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Struttura temporale della Recherche

Lettura della Recherche

1. Frammenti di tempo

1.1 Struttura temporale della Recherche

Da questo punto di vista è dunque utile fornire un primo tracciato, una prima ossatura (strutturale e non contenutistica) della (non scontata) scansione temporale della Recherche. Non siamo di fronte, se ci fosse bisogno sottolinearlo, ad un romanzo di memorie, ad un’autobiografia (il fatto che si accenni ad un certo punto421 all’ipotesi che il narratore assuma – quasi accidentalmente – il nome di Marcel, non implica naturalmente alcuna sovrapposizione di autore e narratore). Il fatto è che in questo romanzo del tempo, il tempo stesso non viene – come nel caso delle memorie – necessitato dai limiti biologici naturali del narratore (nascita, morte e processo di maturazione del protagonista), bensì esso trae dall’accadere del tempo stesso la sua struttura intima e necessaria.

L’apertura del romanzo colloca un protagonista indefinito in una situazione altrettanto indefinita. Il “dove” e soprattutto il “quando” non vengono mai

419 H.R. JAUSS, Tempo e ricordo nella Recherche di Marcel Proust, cit., pp. 25-30.

420 E ciò vale per entrambe le accezioni in cui si può intendere Zeitroman: vale a dire sia perché la

Recherche è un “romanzo della contemporaneità”, un’opera d’arte che riesce a rispecchiare il

proprio tempo, ed anzi a restituirne lo spirito profondo (cosa di cui Proust è senz’altro maestro), sia perché essa è “romanzo del tempo” (Zeit-roman), vale a dire un romanzo che vede come suo protagonista ed oggetto di riflessione la cosiddetta quarta dimensione. Rispetto alla prima accezione una pagina fondamentale al riguardo la scrive Walter Benjamin: “Così per il XIX secolo non furono Zola o Anatole France, ma il giovane Proust, lo snob trascurabile, l’irriducibile frequentatore e idolo dei salotti, che colse al volo, dal secolo invecchiato, le sue confidenze più sorprendenti. Solo Proust ha dato al secolo XIX la possibilità di raccontare le sue memorie”. (W. BENJAMIN, Per un ritratto di Proust, in Avanguardia e rivoluzione, Einaudi, Torino, 1973, p. 31)

esplicitati. Sono, queste prime pagine422, circonfuse di un’atmosfera onirica, che non conosce specificazioni cronologiche, senza un passato né un futuro, e in cui il protagonista (questo indefinito personaggio che dice “io” lungo il romanzo e su cui avremo modo di diffonderci in seguito) resta lontano dal ritrovare la propria identità.

Il narratore è dunque immerso in un dormiveglia da cui ancora non si rendono visibili degli appigli a cui l’intelletto possa aggrapparsi per ripescare, tra la molteplicità di io che lo affollano, proprio quello che si era addormentato la sera prima, tra le molteplicità di camere passate e possibili, quella in cui attualmente si trova, tra i giorni l’oggi, tra gli oggetti possibili che potrebbero circondarlo quelli effettivamente presenti423.

Con un salto, evidenziato da un bianco tipografico, il narratore comincia non già la sua Recherche, quanto una prima narrazione del passato: ciò che viene narrato è la celebre scena del bacio della buonanotte, una scena centrale dal punto di vista romanzesco, ma in un certo modo estranea alla struttura temporale (se non come esemplificazione dell’inautentico). Se infatti vi sono contenuti alcuni dei temi centrali, continuamente ripresi nello svolgersi degli eventi424, dobbiamo anche registrare questo episodio nell’ambito della memoria volontaria, ovvero di quella forma di ricordo che si appoggia all’intelligenza e che – in quanto memoria selezionante, che conserva il dato ritenuto strumentalmente importante, ovvero utile – in quanto tale non garantisce alcuna verità al ritrovamento. Tale memoria

422Ci riferiamo a CS, pp. 5-12.

423 È stato in modo particolare Georges Poulet, nel primo volume dei suoi Études sur le Temps

humain ( Cfr. G. POULET, Études sur le temps humain, vol. I, Rocher, Paris, 1952, pp. 400-408), a

dare un’interpretazione approfondita di questo incipit fuori dal tempo. Egli legge in queste pagine il nunc initial (Cfr H.R. JAUSS, Tempo e ricordo nella Recherche di Marcel Proust, cit. pp. 115-

127) del romanzo, in quanto si tratta di un momento non preceduto da niente e del resto impossibilitato ad avere un futuro, orientato pertanto non al futuro stesso, che sarà comunque totalmente altro da lui, quanto al nulla che lo precede. Denudato di ogni sua conoscenza, il narratore proustiano cerca così un mondo definito, che si renda intelligibile in mezzo al caos che lo circonda, che riesca cioè a dargli un senso, a fargli trovare un’identità. Da qui nascerebbe, secondo Poulet, uno dei motivi portanti dell’opera: la ricerca di sé, un sé, che appunto, inizialmente, è un dato privo di contenuto(«[La Recherche] è il romanzo di un’esistenza alla ricerca della sua essenza», Études, cit., p. 408). Da questa situazione di indeterminatezza nascerebbe quel sentimento sotterraneo di angoscia che pervade tutto il romanzo, e che solo con l’accadere di alcuni eventi dal valore quasi magico, e infine con rivelazione finale, potrà forse essere risolta. 424 Tra questi: il rapporto d’amore ai limiti del morboso con la madre, in qualche modo archetipico degli amori successivi, Swann come demiurgo della vicenda del protagonista, l’angoscia dell’amore, l’irrefrenabilità del desiderio, la disparità nel rapporto a due, l’imprevedibilità di un risultato legato sempre al caso e alla contingenza del momento.

(chiamata appunto memoire glacée, memoria ghiacciata, e al contempo congelante, in quanto paralizza di fatto i ricordi) serve all’essere umano per crearsi una continuità individuale, per potersi dire “tu sei quello” e liquidare in questo modo il proprio passato, senza più prestare attenzione a tutto quello che la sedimentazione del tempo ha sotterrato e reso inaccessibile. Il tentativo di risolvere il caos iniziale, in questi termini, fallisce. L’angoisse non viene in alcun modo sedata.

Solo un incontro fortuito, casuale e contingente può, a prescindere dalla nostra volontà, dischiuderci una verità del passato. È quello che accade con l’episodio della madeleine, ovvero quello che permette a Proust di costruire uno Zeit-Roman su basi totalmente inedite. Su questo episodio, sul suo significato e sulle sue implicazioni sul tempo proustiano, avremo modo di diffonderci in seguito (anche perché solleverà un’obiezione tutt’altro che irrilevante, alla nostra lettura del romanzo proustiano): per il momento basti accennare al suo ruolo strutturale. Qui il narratore, tornato ad un imprecisato punto del futuro (rispetto al ricordo iniziale e rispetto al risveglio, ma difficile da collocare anche in senso assoluto) inzuppando un biscotto nel tè, prova un’emozione che sembra ingiustificata, che si manifesta accompagnata da una irresistibile, per quanto al momento inspiegabile, felicità. È la felicità che nasce nel narratore nel momento in cui si sente, per un istante, non più sottoposto al potere tirannico del tempo. È accaduto in sostanza che questo evento inatteso abbia permesso, il sapore della madeleine nel tè facendo da tramite, di rivivere – identico nella sostanza ma a distanza di molti anni – un momento della sua infanzia a Combray. Ed ecco che la sua infanzia nel paesino dove trascorreva le vacanze con i genitori e i parenti, anziché ritornare nei colori sbiaditi del ricordo che l’intelligenza ha conservato tramite la memoria volontaria, risorge in tutto lo splendore dei suoi colori, in tutti i particolari, “con tutti i fiori e le ninfee della Vivonne e la buona gente di Combray e le case e la chiesa e i giardini”425, dal sapore di un biscotto. È qui che propriamente, attraverso un evento inatteso, assolutamente non preparato o ricercato, comincia il racconto della memoria, che si sviluppa (non solo, possiamo dire, per quanto riguarda l’infanzia del narratore, ma anche per il romanzo nella

sua interezza426) nello spazio limitato, sostanzialmente inesteso e puntiforme di una tazza di tè.

Da questo punto – reale momento generativo del romanzo proustiano, che veramente crea una vita (sul piano del ricordo) ex nihilo, ovvero da un mondo perduto – ha inizio la vera e propria Recherche. Comincia così infatti la serie dei ricordi che si configurano secondo episodi, stralci di tempo in cui ad agire è sempre un narratore, un personaggio che dice “io”, che pur postulando un’unica entità personale, risulta di volta in volta profondamente diverso rispetto a se stesso, tanto che tra ognuno di questi io non sarebbe inesatto porre un dislivello simile a quello che crea la morte.

Ad ogni modo, la creazione della madeleine è in realtà duplice: essa crea un doppio percorso: uno à rebours, che è quello dell’io narrante, che ricorda, che si mette in cammino verso il proprio passato, costretto in qualche modo dall’esperienza della madeleine: è lui ad intervenire commentando, anticipando, istruendo il lettore. L’altro percorso è quello in avanti, ovvero quello intrapreso dall’io narrato, che si svolge in una dimensione di futur dans le passé: è l’itinerario di Marcel attraverso una vita di cui ancora non riesce a decifrare i segni427. I due percorsi che si creano sono in qualche modo speculari, ma bisogna in ogni caso evitare l’errore di identificarli tout court, dimenticando così le loro peculiarità, che li rendono complementari e non sovrapponibili. La stessa dimensione temporale dei due è diversa, e risponde alla differenziazione essenziale tra tempo del raccontare (Erzählzeit) e tempo raccontato (erzählte Zeit)428: due piani temporali che si creano effettivamente con la madeleine e che scorrono paralleli lungo tutta l’opera.

Mantenendosi all’interno di questa dialettica tra i due percorsi della Recherche e tra tempo ritrovato (quello del narratore, Erzählzeit) e tempo perduto (quello di

426 Cfr. anche S. BECKETT, Proust, SugarCo, Milano, 1978, p. 45 (“[…] è l’intero mondo di Proust che esce dalla tazza di tè, non solo Combray e la sua infanzia”).

427 Cfr. H.R. JAUSS, Tempo e ricordo, cit., pp. 113-149, in particolare pp. 119-124.

428 Cfr. PAUL. RICOEUR, Tempo e racconto, La configurazione nel racconto di finzione, vol. II, Jaca Book, Milano, 1987, pp. 117-124.

Marcel429, erzählte Zeit), il romanzo si snoda (in maniera tendenzialmente lineare) per il presente e i successivi cinque volumi430.

Ad ognuna di queste sequenze, come accennato, corrisponde un io diverso dagli altri, intorno al quale si cristallizza un universo particolare, anch’esso diverso dagli altri e dipendente dall’io che, potremmo dire, lo crea431. In questo ampio spazio narrativo hanno modo di svilupparsi i temi cari all’autore, per lo più secondo un modello che potremmo definire di demistificazione che ha pochi precedenti. L’uomo e le sue illusioni vengono messi a nudo con lucidità implacabile, spesso con feroce ironia, senza che per altro il narratore mai si chiami fuori dai giochi, sempre incapace – lui per primo – di smascherare le proprie illusioni o di opporsi al male432. Sotto i colpi proustiani vediamo disfarsi – pur nello sfarzo della società e dello stile proustiano – i rapporti amorosi, le relazioni mondane, l’amicizia, la filosofia, l’intelligenza, l’arte stessa. Un semplice teorema, continuamente dimostrato: l’uomo è un animale egoista, meschino, in preda al proprio desiderio. Da questo seguono le mille rifrazioni che tale teorema presenta nella vita degli uomini433.

Alla sequenza della guerra segue il momento finale, e in qualche modo definitivo dell’opera, ovvero il ritrovamento del tempo e la sua incorporazione nell’opera d’arte. Marcel si trova in uno di quei caratteristici stati di apatia che spesso precedono i momenti di reminescenza, quei momenti particolari in cui egli è in grado, grazie ad un miracolo della memoria involontaria, di sentir “risorgere

429 Per comodità, nei casi in cui ci si troverà a distinguere i due io – narrante e narrato – useremo i termini già usati da Jauss: “narratore” per l’io narrante e “Marcel” per l’io narrato (cfr. H.R. JAUSS, Tempo e ricordo, cit.).

430 In questa lunga (quasi tremila pagine) sezione del romanzo si alternano almeno undici macrosequenze narrative differenti, di cui riportiamo solo dei possibili titoli, sulla scorta di quelli proposti da H.R. Jauss (Tempo e ricordo, cit., pp. 176-203 : 1. Combray, 2. Un amore di Swann3. Gilberte, 4. Balbec – primo soggiorno, 5. Oriane, 6. Incontri mondani, 7. Sodoma e Gomorra, 8. Balbec – secondo soggiorno, 9. Prigionia di Albertine, 10. Fuga di Albertine, 11. Guerra.

431 Sarà, questo, uno dei punti di forza della nostra lettura, di cui rimandiamo la trattazione. 432 CS, p. 16: “Ma appena sentivo: - Bathilde! Vieni a dire a tuo marito che lasci stare il cognac! – già uomo per viltà, facevo ciò che tutti, una volta diventati grandi, facciamo quando sofferenze e ingiustizie sono davanti a noi: mi rifiutavo di vederle, salivo a singhiozzare in alto in alto, accanto al locale dove studiavo, accanto al tetto”. È questo, secondo alcuni, a segnare il passaggio fondamentale dal fallimento del Jean Santeuil, ancora personaggio speculare all’autore, ma del tutto puro di cuore, alla riuscita della Recherche.

433 Una sola eccezione, forse: la nonna del narratore sembra in effetti salvarsi in qualche modo dalla crudeltà che alberga in ogni uomo, ma – come nota Sergio Moravia nell’Introduzione al

Proust di Beckett, cit., p. 19 – sembra data in realtà più come ideale regolativo irraggiungibile che

da se stesso”434 uno dei suoi io sepolti dal tempo nell’immenso territorio dell’oblio. In questo istante ancora precedente all’ultima rivelazione, tutto sembra definitivamente perduto: la natura non è più in grado di comunicargli alcunché, gli eventi lo lasciano indifferente, l’arte gli si è svelata come menzogna. Ma ancora una volta è il risuonare del passato nel presente ad aprirgli la dimensione di una felicità extratemporale. Una posizione del corpo particolare, dovuta ad un’irregolarità nel pavimento, riporta Marcel a Venezia, nella basilica di S. Marco.

Ma questa volta Marcel vuole andare fino in fondo e risolvere finalmente quell’enigma della felicità che ancora una volta gli viene proposto435. Finalmente, in questo nuovo stato di euforia extratemporale, si concretizza la rivelazione ultima: l’arte. Si prospetta così la realizzazione di quella vocazione che la sua intera vita è stata: quella di diventare artista.

A questo finale in linea teorica del romanzo deve ancora seguire una delle scene più grandiose dell’intera Recherche proustiana: il bal masqué. Una vecchia idea di Balzac, quella di far rincontrare i personaggi della sua Comédie humaine, in un grande ballo mascherato finale; che d’altra parte non fu mai realizzata. Fu Proust a realizzarla, ma a modo suo. Il ballo, anzitutto non è affatto mascherato: a dare l’impressione delle maschere ai personaggi che il narratore incontra è stato lo scorrere del tempo, nei lunghi anni che Marcel si è allontanato da Parigi e che ha passato in una casa di cura. Il tempo, questo grande artista, si è divertito a imbiancare i capelli, a moltiplicare le rughe, a rendere cioè sempre più intelligibile nei volti dei convenuti il trionfo della morte. È forse la più impressionante manifestazione del tempo in tutto il suo potere distruttivo: il tempo è l’avanzare della morte, Proust non si è mai dimenticato di ricordarcelo, con la serie senza fine delle morti nella Recherche e con l’analisi delle morti frammentarie e successive che sempre ci colpiscono: adesso però l’epifania del tempo, ovvero l’epifania della morte, si fa grandiosa, di un’imponenza terrificante. Marcel si

434 Prendiamo in prestito l’espressione dal titolo di un capitolo di R. BODEI, Destini personali, cit., p. 117.

435 TR, p. 215: “Ero ben deciso a non rassegnarmi ad ignorarne il perché, come avevo fatto

il giorno in cui avevo assaggiato la madeleine intinta in una tisana. La felicità che avevo appena provata era, in effetti, la stessa provata mangiando la madeleine, e delle cui cause profonde, avevo allora rinviato la ricerca”.

rende conto di essere invecchiato ed è questo a spingerlo definitivamente ad abbandonare la vita fatta di vuoto che lo circonda e a dedicarsi alla sua opera. I suoi capelli – unici ancora neri – possono forse promettere che per l’artista ancora esiste una speranza di sconfiggere la morte (una morte che ha come suo contrario non già la vita, a sua volta semplice sequenza di morti successive, ma proprio l’arte stessa). L’indomani Marcel comincerà – se il tempo che gli resta gli sarà sufficiente – a scrivere il suo romanzo. È in questa nuova atemporalità del progetto per l’indomani, in questo interim tra il ballo in maschera e l’inizio ipotetico della realizzazione artistica, che si colloca la fine della Recherche. Un interim che non può del resto essere un nunc terminal, perché non è un istante, ma un tempo sospeso ed inesteso436.