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3 “Il mio nome è legione” 149 : individuo e molteplicità.

3.1 Il paradigma citologico

È più o meno noto che Nietzsche abbia sempre avuto un occhio di riguardo per le conoscenze che provenivano dall’ambito che potremmo definire “scientifico”, e questo al di là del complesso rapporto del pensatore con la scienza occidentale in generale. Ci viene raccontato, per esempio, che dopo la folgorazione di Sils-Maria il filosofo voleva ritirarsi a studiare fisica per fondare scientificamente la sua dottrina dell’eterno ritorno (cosa che tuttavia, e probabilmente per fortuna, non fece) e si sa che tra le sue letture figuravano in numero cospicuo quelle di carattere scientifico151. In particolare vorremmo qui mettere a tema una delle prospettive che Nietzsche apre sulla questione dell’io, quella della sua molteplicità (e dunque della sua inconsistenza come entità unitaria), anche riferendolo a quello che fu il paradigma dominante della seconda metà del XIX secolo per quanto riguarda gli studi fisiologici e psicologici: la citologia152. Con la scoperta della cellula e con l’affermarsi dell’idea degli organismi come insiemi organizzati di queste unità basilari della vita (ovvero di entità che al loro interno si credeva che potessero essere considerate autosufficienti, dei veri e propri individui in miniatura che si univano in “società” a formare esseri più complessi) viene

149 Marco, V, 9.

150 FERNANDO PESSOA, Una sola moltitudine, Vol. 1,Adelphi, Milano 1979, p. 217.

151 Cfr. in particolare il saggio di GIULIANO CAMPIONI, Les lectures françaises de Nietzsche, Presses Universitaries de France, Paris 2001.Vedi anche R. BODEI, Destini personali, cit., pp. 323. 152 Cfr. a riguardo R. BODEI, Destini personali, cit., pp. 53-64: questo paradigma si rivelò particolarmente efficace, al di là del fatto che sarebbe stato dichiarato falso e superato con l’avvento del nuovo secolo.

infatti a vacillare anche l’idea di un io coeso e unitario, centro delle nostre facoltà, emozioni, percezioni e via dicendo. Il primo a porre il dubbio che forse anche all’io si sarebbe potuto applicare il paradigma citologico è lo psicologo francese Hippolyte Taine, con il suo testo fondamentale De l’intelligence153, edito nel 1870 e destinato ad avere una grandissima risonanza non solo negli ambienti psicologici dell’epoca: lo stesso Nietzsche fu uno dei lettori e degli estimatori della prima ora dell’opera taineana. Con questo testo si aprono le porte all’idea di una frantumazione dell’io, posta in termini scientifici: “Così come il corpo vivente è un polipaio di cellule mutuamente dipendenti, così anche lo spirito agente è un polipaio di immagini mutuamente dipendenti, e l’unità, nell’uno come nell’altro, non è che un’armonia e un effetto”154. Avremo modo di trattare in seguito la scelta di Nietzsche di partire dal corpo (il fenomeno più complesso) per comprendere la coscienza, qui ci limitiamo a segnalare come il modello sia lo stesso usato da Taine in questo passo e più in generale nell’applicare il paradigma citologico alla psicologia umana. Quello che diventa qui fondamentale è l’idea dell’io come un polipaio, ovvero come una molteplicità di individui che coesistono e la cui unità è dovuta ad una (in nessun modo garantita) armonizzazione delle parti. Lo stato “normale” per l’io è la frantumazione, la pluralità, mentre quello che per noi è comunemente denominato “io”, unitario e identificabile, non è che un esito possibile dell’organizzazione delle sotto-unità che lo compongono155. Visto da questa prospettiva, l’io è una mera composizione di forze, e parlare di un “io” nel senso comune significa riferirsi ad “un’entità verbale e [ad] un fantasma metafisico”156. C’è solo un flusso continuo157, di sensazioni, di impulsi, di

153 HIPPOLYTE TAINE, De l’intelligence, 2 voll, Hachette, Paris 1911 (citiamo qui seguendo la undicesima edizione dell’opera, che ricalca in sostanza la quarta).

154 Ivi, p.124, traduzione nostra.

155 Per questo aspetto che Bodei intitola il capitolo relativo alla psicologia di Taine “In principio era il Chaos”, con chiaro riferimento al fatto che la disgregazione delle forze di tipo personale è precedente a quella che comunemente chiamiamo “personalità”, riferendoci ad essa come fosse un che di unitario e di dato (salvo poi degenerare in forme patologiche,erroneamente considerate posteriori ad una “normalità”: “normali sono il disordine e la malattia, che solo un precario equilibrio di forze contrapposte mantengono a bada”, p. 60).

156 Ivi, p. 343.

157 Ibidem. Si noti la vicinanza di questa prospettiva con quella aperta dal fisico austriaco Ernst Mach, secondo cui la realtà è costituita da un “flusso continuo e omogeneo di quelle unità di esperienza che Mach chiama «elementi» (Elemente)”, dati empirici che precedono la distinzione stessa tra fisico e psichico, tra oggetto e io, tra corpo e mente (tutti concetti che interveniamo a ritagliare in seguito secondo scopo e interessi, ma soprattutto che giungiamo ad “articolare

immagini, allucinazioni (di cui le percezioni non sono che un caso particolare, un’allucinazione fortuitamente “vera”158), atti volitivi e via dicendo159 che si distribuiscono in centri personali diversi, la cui unità deriva da una coordinazione di per sé non scontata.

Bisogna poi aggiungere che anche nel caso in cui tale coordinazione si verifica, essa rimane tuttavia celata nei recessi della personalità, poiché ciò che appare alla coscienza non è che un infinitesimo (e per di più un infinitesimo semplificato) di quello che succede nel vasto territorio della psiche umana – per dirlo con una metafora di uno dei maggiori studiosi di questi temi accanto a Taine, Théodule Ribot: alla coscienza non arrivano che deleghe di deleghe. La coscienza se ne sta alla cima di tutta questa esplosione pirotecnica di idee, immagini, sensazioni, senza aver percezione che delle più superficiali: l’io visibile è incomparabilmente più piccolo e povero dell’io oscuro. Per chiarire questa idea portante del suo pensiero (che si rivelerà centrale anche nel pensiero nietzscheano) Taine adotta nella prefazione del suo libro un’immagine particolarmente eloquente: “Il cervello umano è come un teatro dove si rappresentano contemporaneamente molte pièces differenti, su palchi diversi, ma con un’unica luce”160. Di questa pluralità però la coscienza non ha idea, in quanto essa può vedere solo quello specifico palco in cui viene di volta in volta proiettata la luce. Crediamo che ci sia un solo palco, in realtà il fatto è che disponiamo di una sola luce. Da questa prospettiva la malattia diventa euristicamente fondamentale per comprendere la pluralità dell’io: nel momento in cui la luce della coscienza comincia a fare difetto, ecco che vengono alla ribalta scene diverse, plurali, irrelate. Si spiega così anche il nome di médecins philosophes attribuito a questi psicologi francesi del secondo Ottocento161, che studiano l’uomo a partire dagli spiragli che si aprono sulle sue

attivamente secondo una grammatica di paradigmi”, la qual cosa riguarda anche la scienza e il suo modo di conoscere). Cfr. a proposito ALDO GIORGIO GARGANI, La “buona austricità” di Ernst Mach, introduzione a ERNST MACH, Conoscenza ed errore, Einaudi, Torino, 1982, pp. VII

– XXXIII, le citazioni sono prese alle pp. XXV e XXVIII.

158 Ivi, p. 6. Cfr GIULIANO CAMPIONI, Les lectures françaises de Nietzsche, cit., pp. 255-260, e REMO BODEI, Destini personali, pp. 53-64.

159 Nomi che diamo a ciò che, visto da un’altra prospettiva, non è che stimolo nervoso (cfr. Ivi, p. 7). Si faccia inoltre attenzione al fatto che utilizzando categorie quale quella di atto volitivo non ci riferiamo a un qualcosa di distinto ma solo ad un raggruppamento arbitrario di alcuni fenomeni psichici che solo per comodità riferiamo ad una fantomatica volontà.

160 Ivi, p. 16.

profondità con le malattie mentali e che scardinano il modo tradizionale di concepirlo. Allo stesso modo in cui l’io viene ridotto ad un arcipelago di isole di coscienza o ad un polipaio sul modello delle barriere coralline, anche l’unità delle cosiddette facoltà, capacità, poteri viene messa in discussione: si tratta solo di comodi nomi, grazie ai quali raggruppiamo in una categoria specifica, alcuni fatti che ci sembra che si richiamino tra loro162.

Questa idea (e le altre ad essa correlate) della dissoluzione dell’io, dell’inopportunità di parlare ancora di “individuo” – laddove si è dimostrato che parlare di ego significa fare riferimento ad una molteplicità (non sempre) celata – ma piuttosto di “dividuo”, di un’entità scomponibile, passerà nel pensiero di Nietzsche e si rivelerà una delle prospettive fondamentali dalle quali egli condurrà il suo attacco contro il soggetto.