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Gli eredi di Durkheim: le riflessioni sulla secolarizzazione di Eliade e Girard

Parte I: La religione nelle società moderne tra secolarizzazione, de-

2. Dal dibattito sulla secolarizzazione alle teorie contemporanee sul re-incanto

2.8 Le riflessioni sulla secolarizzazione legate alla nozione di sacro: Bellah, Eliade e

2.8.3 Gli eredi di Durkheim: le riflessioni sulla secolarizzazione di Eliade e Girard

attualizzandone i contenuti, risultano strettamente collegate alla teoria durkheimiana della religione e della secolarizzazione che abbiamo presentato nel primo capitolo. Esse possono essere accomunate sotto l’etichetta di secolarizzazione intesa come origine

236 Bellah R., La religione civile in America, in Acquaviva S., Guizzardi G., La secolarizzazione, il

Mulino, Bologna, 1973, p. 145.

237 Ibidem, p. 148. 238 Ibidem, p. 148. 239 Ibidem, p. 148.

sacra di tutte le istituzioni economiche, sociali e politiche e della loro progressiva emancipazione da tale riferimento. Come abbiamo già visto, Durkheim sosteneva che «quasi tutte le grandi istituzioni sociali sono sorte dalla religione (…) Se la religione ha

generato tutto ciò che c’è di essenziale nella società, è perché l’idea della società è l’anima della religione»240. Tale idea è stata ereditata e portata avanti con forza, tra gli altri, da due importanti autori contemporanei: Mircea Eliade e Renè Girard. Partiamo da quest’ultimo ricordando che per Girard la produzione del sacro risulta strettamente legata alla violenza. Il presupposto di partenza è rappresentato dal concetto di “desiderio mimetico” in base al quale si desidera maggiormente ciò che è posseduto dalla persona a noi più vicina e quanto più quella persona desidera la cosa che possiede tanto più aumenta il nostro desiderio di appropriarcene. Secondo Girard, «Per mantenere la pace

fra gli uomini, bisogna concepire il divieto in funzione della seguente temibile constatazione: il modello dei nostri desideri è chi sta intorno a noi. È questo ciò che io chiamo desiderio mimetico»241. In mancanza di tale divieto vi è la lotta di tutti contro tutti di hobbesiana memoria che può essere arrestata solo indirizzando tale violenza generalizzata verso un unico individuo, un capro espiatorio (solitamente una persona esterna alla comunità o una persona considerata “diversa”) che viene così sacrificato. Dopo la morte del capro espiatorio la lotta di tutti contro tutti si estingue e viene rinsaldata l’appartenenza comunitaria. Pertanto, la vittima sacrificata, assume ora le sembianze del salvatore, di colui che attraverso la sua morte ha riportato la pace di tutti e in questo senso la vittima viene sacralizzata e venerata come origine della socialità dell’intero gruppo. Considerato sotto questa ottica il sacro mostra tutta la sua natura ambivalente, e infatti, Girard a tal proposito, sostiene che «I persecutori non

comprendono di essere parte di un meccanismo di vittimizzazione e proiettano sulla loro vittima i loro dissensi, così come la loro riconciliazione; questo doppio transfert del sacro è ciò che lo fa apparire fonte di disordine e al tempo stesso di ordine. Le sue personificazioni mitiche sono contemporaneamente malfattori e benefattori»242. Nel suo percorso di ricerca Girard individua la nascita delle società nel sacro, società che, in seguito, tendono a perdere tale carattere per divenire istituzioni profane. Da questo

240 Durkheim E., op. cit., 1982, pp. 440-441

241 Girard R., Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi, Milano, 2001, p. 28.

242 Girard R., Un mito Venda. Pitone e le sue due mogli, in Girard R., Miti d’origine. Persecuzioni e ordine culturale, Transeuropa, Ancona-Massa, 2005, p. 79.

punto di vista, come per Durkheim, anche per Girard tutte le istituzioni trovano origine nel religioso come si può evincere dalle sue stesse parole: «La vera guida dell’umanità

non è una ragione disincarnata, - egli afferma - bensì il rituale, le cui ripetizioni innumerevoli modellano a poco a poco quelle istituzioni che gli uomini crederanno più tardi di aver inventato ex nihilo, quando invece è la religione ad averle inventate per loro»243 sostenendo più avanti che «Le nostre istituzioni devono essere il risultato di un

lento processo di secolarizzazione che è consistito in qualche modo nel “razionalizzarle” e “funzionalizzarle” gradatamente. La ricerca moderna avrebbe scoperto la loro vera genesi da un pezzo, se non ne fosse stata impedita dalla sua ostilità fondamentalmente irrazionale verso i fenomeni religiosi»244. Le “innumerevoli ripetizioni” hanno modellato le istituzioni sociali giungendo a trasformarle «in usanze

apparentemente determinate dalla sola ragione umana, quando invece queste usanze derivano dalla religione»245. È molto bella l’immagine attraverso la quale Girard rappresenta il processo di secolarizzazione. Egli scrive: «Si può paragonare la

dimensione propriamente religiosa a un liquido amniotico, a una placenta originaria di cui i riti si sbarazzano con il tempo per trasformarsi in istituzioni deritualizzate»246. Non ci dilungheremo qui nel trattare le innumerevoli implicazioni della interessantissima teoria di Girard poiché in questa sede non sarebbe utile per il nostro discorso e pertanto passiamo alla lettura data da Eliade247. Secondo questo ultimo, «la

prima definizione che si può dare del sacro è che esso si oppone al profano»248

spiegando che «L’uomo prende coscienza del sacro perché esso si manifesta, si mostra

come qualcosa del tutto diverso dal profano»249. Secondo Eliade, l’intera storia delle religioni è contrassegnata «dall’accumularsi di ierofanie»250, ossia, come suggerito dal

243 Girard R., op. cit., 2001, pp. 129-130. 244 Ibidem, p. 130.

245 Ibidem, p. 128. 246 Ibidem, p. 129.

247 L’importanza di questo pensatore all’interno del dibattito sulla secolarizzazione è stata più volte

confermata da altri studiosi, anche in ambito sociologico. Si pensi, per esempio, che il già citato Larry Shiner, sostiene che, tra i contemporanei, è stato proprio Mircea Eliade «quello che ci ha dato

l’evocazione più stimolante della perdita (o soppressione) del senso del sacro» (Shiner L., op. cit., in

Acquaviva S., Guizzardi G., op. cit., 1973, p. 58) oppure alla definizione della religione di Peter Berger intesa come «atteggiamento umano che concepisce l’universo (compreso il soprannaturale) come un

ordine sacro» (Berger P. L., op. cit., 1987, p. 73), che, a detta dello stesso autore, si rifà esplicitamente

alla definizione di Eliade.

248 M. Eliade, Il sacro e il profano, Torino, Boringhieri, 2001, p. 14. 249 Ibidem, p. 14.

contenuto etimologico della parola, dalla manifestazione, dal mostrarsi, di realtà sacre. In questa accezione, «il sacro equivale a potenza e, in fin dei conti, alla realtà per

eccellenza»251 e pertanto, «L’opposizione sacro-profano si traduce spesso in

un’opposizione tra reale e irreale»252. Il sacro era finalizzato, presso i popoli “primitivi” a delimitare il mondo del reale e quindi il proprio mondo, l’unico mondo possibile. Tutto ciò che fuoriusciva da tali confini era irreale, negatività, era «spazio

straniero, caotico, popolato di larve, demoni, “stranieri”»253 che poteva minacciare il proprio mondo. La sacralizzazione di un territorio avveniva, secondo Eliade, attraverso una serie di riti che ripetevano il mito della creazione originaria da parte degli dèi, la cosmogonia. Tale atto di creazione prendeva le mosse da un punto centrale per poi allargarsi al suo intorno. Dopo che il territorio era stato così consacrato, rappresentava, per i suoi abitanti, il centro del mondo fondante, l’unica realtà possibile. È partendo da questi presupposti che Eliade ha sostenuto che «Si ha ragione di ritenere che, in un

lontanissimo passato, gli organi e le esperienze fisiologiche dell’uomo, tutti i suoi gesti avessero un significato religioso»254 che nelle società contemporanee hanno assunto un significato secolarizzato in seguito a quella «gigantesca trasformazione del Mondo

prodotta dalle società industriali e resa possibile dalla desacralizzazione del Cosmo, per effetto del pensiero scientifico e soprattutto delle sensazionali scoperte nel campo della fisica e della chimica»255. Tuttavia, nonostante il processo di desacralizzazione, nelle società contemporanee, anche coloro che si definiscono areligiosi, in effetti, continuano a comportarsi ancora «a loro insaputa, religiosamente»256 poiché «L’uomo

moderno che pretende di sentirsi e di essere areligioso, ha ancora a sua disposizione tutta una mitologia camuffata e parecchi ritualismi degradati»257. Eliade scova tracce di tale religiosità “dimenticata” in tantissimi riti moderni quali i festeggiamenti che accompagnano l’anno nuovo, quelli relativi ai matrimoni o alla nascita di un bambino, l’entrata in una nuova casa, l’ottenimento di un nuovo impiego, oppure in ideologie epocali come all’interno della «struttura mitologica del comunismo e il suo significato

251 Ibidem, p. 15. 252 Ibidem, p. 15. 253 Ibidem, p. 24. 254 Ibidem, p. 106. 255 Ibidem, p. 37. 256 Ibidem, p. 129. 257 Ibidem, p. 129.

escatologico»258 e così via. Secondo Eliade, pertanto, nel mondo moderno, la religione è fortemente presente anche se viene vissuta in forma secolarizzata e quindi inconsapevole. La situazione esistenziale dell’uomo moderno viene descritta dal nostro autore, splendidamente in questo breve passo: «Da un punto di vista giudaico-cristiano

si potrebbe anche dire che la non-religione equivale a una nuova “caduta” dell’uomo: l’uomo areligioso avrebbe perduto la capacità di vivere coscientemente la religione e quindi di comprenderla e di assumerla; ma nel suo intimo ne conserva ancora il ricordo, così come, dopo la prima “caduta” e benché spiritualmente cieco, il suo antenato Adamo, l’uomo primordiale, aveva ancora abbastanza intelligenza per ritrovare visibilmente le tracce di Dio nel Mondo. Dopo la prima “caduta”, la religiosità era precipitata al livello della coscienza distrutta; dopo la seconda, essa è caduta ancora più in basso, nelle profondità dell’inconscio; è stata “dimenticata”»259. Riassumendo, secondo le due teorie di stampo antropologico qui proposte, la religione, in un certo senso, continua a persistere anche nelle società moderne, nel senso che è possibile scorgerne le sue tracce desacralizzate ovunque, nella sfera pubblica come in quella privata degli individui, rappresentando pertanto nient’altro che l’origine dimenticata di tutto ciò che oggi, invece, appare come da sempre profano. Come vedremo più avanti, l’idea della secolarizzazione intesa come desacralizzazione delle società è l’unico modo di intendere la secolarizzazione che viene accettato all’interno di un filone di teorie contemporanee note come “teorie dell’economia religiosa”.

2.9 Alcune teorie contemporanee: tra secolarizzazione, re-incanto del mondo e teorie

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