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Il fenomeno del “come se” o la nostalgia della mente per il corpo

Il godimento del corpo Iperidentificazioni, dismorfismi e altri delir

1.2 Il fenomeno del “come se” o la nostalgia della mente per il corpo

Per le neuroscienze, cervello e corpo costituiscono un sistema integrato e complesso. Sulla base dell’ipotesi damasiana del marcatore somatico (somatico perché interessa il corpo, e marcatore perché contrassegna un’immagine), avviene ad esempio che, quando si pensa agli esiti negativi di una determinata azione, si avverte una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco. In pratica, l’elaborazione dei sentimenti non sarebbe limitata al solo sistema limbico, ma riguarderebbe soprattutto quei settori dell’encefalo che integrano i segnali provenienti dal corpo. «Se non fosse per la possibilità di sentire stati del corpo che sono intrinsecamente consacrati a essere dolorosi o piacevoli, nella condizione umana non vi sarebbero sofferenza o beatitudine, brama o mercé, tragedia o gloria»17, sostiene Damasio, per il quale le intuizioni di William James – teorico delle

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J. Lacan, Il seminario. Libro XI, cit., p. 201.

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Cfr. l’interessante articolo di Paolo Gomarasca Il Reale è due. La differenza sessuale. Lacan e Lévinas, reperibile sul sito http://www.filosofionline.com/?p=389

16 J. Lacan, Il seminario. Libro XI, cit., p. 192.

17 A. R. Damasio, L’errore di Cartesio, cit., p. 23. Numerosi sono gli esempi di connessione tra mente e corpo proposti

dall’autore: lo stress abbassa le difese immunitarie, «tristezza e ansietà possono alterare vistosamente la regolazione degli ormoni sessuali […]. Il lutto […] conduce ad una depressione del sistema immunitario tale che l’individuo è più suscettibile di contrarre infezioni e di sviluppare certi tipi di cancro, come conseguenza diretta o indiretta. Di cuore spezzato si può morire» (ivi, p. 178). Sulla complessa interazione di mente e corpo rimandiamo nuovamente al nostro secondo capitolo, dove, sulla scia di Matte Blanco, ricordavamo i modi di dire che esprimono nella lingua parlata un malessere psichico localizzato nel corpo o nei luoghi del corpo, come “chiodo in testa”, “fitta al cuore”, “peso sullo stomaco”. Sarà utile ricordare, a questo proposito, il caso di Cäcilie M. riportato da Freud negli Studi sull’isteria (1892- 1895); si tratta di una paziente isterica che avrebbe somatizzato in una nevralgia del trigemino il ricordo di aver subito in passato una grave offesa verbale, paragonabile ad uno “schiaffo in faccia”. È interessante infine notare come, in ambito teatrale, Franco Ruffini abbia rilevato in maniera simile, riprendendo l’atletica affettiva di Artaud, l’analogia organica che esiste tra esercizio muscolare ed esercizio affettivo, riconoscendo nell’attore l’esistenza di una sorta di

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emozioni – sulla mente umana sarebbero paragonabili forse soltanto a quelle di Shakespeare o di Freud.

Se noi immaginiamo qualche emozione intensa e poi cerchiamo di astrarre dalla nostra coscienza di essa tutte le percezioni dei suoi sintomi corporei, troviamo che non rimane nulla, che non vi è una “materia mentale” della quale l’emozione possa essere costituita, e che tutto quel che rimane è uno stato freddo e neutro di percezione intellettuale. […] Per me è del tutto impossibile pensare quale genere di emozione rimarrebbe se non fosse presente il sentire un’accelerazione del battito cardiaco, o una contrazione del respiro, o un tremito delle labbra, o un indebolimento degli arti, o la pelle d’oca, o i visceri in subbuglio18.

Quando in Mamma Roma (Pier Paolo Pasolini, 1962) Bruna (Silvana Corsini) chiede a Ettore (Ettore Garofolo) come fa a essere realmente sicuro di voler bene a sua madre, il ragazzo le risponde: «Perché se dovesse morì me metterei a piagne». Analogamente, in Lui di Buñuel, nel dialogo tra Gloria (Delia Garcés) e la madre – quando questa, ingannata da Francisco (Arturo de Córdoba), cerca di convincere la figlia dell’assoluta affidabilità del comportamento del marito – sentiremo la donna dire: «Un uomo che piange non mente», a sancire ancora una volta questa sorta di garanzia di indissociabilità tra l’autenticità di un comportamento o di un atteggiamento mentale e la sua corrispondente manifestazione fisiologica, cioè la fenomenologia naturale che esso cerca e trova nel corpo.

Lucilla Albano riprende le parole con cui Emanuele Trevi ricorda oggi gli effetti di una proiezione all’aperto di Salò di Pasolini avvenuta nel 1985, facendo riferimento a un cinema dotato di una straordinaria forza, di «una magia capace di scatenarsi nei cuori, negli intestini, negli organi genitali», dunque nei luoghi più intimi e viscerali del corpo19.

È curioso notare come lo stesso Lacan si interessi a volte al corpo nelle sue funzioni più strettamente fisiologiche, sostenendo ad esempio in Ancora: «Che ci sia qualcosa che fonda l’essere, è indubbiamente il corpo […]. Se per caso le lacrime si esaurissero, l’occhio non andrebbe più tanto bene. È quel che chiamo i miracoli del corpo. Si sente subito. Supponete che non pianga più, che non coli più – avrete dei fastidi»20.

Il corpo è infatti centrale nella psicoanalisi, che tuttavia rimane, prima di tutto, disciplina della parola. «Da sempre si sa che, in molti casi, parlare guarisce» scrive Miller. «Per esempio essere

“muscolatura affettiva” corrispondente alla localizzazione fisica dei sentimenti: «l’attore è un atleta del cuore»; F. Ruffini, Teatro e boxe. L’“atleta del cuore” nella scena del Novecento, Il mulino, Bologna 1994, p. 141 e segg.

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A. R. Damasio, L’errore di Cartesio, cit., pp. 189-190.

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L. Albano, Cinema e psicoanalisi: attraversando i dispositivi, saggio in corso di stampa. Il testo a cui si fa riferimento è E. Trevi, Qualcosa di scritto, Ponte alle Grazie, Firenze 2012.

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malati può significare un modo di parlare quando non c’è possibilità di parlare: il che si chiama somatizzazione. Cioè, il corpo diventa un mezzo della parola»21. Capiamo allora quanto sia cruciale, in un contesto del genere, il ruolo che il corpo può giocare e il suo rapporto con il linguaggio. La nozione freudiana di compiacenza somatica, utilizzata per indicare i fenomeni psicopatologici di conversione isterica, definisce precisamente questa disponibilità del corpo ad essere ingravidato dall’intrusione del simbolo, dalla parola. Senza questo fenomeno il sintomo – irriducibile alla propria componente psichica – non potrebbe neppure insorgere. Paralisi, eccessi di tosse, vomiti, contorsioni, irrigidimenti, svenimenti, disturbi visivi, pseudogravidanze: Freud ci ha insegnato che il corpo isterico è interamente imbevuto di senso, esso è innanzitutto un fenomeno di linguaggio. Ecco perché il godimento del corpo ha sempre, strutturalmente, qualcosa di linguistico. In particolare potremmo dire, con Gabriella Ripa di Meana, che l’isteria ignora il corpo organico, è sganciata da esso. Ad esempio, nella paralisi isterica del braccio, ad alterarsi è l’idea di braccio, non il braccio in sé. Il sintomo psiconalitico infatti – che ha valore affettivo prima ancora che patologico – colpisce il soggetto, non l’organismo, diventando il luogo principe di elezione della propria individualità22.

E che nel sintomo, il soggetto, in qualche maniera goda, a Freud era ben chiaro; mentre infatti nei casi di lesioni anatomiche ordinarie la fisionomia del paziente appariva nettamente sofferente al tocco del medico, nei casi di sintomi isterici il soggetto sembrava invece trarre da questo contatto una certa piacevole soddisfazione. Negli Studi sull’isteria da lui concepiti assieme a Breuer tra il 1892 e il 1895 compare ad esempio il caso di una paziente affetta da iperestesia e iperalgesia della pelle e dei muscoli – cioè da un’eccessiva sensibilità alla percezione del dolore – che al tocco del medico emetteva suoni di piacere, arrossiva, «riversava la testa e il busto all’indietro, chiudeva gli occhi»23. Famoso è anche il caso dell’Uomo dei Topi, che nel raccontare a Freud la propria ossessione nei confronti del supplizio cinese basato sulla penetrazione di un topo nell’ano, recava sul viso una strana espressione di orrore misto a piacere24.

21 J.-A. Miller, I paradigmi del godimento, cit., p. 158. 22 Cfr. Seminario Schegge, 3 febbraio 2011, Roma. 23

R. Chemana, La jouissance, enjeux et paradoxes, cit., p. 147.

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Lo ricorda Patrick Valas, La di(t)mensions de la jouisssance, cit., p. 27. Anche Georges Bataille era ossessionato dal supplizio cinese, e concluderà la sua ultima opera Le lacrime di Eros – un intenso sguardo retrospettivo su tutta la produzione iconografica dell’Occidente cristiano – con alcune fotografie tra cui quella di un uomo che subisce il supplizio cinese dei cento pezzi. «Il mondo legato all’immagine aperta del suppliziato fotografato […] è, a mia conoscenza, il più angoscioso di quelli che ci sono accessibili attraverso immagini fissate dalla luce […]. A partire da questa violenza […] io fui così sconvolto che accedetti all’estasi», scrive Bataille (G. Bataille, Les Larmes d’Éros [1961], tr. it. Le lacrime di Eros, Bollati Boringhieri, Torino 1995, p. 220). «Quel che improvvisamente vedevo e che mi chiudeva nell’angoscia – ma che nello stesso tempo me ne liberava – era l’identità di questi perfetti contrari che

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Jacqueline Barus-Michel sostiene a questo proposito che il rapporto del godimento con il dolore è fisiologico, dal momento che sarebbero gli stessi tipi di terminazioni nervose ad essere interessati tanto dal piacere quanto dal dolore, incrementando così l’oscillazione continua da un polo all’altro. È un circuito assolutamente a doppio senso: «piacere e dolore sono delle iscrizioni nel corpo, sono datate e localizzate»25.

Un altro funzionamento percettivo importante descritto da Damasio è rappresentato dal circuito corticale del “come se”, sorta di dispositivo neurale sviluppato dal nostro organismo nel corso del suo adattamento all’ambiente e basato sull’acquisizione delle ripetute associazioni che si stabiliscono tra una determinata immagine mentale e il surrogato dello stato corporeo corrispondente. Tale circuito ci consentirebbe di “aggirare” il corpo vero e proprio permettendo tuttavia di sentirci come se stessimo provando realmente un certo stato emotivo26.

Viene quasi spontaneo, ancora una volta, il richiamo alla psicoanalisi, che aveva individuato qualcosa di simile nelle personalità “come se” descritte nei primi anni Quaranta dalla psicoanalista polacca Helene Deutsch, allieva di Freud, forme cliniche prepsicotiche in cui il soggetto, dotato di un’identità fluttuante e scarsamente radicata, tende mimeticamente ad assumere le caratteristiche delle persone con cui si relaziona, facendo propria l’immagine altrui. Leonard Zelig – in Zelig di Woody Allen (1983), film non a caso interpretato dal regista stesso, che costruisce un formidabile mockumentary sul curioso caso di un “camaleonte umano”, un uomo qualunque ma “dalle caratteristiche straordinarie” – rappresenta nel cinema un esempio eccellente di questa pratica: il protagonista, incarnazione letterale del conformismo e dell’ossessione dell’adattamento, grazie a una strabiliante capacità di metamorfosi si modella di volta in volta sui tratti e sugli stili di vita delle persone che incontra, diventando nero con i neri, obeso con gli obesi, musicista con i musicisti, come del tutto incapace di obbedire al folgorante imperativo nietzschiano “Diventa ciò che sei”27. Un meccanismo del genere, è facile notarlo, è sorprendentemente vicino a quanto si verifica nella storia dell’arte e delle immagini attraverso il fenomeno dell’empatia – oggi enormemente ripreso in considerazione dalla neuroestetica grazie alla scoperta dei neuroni specchio e al conseguente meccanismo della simulazione incarnata – che dà agli spettatori la sensazione di essere coinvolti in

oppongono all’estasi divina un orrore estremo» (ivi, p. 222). Per Bataille dunque la commistione estatica e sconcertante di voluttuosità e orrore profondo passa attraverso l’immagine. Possiamo senz’altro parlare, anche in questo caso, di godimento. Sui rapporti tra Bataille, Lacan e la teoria del godimento cfr. il capitolo IV.

25 J. Barus-Michel, Jouissance, destruction, procréation, cit., p. 49. 26

A. R. Damasio, L’errore di Cartesio, cit., pp. 222-227.

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Sulle personalità “come se” nel cinema e sulla figura dell’impostore nella psicoanalisi e nei film cfr. É. Vartzbed, Comment Woody Allen peut changer votre vie [2011], tr. it. Come Woody Allen può cambiare la vostra vita, Archinto, Milano 2012, pp 81- 91.

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qualche modo dalle immagini che vedono raffigurate in un quadro o in una scultura come se essi fossero realmente presenti in essa o nella scena che mostra, o nelle azioni che suggerisce. Tale fenomeno parrebbe avvenire in maniera ancora più naturale nel cinema, che alla verosimiglianza e all’antroporfismo ha aggiunto tempo e movimento.

È stato ancora una volta Freedberg ad occuparsi in maniera estesa di questo problema nel campo delle arti. Egli individua a più riprese un principio di reazione alla vista di alcune immagini in base al quale, sebbene i corpi riprodotti siano solo raffigurati, per lo spettatore «è come se essi fossero presenti»28; così come, per quanto riguarda la funzione erotica delle immagini, questa si scatenerebbe proprio nei casi in cui le forme umane rappresentate vengono percepite come se fossero vive29.

Ricordiamo a questo proposito che anche Matte Blanco, trattando il problema della natura e della misurabilità delle emozioni, aveva preso in considerazione la situazione percettiva del “come se”: «questo è un dolore come se qualcuno mi stesse pungendo», oppure «mi sento come se stessi soffocando». Secondo l’autore ci sarebbe possibile descrivere tali sensazioni solo grazie al ricordo di una precedente simile esperienza di percezione, da cui prendiamo in prestito con l’aiuto

28 D. Freedberg, Il potere delle immagini, cit., p. 52.

29 Ivi, p. 491. Freedberg propone un’ampia e accurata casistica di immagini (appartenenti tanto alle culture ritenute

“remote” o “primitive” quanto a quelle “occidentali” e “avanzate”) trattate come se fossero vive (è il caso ad esempio delle effigi funerarie, nutrite con cibo o interpellate in attesa di risposta; ivi, p. 83) o capaci di operare miracoli: far camminare gli storpi, far parlare i muti, rendere fertile ciò che era sterile, ridare la salute ai malati (ivi, p. 181). Per non parlare della «convinzione che un bel nudo appeso in camera da letto serva in qualche modo a rendere migliore la prole al momento del concepimento»; ivi. p. 24. O ancora, nei casi più feroci di iconoclastia, «l’efficacia della mutilazione per opera di coloro che desiderano privare l’immagine di una parte della sua carica sessuale; ma […] assai spesso, anche la distruzione degli occhi, che sono gli indicatori più chiari e ovvi della vitalità della figura rappresentata. Più sembrano vivi gli occhi, più sembra vivo il corpo; se si tolgono gli occhi, si asportano i segni della vita»; ivi, p. 601. Secondo l’autore sembrerebbe infatti più semplice capire l’inclinazione a distruggere e aggredire ciò che è figurato – cercando perfino in esso segni di forma biologica – piuttosto che ciò che è apertamente astratto; ivi, pp. 605 e 636. Il principio del come se è in definitiva costitutivo dell’intera questione dell’efficacia delle immagini. Freedberg conclude infatti il suo lungo studio arrivando a sostenere che le immagini sarebbero molto più dell’ordine della realtà che non di quello della rappresentazione: in questo consiste il loro potere (ivi, p. 639). «Reagire a un quadro o a una scultura “come se” fossero reali non è molto diverso dal reagire alla realtà in quanto realtà»; ivi, p. 640. Sul fenomeno del “come se” si veda anche il capitolo “La dénégation. Le comme si et le presque”, in D. Vasse, La dérision ou la joie. La question de la jouissance, Seuil, Parigi 1999, pp. 127-134. Secondo lo psicoanalista le parole proferite dall’analizzante durante la seduta attraverso la libera associazione sarebbero dei termini speciali capaci di imprimere al linguaggio ordinario una modalità particolare, “come se” e “quasi” facessero parte di esso. La modalità del “come se” è infine parte integrante del funzionamento amoroso in Lacan. Antonio Di Ciaccia, in occasione della presentazione della recente riedizione del Seminario XX di Lacan presso la Biblioteca Nazionale di Roma (12 ottobre 2011) spiega così, da un punto di vista lacaniano, l’esistenza dell’amore: esso supplisce all’assenza di rapporto sessuale - impossibile perché il godimento maschile non corrisponde e non corrisponderà mai a quello femminile - e fa “come se” si godesse dell’altro, mentre in realtà è del proprio corpo che si gode.

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dell’immaginazione. Matte Blanco definisce questo affascinante fenomeno come nostalgia della mente per il corpo30.

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