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Da quanto fin qui sostenuto sul prospettivismo nietzscheano appare chiaro che al filosofo di Röcken non interessa condurre una lotta contro la menzogna, come se potesse in qualche modo realizzarsi una millenaristica liberazione dall’errore e affermarsi quella che Nietzsche sostiene come verità (che abbiamo imparato a concepire come la sua – inevitabilmente prospettica – verità). Sono anzi estremamente numerosi e diffusi lungo tutta la sua opera i passi in cui egli sostiene la necessità dell’errore, ovvero il fatto che la vita richiede la menzogna per autoconservarsi. Si ricordi sempre, comunque, che parlare di una necessità dell’errore è diverso dal sostenere una teoria della verità come utilità (anche se sappiamo che, per quanto sia paradossale, i termini “errore” e “verità” sono sostanzialmente intercambiabili)88.

La prima sezione di Al di là del bene e del male è dedicata a “I pregiudizi dei filosofi”: e passa in rassegna alcuni degli errori metafisici, alla liberazione dai

87 Cfr. P. KLOSSOWSKI, Nietzsche, il politeismo, la parodia, SE, Milano, 1999, pp. 43 e ss.

88 Si pensi allo scritto Su verità e menzogna, ma non solo: l’errore (una particolare specie di errore, un particolare stile di menzogna) è canonizzato e istituzionalizzato come verità; la verità altro non è che il risultato di una serie di errori di prospettiva (Cfr. anche MA 16).

quali è volta la gran parte della sua opera di filosofo (le superstizioni dell’anima, del soggetto, della sostanza, della causa, della cosa in sé, dell’identità). Ciononostante, c’è la possibilità che ci si trovi inevitabilmente a riconoscere un valore fondamentale, imprescindibile, all’apparenza, alla “volontà di illusione”89 (e proprio di quell’illusione metafisica che tiene in scacco la nostra cultura) rispetto alla conservazione della vita.

La falsità di un giudizio non è ancora, per noi, un’obiezione contro di esso; è qui che il nostro linguaggio ha un suono forse più che mai inusitato. La questione è fino a che punto esso promuova e conservi la vita, conservi la specie e forse perfino concorra al suo sviluppo; e noi siamo fondamentalmente propensi ad affermare che i giudizi più falsi (ai quali appartengono i giudizi sintetici a priori) sono per noi i più indispensabili, e che senza mantenere in vigore le finzioni logiche, senza una misurazione della realtà alla stregua del mondo, puramente inventato, dell’assoluto, dell’eguale-a-se-stesso, senza una falsificazione costante del mondo mediante il numero, l’uomo non potrebbe vivere – che rinunciare ai giudizi falsi sarebbe un rinunciare

alla vita, una negazione della vita.90

Ciò di cui Nietzsche cioè ha sempre cercato di liberarsi e di liberare la cultura occidentale viene riabilitato come errore necessario. Non possiamo vivere se non entro un linguaggio, una grammatica, delle strutture di pensiero, senza misurare, senza contare. Se anche ciò significa guardare alla realtà illudendosi di conoscerla, e continuando esclusivamente a proiettare se stessi – le proprie idiosincrasie – su di uno schermo per poi prendere per vera e vincolante l’immagine che abbiamo proiettato, questo processo di falsificazione è inevitabile, in quanto di fondamentale importanza per farci continuare a vivere. L’apparenza – anche da questo punto di vista – ha molto più valore della verità91. L’errore è in quanto tale legato al mondo organico92 (il quale a sua volta – è

89 JGB 2.

90 JGB 4, corsivo nostro.

91 Cfr. JBG 34 : “Non ci sarebbe assolutamente vita se non sulla base di valutazioni e illusioni prospettiche.”

Klossowski a sottolinearlo – è frutto di un errore all’interno dell’inorganico93) e l’uomo non fa eccezione, anzi sfrutta la sua potenza metaforizzante e il suo intelletto per imbrigliare sempre più la realtà entro i suoi schemi di comprensione. È sulla base di questo tipo di ragionamento che la verità potrà saldarsi alla volontà di potenza, secondo il principio per cui l’unico criterio per la verità è il fatto di affermare, di far progredire, aumentare una volontà di potenza (come forza che afferma la vita) e per cui ogni conoscenza risulta tale nella misura in cui si fa strumento della volontà di potenza94.

Come giustamente commenta Polidori, “pensare è essenzialmente e originariamente creazione, produzione di illusioni e di parvenze indispensabili alla vita”95. Sull’aspetto creativo dovremo ritornare più volte. Per il momento sottolineiamo ancora una volta che il pensare è un trovare espedienti utili alla vita (il logicizzare, il razionalizzare, il sistematizzare non sono che espedienti per rendere stabile, rendere durevole ciò che è falso – il mondo): in ultima istanza pensare è un reinterpretare come essere ciò che ci si dà come falso96.

Facciamo alcuni esempi, o meglio passiamo rapidissimamente in rassegna alcuni temi che rispondono a questo doppio criterio, di essere tanto falsi quanto indispensabili. Anzitutto quello che abbiamo individuato come l’obiettivo ultimo della critica nietzscheana, ovvero il soggetto. La costruzione di questa illusione prospettica nasce dall’esigenza di fornire un’unità, un sostrato cui poter comodamente ricondurre tutte le nostre azioni, una sostanza in cui impiantare la molteplicità dei nostri istinti. Da questa finzione originaria ne derivano per filiazione pressoché diretta altre fondamentali quali la sostanza – modellata sul soggetto e rispondente alle necessità di un mondo stabile, di un essere – e la causa.

Su quest’ultimo tema Nietzsche parla di un immaginare una causa per dar ragione di un effetto (è quel processo di ricondurre il nuovo – l’effetto – a

93 Cfr. P. KLOSSOWSKI, Nietzsche e il circolo vizioso, cit., pp. 78-80. “La vita dipende da un’illusione (la sua ‘necessità’) – donde l’asserzione: la vita è un errore senza il quale una specie

di esseri viventi non potrebbe sussistere” (p. 79, la citazione nietzscheana è tratta da NF VII, 34

[253]).

94 Cfr. NF VIII 14 [122]. Si vedano annche MA 517,in cui si nega un qualsiasi nesso – qualsiasi armonia prestabilita – tra progresso della verità e bene dell’umanità e NF V, 11 [296], in cui si sottolinea il valore di una “cecità necessaria” per preservare certi errori.

95 F. POLIDORI, Necessità di un’illusione, cit., p. 36 96 Cfr. NF VIII, 9 [51].

categorie consolidate – la causa in particolare e la causalità in generale97). Così come nel sonno sentiamo dei colpi di cannone e a posteriori li introduciamo nel sogno come se avessero una causa interna al sogno stesso (ribaltando in modo disinvolto l’ordine cronologico), così facciamo nella vita cosciente: così cioè gestiamo la nostra esperienza interna e in base a questo modello abbiamo impostato l’intero edificio della conoscenza (peraltro questa abitudine ad una certa interpretazione causale ostacola una seria investigazione della causalità stessa, e anzi ne è negazione98).

In generale comunque l’intero edificio della scienza, che in sostanza si basa sul postulato di una normatività della natura, risulta a sua volta da smascherare in quanto finzione, errore necessario99. Altrettanto l’interpretazione atomistica del mondo (“inferita secondo la logica del prospettivismo della coscienza”100), conferisce alla particella le caratteristiche dell’essere metafisico, dimenticando a sua volta l’origine prospettica di questa operazione.

Questa brevissima scelta di esempi accennati come quegli errori dei quali non sapremmo fare a meno non vuole minimamente essere esaustiva, ma solo dare un assaggio di temi – che inevitabilmente dovremo riprendere (in primis il problema del soggetto, ma anche quello connesso della causalità) – in quest’ottica della “non verità come condizione di vita”.

Una volta che poi un’interpretazione abbia dimostrato la propria efficacia, essa diviene norma, ovvero “solida, canonica, vincolante”: è questo l’antidoto al perire degli esseri umani a causa della follia, “non già la verità e la certezza, ma l’universalità e obbligatorietà universalmente imposta di una credenza, la non arbitrarietà del giudicare”101. Di nuovo uno stile di menzogna, insomma, elevato a verità comunemente accettata. Ma se questo è da smascherare, rivelandone la natura convenzionale e illusoria, Nietzsche continua a muoversi su due campi, e

97 Cfr. NF VIII, 14 [122]

98 Per il parallelo sogno-veglia cfr. NF VIII, 15 [90] e GD, “I quattro grandi errori”, p. 59. Quest’ultima sezione del Crepuscolo degli idoli è interamente dedicata alla causalità (e in relazione ad essa al libero arbitrio).

99 Cfr. JGB 22: “Quella «normatività della natura» di cui voi fisici parlate con tanta prosopopea […] non è un dato di fatto, un «testo», ma piuttosto un riassetto e una distorsione di senso ingenuamente umanitari”.

100 NF VIII, 14 [186]. 101 FW 76.

afferma del resto che un pensiero del genere è funzionale a difendere l’umanità dal suo “pericolo più grande”, ovvero l’esser schiacciata dal peso della follia102.

Bisogna considerare il mondo con cui entriamo in relazione (e in relazione conoscitiva in particolare) come se fosse materiale onirico: stiamo sognando il nostro mondo, e noi in esso. È questo il semplice modo con cui Nietzsche suggerisce di considerare il nostro modo di rapportarsi all’esterno in termini prospettici. Ma il risveglio che Nietzsche propone e in qualche modo determina non comporta di sovvertire e di negare tutto il sistema con cui (da sempre, di fatto) ci siamo rapportati al mondo; anzi si tratta di rendersi conto che stiamo sognando per accettare, con questa consapevolezza nuova, il sogno stesso, per continuare a sognare, per volere il sogno. Altrimenti ne moriremmo. Riportiamo di seguito l’intenso brano de La gaia scienza in cui Nietzsche parla di questo sogno voluto:

Ho scoperto per me che l’antica umanità e animalità, perfino tutto il tempo dei primordi e l’intero passato di ogni essere sensibile, continua dentro di me a meditare, a poetare, ad amare, a odiare, a trarre le sue conclusioni – mi sono destato di un colpo in mezzo a questo sogno, ma solo per essere cosciente che sto sognando e che devo continuare a sognare se non voglio perire: allo stesso modo in cui il sonnambulo deve continuare a sognare per non piombare a terra.103

In nessun modo, dunque, la presa di coscienza dell’illusorietà del tutto104 si traduce in Nietzsche in un tentativo di liberarci dell’apparenza105, ma piuttosto

102 Nietzsche ne parla in via ipotetica, in NF VII, 26 [58]: supponiamo che ci sia un essere che percepisse lo iato incolmabile tra il fluire incessante della realtà e la sua conoscenza. Egli non potrebbe vivere se non istituzionalizzando degli errori come gli oggetti, la durata e così via. “Forse” conclude “è così”.

103 FW 54.

104 Si pensi alla lettura che M. HAAR (La critique nietzschéenne de la subjectivité, inROBERT ELLRODT, La genèse de la conscience moderne. Études sur le développement de la conscience de soi dans les littératures du monde occidental, Presses universitaires de France, Paris 1983, p. 339)

dà di quanto Nietzsche sostiene nello Zarathustra (“Dei poeti”), cioè che “I poeti mentono troppo”. Con questo non intenderebbe puntare il dito contro la poesia, tutt’altro: egli attacca piuttosto la sua pretesa di verità, la sua pretesa di validità incondizionata, non prospettica, rispetto a ciò che dice. Una volta acquisita questa consapevolezza prospettica, l’arte sarà come sappiamo potenza liberatrice dell’uomo (e del superuomo). Cfr. l’accusa che Nietzsche muove all’arte per aver aderito ai miti metafisici ed anzi aver collaborato alla loro affermazione ed espansione (MA 220).

nell’opposto invito a liberare l’apparenza, ovvero, di fatto, a rispondere a questa perdita della verità canonizzata con un’esplosione creativa della parvenza, delle prospettive, della potenza metaforizzante106. Ecco l’aspetto costruttivo, artistico, del prospettivismo.

Così, se l’uomo è per sua natura e per necessità un mentitore, egli è inevitabilmente anche artista (e si badi bene che Nietzsche considera produzioni more artistico la stessa metafisica, le religioni, la morale, la scienza e via dicendo). Bisogna cioè divenire consapevoli che l’errore è produttore di forme, che la menzogna è attività artistica. Così il sogno voluto si trasforma nell’arte come errore voluto, come ricerca dell’errore, come “liberazione poetante”107 dalle catene del pensiero razionale, delle superstizioni religiose e di tutti quei centri di potere istituzionalizzati che cercano di far passare la loro prospettiva.

Nelle parole di Klossowski: “L’esistenza cerca una fisionomia per rivelarsi: l’attore è il suo interprete”108. Ovvero, per attuare questa liberazione poetante c’è bisogno del commediante, dell’artista, di colui che sa creare una fisionomia nuova (ma non più vera) entro cui apprendere l’esistenza. Da qui passa quella “insurrezione delle immagini”109 a cui invita Zarathustra e il cui carico deve essere assunto dagli spiriti liberi, il cui compito è il proliferare delle metafore, degli errori, delle prospettive come rivolta contro l’universalità e obbligatorietà dell’acquisito.

Sullo sfondo sta sempre il nominalismo radicale di Nietzsche. Dare il nome ad una cosa significa, di fatto, crearla110. Del resto solo colui che è in grado di dare

105 Si confronti il seguito dell’aforisma sopra riportato (FW 54).

106 Si pensi al discorso di Zarathustra “Dei mille e uno scopo”, in cui si dice esplicitamente “Valutare è creare” (Z, p. 65). Riportiamo il passo più estesamente: “Per conservarsi l’uomo fu il primo a porre dei valori nelle cose, - per primo egli creò un senso alle cose, un senso umano. Perciò si chiama uomo, cioè: colui che valuta., Valutare è creare: udite, creatori!”.

107 Cfr. NF VIII, 17 [3]. Per l’arte come errore voluto v. P. KLOSSOWSKI , Nietzsche, il politeismo,

la parodia, cit, p. 43. Per il tema della liberazione poetante, cfr. G. VATTIMO, Il soggetto e la maschera, cit.

108 P. KLOSSOWSKI, Nietzsche, il politeismo, la parodia, cit., p. 43. Corsivo nel testo. L’autore francese si rifà all’aforisma 361 de La gaia scienza, in cui si parla della falsità con buona coscienza, ovvero dell’immergersi nell’apparenza, nella maschera cioè dell’attività del commediante.

109 Ivi, p. 49.

110 Cfr. per esempio GM I, 2, “Ci si potrebbe permettere di concepire l’origine stessa del linguaggio come un’estrinsecazione di potenza da parte di coloro che esercitano il dominio: costoro dicono “questo è questo e questo”, costoro impongono con una parola il suggello definitivo a ogni cosa e ad ogni evento e in tal modo se ne appropriano”. Questo discorso varrà poi

nomi nuovi, di utilizzare metafore non convenzionali, sarà anche il vero distruttore, colui che potrà mettere in crisi tutto l’edificio di certezze che si ostina a farsi passare per “verità” consolidata. Il rischio, del resto, resta quello di creare, attraverso nuove metafore (nuovi nomi) anche nuove cose, ovvero nuove ipostasi, nuovi candidati alla canonizzazione, al congelamento in oggetti.

Abbiamo scelto, come titolo di questo paragrafo, la conclusione di un aforisma di Aurora, che ci sembra tenere insieme i temi portanti della trattazione nietzscheana del prospettivismo, “Erleben ist erdichten”, ovvero: “Esperire è inventare poetando”111. Questa espressione ci sembra dar ragione da una parte dell’impossibilità di un’obiettività nella percezione del reale e dunque di un non poter entrare in contatto con alcuna cosa in sé (che di fatto non può darsi) e dall’altra parte anche di questo aspetto più marcatamente creativo (non solo cioè soggettivo e determinato da una forma di vita) dell’approccio prospettivistico.

Ciò che ancora non abbiamo fatto è stato dar ragione dell’abolizione nietzscheana dell’altro polo dell’interpretazione, cioè di quello del soggetto, per evitare di schiacciare il prospettivismo nietzscheano su di una sorta di idealismo soggettivo (come del resto alcuni passi potrebbero perfino spingere a fare)112. Il percorso che ci accingiamo a compiere nell’opera di Nietzsche, per comprendere la sua lotta contro il soggetto, servirà anche a dare una definizione più completa del suo prospettivismo.

a Nietzsche per spiegare l’origine dei diversi concetti di “buono” e “cattivo”. Il nominalismo di Nietzsche, se vogliamo lasciarci suggestionare per un istante, ricorda quello della poesia di Jimenez: “Creiamo i nomi/ poi verranno gli uomini,/ poi verranno le cose” (JIMÉNEZ,, A un poeta per un libro mai scritto).

111 M 119. Ci discostiamo qui dalla traduzione di Ferruccio Masini dell’edizione Colli-Montinari, che traduce “esperimentare intimamente è inventare”. “Esperimentare intimamente” per “erleben” sembra troppo specifico, per cui si preferisce il semplice “esperire”, mentre il solo “inventare” non mantiene il senso di dichten, poetare, che invece ha il verbo tedesco “erdichten”. Si noti comunque che si tratta di un’interrogativa: “erleben ist erdichten?” e non di un’affermazione perentoria: “erleben ist erdichten”.