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Il principio della discontinuità

Lettura della Recherche

1. Frammenti di tempo

1.2 Il principio della discontinuità

Quanto fin qui detto vuole esclusivamente ripercorrere una lettura di scoperta del romanzo proustiano, esplicitandone i nodi essenziali dal punto di vista della struttura temporale437. Ora si tratta di andare ad analizzare più nello specifico cosa sia e come si comporti la temporalità nell’opera di Proust, e in particolare come essa accada nella lunga sequenza (quella più propriamente narrativa) che va dalla madeleine fino alla rivelazione finale, il cosiddetto entre-deux.

Un discorso a parte va anzitutto fatto per quanto riguarda il primo blocco narrativo che abbiamo individuato (quello che abbiamo chiamato “Combray”). Qui Proust tratta il tempo in un modo che non ha eguali nell’opera, e lo fa per riprodurre la percezione del tempo così come la vive un particolare io, che è, nella fattispecie, l’io del bambino, la cui temporalità (prospettica e dotata di speranza) è per molti versi incompatibile con quella dell’adulto (retrospettiva e disillusa).

Se il testo proustiano presenta in genere uno stato di consapevole occultamento del dato cronologico, ciò risulta ancora più evidente per quanto riguarda questa prima parte dell’opera. I soggiorni a Combray potrebbero essere solo uno, due, o

436 Per l’interpretazione di questo interim che chiude la Recherche cfr. l’ultimo illuminante capitolo di H.R. JAUSS, Tempo e ricordo, cit., pp. 282-290.

437 In sintesi estrema: il risveglio (nunc initial), il ricordo inautentico del bacio – questi primi due punti fanno parte di un “limbo temporale”, non collocabile cronologicamente e in certo senso perfino estraneo alla struttura temporale stessa – la madeleine come momento generativo dell’intera opera, i blocchi narrativi in cui si snoda il racconto proustiano, la rivelazione dell’arte, il ballo in maschera, la conclusione (in un interim temporale).

molti che si ripetono: sappiamo solo che c’era una anno in cui si mangiavano asparagi, e un anno in cui la sguattera partorì. Se questi due anni coincidano, si riferiscano a soggiorni in anni diversi, esauriscano gli anni passati a Combray o ne occupino solo una parte marginale non è dato saperlo438. Né la cosa pare avere particolare rilievo. E ciò semplicemente perché, nel mondo dell’infanzia, non viene percepito alcun ordine cronologico unidirezionale. Come nota Jauss: “Retrospettivamente, non sono forse i giorni dell’infanzia come un’unica giornata di infinita lunghezza?”439. Ed ecco che all’interno di questo lungo giorno sempre uguale440 si collocano dei temi, dei motivi attorno a cui si addensano esperienze

vissute in momenti diversi, senza particolari riguardi di precedenza cronologica. Proust inaugura così, ancora secondo le parole di Jauss, che approfondisce questo tema con un’analisi puntuale dei passi significativi, “una modalità di narrazione in cui l’infanzia dell’eroe non viene raccontata ad anelli, corrispondenti al suo divenire, in base al ritmo di crescita e di maturazione”441.

Per il bambino quindi il tempo non è una successione di attimi destinati a perdersi, giacché ogni istante, ancora, riesce a rinnovare la promessa del precedente. Ma già il bambino è destinato a non riuscire a scampare al tempo, e anzi comincerà – per quanto in forma attenuata – ad esperirne la legge. La prima forma che la legge del tempo assume è il mutamento (non reversibile) che esso impone: l’impossibilità di conservare qualcosa e soprattutto di conservarsi. È l’esperienza che Marcel fa per la prima volta durante una passeggiata “dalla parte di Guermantes”442. Egli ha provato, durante questa passeggiata, una gioia profondissima, tale addirittura da spingerlo a metterla per iscritto443: il risultato è una famosa pagina sui campanili di Martinville444. Ma fa presto la gioia a trasformarsi in una tristezza irredimibile. La sera della passeggiata dalla parte di

438 In realtà sembra di poter escludere che l’anno degli asparagi e quello del parto della sguattera siano lo stesso anno, ma questo non cambia nulla, dal punto di vista teorico.

439 Ivi, 127-128.

440 Personificato, tra l’altro, nel personaggio di zia Léonie, la cui vita riproduce in ogni momento il momento precedente, simulando di fatto un’assenza del trascorrere del tempo simile a quella del bambino.

441 H.R. JAUSS, Tempo e ricordo, cit., p. 137. 442 CS, p. 217-223.

443 È l’unico caso, prima della rivelazione finale, in cui il narratore riesca a tradurre sulla carta le sue impressioni vissute.

444 Questa pagina tornerà a più riprese nel corso del romanzo, fino alla sua pubblicazione su Le

Guermantes è la sera in cui – data l’ora tarda – egli viene mandato a letto appena finita la minestra, e quindi non può ricevere dalla madre il bacio della buonanotte. Il cambiamento dalla felicità precedente allo sconforto disperato è repentino e radicale: “La zona di tristezza nella quale entravo repentinamente era distinta dalla zona dove, ancora un attimo prima, mi ero slanciato con gioia, come, in certi cieli, una striscia rosa è separata come da una riga da una striscia verde o nera”445. Istantaneamente Marcel è passato dall’onnipotenza creativa ad una disperazione tale da ispirargli il desiderio di morire446. È questa la forma, estrema e sfumata al contempo, in cui il mutamento che il tempo realizza si manifesta per la prima volta al narratore bambino.

Ed è stato così, dalla parte di Guermantes, che ho imparatosi a distinguere i diversi stati che, in certi periodi, si succedono dentro di me, e arrivano a spartirsi la giornata, l’uno scacciando l’altro, con la puntualità della febbre; contigui ma estranei l’uno all’altro, così privi della possibilità di comunicare tra loro, che io non riesco più a capire, e neppure immaginarmi, trovandomi nell’uno, quel che ho desiderato, o temuto, o fatto trovandomi nell’altro.447

È questo forse uno dei brani centrali per interpretare che cosa sia il tempo nel romanzo proustiano (e anche per comprendere quale idea di io presenti la Recherche). Questa prima rivelazione del tempo come incessante produttore di mutamento contiene, in una forma ancora embrionale, l’andamento del romanzo stesso, inteso come serie successiva di états qui se succedent en moi, ovvero di relativi io (moi successifs), che niente hanno a che vedere l’uno con l’altro, che non riescono neanche a capire chi sia l’altro. Nel contesto della giornata infinita dell’infanzia, ancora – possiamo dire – il cambiamento, svolgendosi in un tempo più o meno ciclico, porta ad una successione interna, a sua volta ciclica, in cui la felicità di oggi è riproducibile domani, e così lo sconforto. Non altrettanto accadrà quando il mondo dell’infanzia sarà passato, e il tempo (con l’eccezione dei

445 CS, p. 222.

446 “Rabbrividivo, non riuscivo a staccare gli occhi angosciati dal viso di mia madre, che quella sera non sarebbe apparso nella stanza dove già mi figuravo col pensiero; avrei voluto morire” (CS, pp. 222-223).

momenti di reminescenza) si sarà fatto lineare: gli stati che si succedono daranno allora vita a degli io irripetibili e irrecuperabili, se non grazie ad una sorta di fatalità di tipo magico o mistico. A quel punto la legge del mutamento potrà divenire la legge delle morti successive, in quanto i dislivelli che vengono a crearsi all’interno di quella che pensiamo come una medesima persona produrranno un’alterità non dissimile da quella della morte448: l’io rimpiazzato da un altro, che con lui non ha più comunicazione, di fatto, non esiste più. Cotidie morimur449.

Per il momento – non abbiamo ancora infatti abbandonato il territorio dell’infanzia – la legge ancora non è tale, ma ha già rivelato l’elemento essenziale del suo agire: la discontinuità. Il mondo, dunque, letto con gli occhi del tempo, è il mondo del discontinuo, del discreto: due momenti successivi si trovano radicalmente esterni l’uno all’altro, privi di mezzi di comunicazione. Per capire ancora meglio, possiamo utilizzare una metafora ricorrente (forse addirittura quella fondamentale) nel romanzo: quella dei due côté.450 Le due “parti”, nella mente del bambino, nella topografia che nasceva dal suo proprio vissuto, si trovavano “incasellate, per così dire, l’una lontana dall’altra, l’una inconoscibile all’altra, nei vasi chiusi e non comunicanti di pomeriggi diversi” 451. Ecco la chiave che ci permette, in prima battuta, di penetrare un primo concetto proustiano di tempo concepito come sequenza di vasi chiusi e non comunicanti.

È con questa premessa (il tempo è il tempo del mutamento discontinuo, di successivi stati non comunicanti, isolati, che si rimpiazzano senza sosta e che fanno capo a veri e propri io diversi) che possiamo passare ad analizzare il tempo così come si manifesta nella lunga sezione centrale dell’opera: quella che va dalla fine dell’infanzia del narratore fino alla rivelazione nella biblioteca del palazzo di Guermantes. Se il tempo per il bambino era un semplice ripetersi di stati successivi destinati a ritornare, e pertanto non era importante capire cosa

448 Scrive giustamente G. POULET (Études, vol. I, cit., p. 406 ): “La morte, per Proust, non è semplicemente un non essere più, ma un essere altro”.

449 Si faccia attenzione, peraltro, a rendere questa massima senechiana ancora più radicale: non si tratta di perdere ogni giorno un po’ della propria vita, ma di morire effettivamente, così che l’io che oggi sono, domani (o forse prima) sarà effettivamente perduto, irrecuperabile, sarà mera assenza, non essere in senso forte.

450 Le due parti: la parte di Méséglise (ovvero la parte di Swann) e la parte di Guermantes. 451 CS, p. 165.

precedesse cosa, in una giornata infinita e non cronologizzata, per l’adulto il tempo assume un andamento lineare ed irreversibile. Si è spesso giustamente notato, del resto, che il racconto proustiano sembra spesso presentare degli anacronismi, come se il racconto non procedesse seguendo il filo di un tempo che scorre ma piuttosto prescindendo da esso. Questa impressione (legittima) è dovuta probabilmente (almeno in parte) al fatto che il lettore si scontra con una difficoltà oggettiva a seguire la cronologia della narrazione, dovuta alla pressoché assoluta mancanza di punti di riferimento temporali. Proust lavora con estrema attenzione a questa opera di occultamento, limitandosi talvolta a dati relativi452. I personaggi,

dal canto loro, non hanno età, se non molto indicativa, né se ne riesce a percepire un’evoluzione temporale (l’evoluzione, o meglio il mutamento, è incessante, di momento in momento, e non dà riferimenti in materia di anni o mesi trascorsi); il narratore stesso ci lascia nell’impossibilità costante di attribuire loro un’età453. Da ciò, in modo particolare, la sensazione dell’anacronismo interno: ma accade, nel corso della narrazione, che un evento che ne precede un altro venga raccontato come se si situasse dopo di quest’ultimo? In realtà Jauss454 sembra aver dimostrato l’ipotesi opposta: fatta eccezione per il tempo di Combray, la Recherche mette in scena una temporalità in successione, unidirezionale, cronologica e irreversibile. Lo stesso Proust nega che ci siano delle discrepanze temporali nel suo romanzo455. Eppure resta – innegabilmente – un senso di disagio, come il permanere di uno iato temporale, che non è del tutto spiegabile solo con fattori esterni. Questa sensazione continua trova la sua giustificazione ben più in profondità, nell’essenza stessa del tempo che sottende a tutta l’opera.

452 Quali “in quell’anno”, “dopo il tale evento”, “dopo alcune settimane”, riferimenti, anche questi, che del resto non abbondano nel romanzo.

453 Esistono del resto molti tentativi di conferire una cronologia alla Recherche (nel senso di darle riferimenti storici e relativi alle età dei personaggi). Essi sono certamente plausibili, ma vanno accettati per quello che sono, vale a dire frutti di letture tanto approfondite da perdere contatto con l’opera stessa. Si può certamente dire che l’amore del narratore per Gilberte si estenda per due anni, da collocarsi nella prima parte degli anni ’90 dell’Ottocento, ovvero quando il narratore ha tra i quattordici e i quindici anni; ma non bisogna dimenticare che Proust stesso cerca, con un lavoro continuo di soppressione del riferimento temporale, di tenerci lontani da un lavoro di questo tipo, e anzi si interessa di comunicare una diffusa incertezza sul ‘quando’.

454 H. R. JAUSS, Tempo e ricordo, cit. pp. 149-154.

455 Ad un amico che sostiene di aver trovato, in momenti particolari, delle asimmetrie cronologiche, Proust risponde che in realtà non c’è alcun anacronismo: al massimo, se il tempo non risponde propriamente alla storia, basta “einsteinizzarlo”un po’ per muoversi meglio all’interno dell’ordine cronologico, che comunque è dato. Cfr. Ivi, p. 153. Si tratta di obiezioni che gli erano state mosse in una lettera da B. Cremieux.

Ovvero nei vasi chiusi e non comunicanti che fanno del tempo una serie di momenti distinti a cui manca il dato della continuità. Ad ogni io successivo, ad ogni stato che si succede in me, corrisponde infatti un momento – più o meno esteso – che in qualche modo è una sorta di momento assoluto. Assoluto in senso etimologico, vale a dire privo di ogni legame con il resto della serie. Esso non è necessitato dal precedente né determinerà il successivo. Assomiglia, leibnizianamente, ad una monade456. Chiusa, autosufficiente, impenetrabile, priva di porte e di finestre, ovvero di possibilità di comunicazione: vasi chiusi e non comunicanti, nella metafora proustiana. Un tempo, questo, che potremmo definire “atomico”, seguendo la proposta di Georges Poulet457, in cui ogni momento, facendo capo ad un particolare io irripetibile, rappresenta l’atomo, ovvero un microcosmo a sé stante. Il tempo, così come viene mostrato in questa parte del romanzo è un tempo del discreto, del compatto, dell’isolato. Almeno per il momento, dunque, il tempo si dà solo in questa forma: nel frammento scisso da tutto il resto, posto in sequenza con altri frammenti con cui non ha rapporti se non estrinseci.

È interessante da questo punto di vista vedere come, in Proust, la legge del mutamento, ovvero del trascorrere del tempo, non si manifesta mai nel suo divenire, ovvero nel momento in cui determina il cambiamento. Si tratta sempre, nella Recherche, di dare il tempo come avvenuto, trascorso, passato e chiuso nel suo momento isolato. Il tempo, da questo punto di vista, non scorre nell’universo proustiano: accade in momenti definiti, trascorsi. È un susseguirsi di stati, mai un movimento. La legge che determina questo susseguirsi non ci è comunicata, e non è comunicata perché non esiste. È possibile una ricostruzione a posteriori (entro certe condizioni) ma non una dinamica di sviluppo, per il semplice fatto che è una dinamica casuale, non controllabile né prevedibile, in cui la precedenza non sconfina mai in rapporto causale. Stati successivi si giustappongono458 l’uno all’altro, come dei perfetti sconosciuti che il fato ha posto per capriccio l’uno

456 Per una penetrante lettura, in termini monadologici leibniziani, degli io e dei frammenti di tempo proustiani, si veda il già citatoG. DELEUZE, Proust e i segni, cit.

457 G. POULET, Lo spazio di Proust, Guida, Napoli, 1972. La sua analisi si colloca del resto su un piano diverso, vale a dire quello del ricordo, dell’io narrato, in cui questa forma della discontinuità si trova particolarmente accentuata, ma che comunque ha il suo corrispettivo speculare nel tempo di Marcel, nella forma che stiamo esponendo.

accanto all’altro, vicini quanto estranei, ed estranei perché facenti capo ad entità distinte: un io diverso, uno stato psicologico ed emotivo diverso. Tra i due atomi di tempo, sta solo un’ipotesi, l’ipotesi di un tempo che trascorra, ma che non vediamo se non nel momento in cui è già trascorso (non un tempo qui coule, quanto sempre un tempo qui est ecoulé)459. Allo scorrere del tempo la narrazione proustiana sostituisce “lo scarto assoluto da un état de conscience all’altro”460.

È come se ad ogni momento un Dio creasse ex novo il mondo e il tempo. E i momenti successivi si danno proprio nella forma di creationes ex nihilo (“La creazione del mondo non è avvenuta al principio, avviene tutti i giorni”461). Ma in

Proust non c’è alcun Dio capace di creare, è solo l’immanenza del tempo a determinare la creazione perpetua, e l’articolarsi dell’essere umano in io incomunicanti, relegati in mondi altri e drammaticamente separati. Se il tempo è ciò che dà forma al reale, e cioè ciò che lo frantuma, all’io toccherà la stessa sorte, ovvero una scomposizione in una pluralità di individui più o meno irrelati, autonomi, indipendenti l’uno dell’altro. Altrettanto significativa è la ripercussione di questo principio su tutti i livelli del romanzo, tanto che possiamo, con Poulet, individuare, al fondo della Recherche un “principio generale della discontinuità”462. Questo principio universale – il discontinuo – che taglia trasversalmente tutta l’opera e la permea di sé, è il rifrangersi del tempo nel mondo e nella vita dell’uomo. È il tempo ad essere originariamente un’entità discontinua (anche quando dà l’impressione della continuità); ed è il tempo la forza che dà la propria forma a tutto il reale, con l’esito di frantumarlo463.

Questa discontinuità del tempo viene resa narrativamente attraverso una tecnica specifica che Proust eredita da Flaubert e che piega alle proprie esigenze: il blanc. Tale tecnica indica una sorta di buco, di vuoto (reso in linguaggio tipografico: un “bianco”), in cui la narrazione cede il passo al silenzio, come forma limite della

459

H. R. JAUSS, Tempo e ricordo, cit. p. 145.

460

Ibidem.

461 AD, 305.

462 G. POULET, Lo spazio di Proust, Guida, Napoli, 1972. p. 45. L’amore per esempio, o meglio questo attuale amore che il narratore (o chiunque altro) si trova a vivere e che ha per oggetto questa determinata persona, è ben lungi dall’essere uno. Anche qui, secondo il principio generale della discontinuità, quello che noi semplificando chiamiamo questo amore, altro non è che un continuo susseguirsi di stati d’animo diversi, di amori successivi, di gelosie successive, di indifferenze e di ritorni di desiderio che noi, per comodità, classifichiamo sotto un unico nome, e che consideriamo come un’unica entità. Cfr. CS, p. 449.

narrazione stessa. Si tratta cioè di un non detto. Proust aveva già tessuto le lodi della capacità di Flaubert di rendere, nelle sue opere, ed in particolare nell’Educazione sentimentale, il Tempo: non tanto attraverso la narrazione stessa, ma soprattutto attraverso l’uso del bianco464. In Flaubert, del resto, questo blanc serve soprattutto per spezzare il ritmo della narrazione, per modularne la continuità in modo diverso, senza tuttavia interromperla. In Proust il bianco svolge una funzione ben diversa. Esso si pone anzitutto all’interno di un andamento stilistico che è un ritardando: il punto nodale è via via sempre sospinto oltre, quasi ad impedirne l’accadere. Accadere che poi, spesso, corrisponde ad un blanc. Ciò significa che l’apice drammatico della vicenda viene propriamente eluso465. Al suo posto troviamo un silenzio. E questo è uno dei modi (estremamente significativo e rivelatore) attraverso cui l’autore mette in scena il tempo: si dà un prima, un universo compiuto nel momento e si dà un dopo, un nuovo universo ugualmente compiuto in un momento successivo. Che il tempo sia trascorso è un’ipotesi che aggiungiamo noi, per spiegare il passaggio a due stati così diversi, unici del resto ad offrirsi a noi. Tra il prima e il dopo “si spalanca un abisso, che la nostra volontà non è in grado di attraversare”466. Al temps qui coule si sostituisce un temps qui est ecoulé, vale a dire in sostanza che al tempo che scorre, al tempo della continuità, al tempo della durata467, si sostituisce il tempo trascorso, immobile, affetto da traumi che lo ricreano ex novo ogni volta.468

Proviamo adesso ad allargare la nostra visuale, arrivando a comprendere, parallelamente alla prospettiva finora seguita (quella di Marcel, erzählte Zeit), la

464 Cfr. A proposito dello stile di Flaubert, GL, pp. 262-276, in particolare p. 271 ss.

465 Ivi, pp.154-165. Paradigmatico, da questo punto di vista è Un amour de Swann, in cui il tempo viene reso costantemente con un bianco. Ne è un esempio la scena del primo bacio tra Odette e Swann: Swann arriva nel salotto dei Verdurin in ritardo e Odette se ne è già andata; nel momento stesso in cui Odette sfugge al suo possesso, Swann sente il bisogno di rimpossessarsene, e comincia un tormentato inseguimento dell’oggetto amato che prosegue per diverse pagine. Per caso, alla fine i due si vedono. Di seguito alla scena in cui i loro sguardi si incrociano Proust