pai,zwn(

pesseu,wn” (La vita è un fanciullo che gioca, che sposta i pezzi sulla scacchiera, traduzione di GIORGIO COLLI, La sapienza greca III. Eraclito, cit.).

Anche qui è possibile (se non utile) seguire la suggestione che ci porta nuovamente dal filosofo di Efeso: “yuch/j pe´irata […] ouvk a'n evxeuroio […]\ou[tw baqu.n lo.gon e'cei (“I confini dell’anima non potrai scoprirli: tanto profondo è il suo logos”) (fr 14 [A55] [= DK 22B 45].

401 BW, p.578.

402 Per questa prospettiva cfr. in particolare F.POLIDORI, Necessità di un’illusione, cit., pp. 113- 142.

La dottrina del ritorno coinvolge anche (anzi, probabilmente innanzitutto) il soggetto, poiché esclude la possibilità che esso si identifichi con un qualcosa di fisso, ma sia piuttosto costretto ad esplodere, ad aprirsi ad ogni identità, cioè, di fatto, a nessuna. “La temporalità del ritorno è una temporalità di fronte alla quale il pensiero non può che escludere il soggetto”404, scrive Polidori: ciò significa che il soggetto non può più fornire un punto di appoggio cui vincolare la realtà, e l’ordine temporale stesso. Il soggetto ha senso solo se pensato sub specie aeternitatis, come sottratto al tempo e al suo ordine, e in grado, in virtù di questo, di fondare il tempo e la realtà, fornendo loro uno stabile appoggio. Ma il pensiero dell’eterno ritorno coinvolge il soggetto, mostrandogli la natura illusoria di quella stabilità, obliterare la quale era sempre stato il presupposto della sua esistenza.

Ma questo comporta un problema ulteriore, che anzi è un doppio problema. Da una parte: se il ritorno distrugge la possibilità della verità della totalità dell’ente (e distrugge in generale la possibilità di ogni verità in quanto vanifica la sua struttura dell’una volta per tutte), come è possibile al “pensiero abissale” esprimersi, comunicarsi? Comunicarsi non significa già di per sé smentirsi nella verità? E dall’altra parte: chi sarà in grado di comunicare questa dottrina? Se non si dà la possibilità di un soggetto fondante – o anche solo di un soggetto che sia in grado di mantenere una distanza tra sé e ciò di cui parla – a chi potrà essere affidata l’espressione di un tale pensiero? Chi volesse comunicare l’eterno ritorno dovrebbe in qualche modo portarsi preliminarmente a distanza da ciò di cui enuncia la verità, con l’esito di riprodurre lo schema che stiamo combattendo, vale a dire quello di un soggetto che si sottrae alla verità che enuncia.

A questi paradossi rispondono, o intendono rispondere, la forma e lo stile dello Zarathustra, la sua stessa esistenza come profeta scisso da colui che scrive, il suo ulteriore sdoppiarsi nel pastore, l’uscita di scena di Nietzsche, la sua scelta di non esprimere apertis verbis la sua dottrina, i suoi silenzi, il suo limitarsi a visioni, enigmi, rifiuti. Ma la stessa visione, la stessa rappresentazione sono luoghi in cui il soggetto non può non finire per ritornare, così come il linguaggio, la cui grammatica produce e conferma la sua esistenza metafisica. È il paradosso di un

pensiero che deve restare inespresso, impronunciato, invisibile, irrappresentato, per poter esistere, e che inevitabilmente smentisce se stesso ogni volta che cerca di rendersi formulabile. Il pensiero del ritorno è tradito non appena è espresso, e la sua stessa espressione riporta alla luce quei modi (linguaggio, verità, visione, rappresentazione) entro i quali il soggetto inevitabilmente si ripresenta.

Da questo punto di vista la lotta nietzscheana contro il soggetto presenta una zona d’ombra: la dottrina che lo nega definitivamente è anche quella la cui espressione finirebbe per riconfermarlo, o almeno per riconfermare il suo continuo ritornare nei suddetti luoghi (nei quali, del resto, alla luce di quanto sostenuto lungo tutto questo paragrafo, non può che mancarsi405).

La situazione del filosofo di fronte al soggetto – vale a dire la posizione per cui è divenuto inevitabile liberarsi di quel soggetto di cui si è mostrata l’inconsistenza, eppure questo finisce continuamente per tornare nei luoghi della filosofia, anche di quella che se mette sulla via di una sua dissoluzione – sarebbe dunque raffigurata splendidamente in quella brevissima sentenza che troviamo nel Crepuscolo degli idoli:

Può un asino essere tragico? – Crollare sotto un peso che non si può portare e neppure gettar via? … È il caso del filosofo.406

405 Di nuovo ci rifacciamo al fondamentale testo di Polidori (Ivi, p. 191) che conclude così la sua opera: “La consistenza del soggetto, che Nietzsche ha dichiarato illusoria ma che, proprio come tale, è necessaria, è sempre un richiamo alla presenza. Questa presenza è fatta di sottrazioni dal tempo: le parole e la verità che in esse deve essere creduta, sono i luoghi del soggetto, dove questi non può, però, che mancarsi”.