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Il godimento dell’occhio o l’esperienza di jouissance nella situazione cinematografica

2.8 Godimento erotico e pornografia Intorno al rapporto sessuale

La sessualità, è facile capirlo, è senz’altro dell’ordine del godimento. Ma dobbiamo fare attenzione a non confondere le due cose, le quali non sempre combaciano l’una con l’altra. Barthes lo diceva chiaramente, a proposito della narrazione: «il testo di piacere non è necessariamente quello che riporta dei piaceri», così come «il testo di godimento non è mai quello che racconta un godimento. Il piacere della rappresentazione non è legato al suo oggetto: la pornografia non è sicura», non garantisce godimento131.

Per quanto riguarda nello specifico la questione della pornografia al cinema – genere che ha prodotto una ricchissima letteratura132 – partiamo da alcune osservazioni di Slavoj Žižek, il quale considera l’atto sessuale di per sé irrappresentabile, perché implicherebbe l’incontro traumatico con il Reale lacaniano, refrattario, come abbiamo visto, a ogni simbolizzazione133. Esisterebbero allora tre grandi modi con cui il cinema si difende da questo evento scioccante, i quali corrispondono a tre differenti modalità di rappresentazione indiretta del rapporto sessuale: la comicità, la perversione e il pathos.

La pornografia invece – che del rapporto sessuale vorrebbe offrire una messa in scena diretta, pretendendo di “mostrare tutto” – fornirebbe al contrario la prova paradossale dell’irrappresentabilità intrinseca dell’atto sessuale al cinema, poiché la complementarietà tra narrazione ed esibizione diretta è strutturalmente impossibile. Nella pornografia infatti, secondo Žižek, il godimento è letteralmente lacerato tra il Simbolico e il Reale, e il corpo, privato della sua

M. Gazzano, Kinēma. Il cinema sulle tracce del cinema. Dal film alle arti elettroniche, andata e ritorno, Exorma, Roma 2012.

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R. Barthes, Il piacere del testo, cit., p. 117.

132

Cfr. soprattutto L. Williams, Hard Core. Power, Pleasure and the Frenzy of the Visible, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1989; Ead., Porn Studies, Duke University Press, Durham 2004; S. Sontag, The Pornographic Imagination [1967], in Ead. Styles of Radical Will, Secker & Warburg, Londra 1969, tr. it. in Ead., Interpretazioni tendenziose, Einaudi, Torino 1975; G. Lenne, Le sexe à l’écran, Henri Veyrier, Parigi 1978; R. Ogien, Penser la pornographie [2003], tr. it Pensare la pornografia, ISBN Edizioni, Milano 2005; M. Dubost, La tentation pornographique. Réflexion sur la visibilité de l’intime, Ellipses, Parigi 2006. In Italia ricordiamo P. Adamo, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina, Milano 2004, e, tra le opere più recenti, AA. VV., Pop porn. L’immaginario contemporaneo del porno, Et. Al., Milano 2010. Per quanto riguarda la rappresentazione del sesso al cinema, rimando inoltre al sito http://www.filmsite.org/sexinfilms1.html (History of Sex in Cinema: The Greatest and Most Influential Sexual Films and Scenes), che ripercorre in maniera estesa e dettagliata le forme di erotismo comparse sullo schermo dalle origini fino ad oggi, e al consistente workshop Cartography of Pornographic Audiovisual organizzato ogni anno nell’ambito del Filmforum di Udine/Gorizia dal 2010 a oggi. Per uno sguardo psicoanalitico sulla questione dell’immagine pornografica cfr. invece S. Tisseron, Les bienfaits des images, cit., particolarmente il settimo capitolo, “Enfants et parents face à la pornographie: la censure, et après?”.

133 S. Žižek, Dal sublime al ridicolo: l’atto sessuale al cinema, in L’epidemia dell’immaginario, Meltemi, Roma 2004,

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unità, verrebbe ridotto ad una macchina di pura jouissance, frammentato in un agglomerato di organi – per l’appunto, “senza corpo” – prettamente strumentali.

Ciò non toglie che la pornografia rappresenti comunque una forma estrema di godimento, non foss’altro che per il legame che essa intrattiene con il meccanismo della ripetizione – meccanismo che, nella teoria del godimento, abbiamo visto emergere come uno dei tratti più decisivi del suo funzionamento. «Due caratteristiche chiave della pornografia sono la ripetizione e lo sguardo», afferma Žižek; «per prima cosa c’è la spinta a ripetere la stessa scena ancora e ancora»134.

Rispetto a tale irrappresentabilità dell’atto sessuale al cinema la pensava diversamente Yann Lardeau, il quale, in un solido e consistente articolo del 1978, intuì che non ci può essere pornografia se non cinematografica135.

Lardeau ipotizza infatti un legame di fondo, una vera e propria identità di regime tra cinema e pornografia, che condividerebbero alla base la stessa natura. Il cinema, in quanto “operatore di verità”, costituirebbe la migliore risposta, sul piano funzionale, a ciò che la pornografia chiede, cioè di essere vista, enunciata, verificata. Interrogare il cinema porno non significherebbe quindi interrogare la pornografia, bensì il cinema stesso, dal momento che esso, per sua natura, permette l’iscrizione in sé di un tale discorso.

Lardeau teorizza allora il cinema come «arte della prostituzione»136, per via di quella oscenità ontologica del mezzo già individuata da Bazin per cui indipendentemente dal contenuto rappresentato sarebbe la tecnica stessa del cinema a essere oscena. Bazin – sostiene Lardeau – andrebbe preso alla lettera: l’oscenità al cinema non è nell’atto di rappresentazione, ma consiste nella riproduzione stessa, e il cinema pornografico non farebbe altro che oggettivare al meglio questa oscenità ontologica del mezzo.

Anche una visione di questo tipo non ci impedisce di far rientrare la pornografia nell’ordine del godimento, poiché oltre alla già citata tendenza alla ripetizione che la caratterizza, possiamo rilevare un’altrettanto marcata tendenza all’esagerazione: Lardeau sottolinea in particolare – nel cinema pornografico – l’esasperazione del primo piano, che avvicinerebbe a tal punto lo spettatore al proprio oggetto d’osservazione da finire col separarlo completamente e definitivamente da esso.

134 Ivi, p. 247. Sul concetto žižekiano di interpassività nella visione della scena pornografica – cioè di delegazione ad un

altro (l’attore) della mia possibilità di godere in quanto spettatore – cfr. inoltre M. Monaldi, Spectatorial Pleasure in the Web Pornographic, intervento del 20 marzo 2010 all’VIII Magis Spring School di Gorizia.

135

Y. Lardeau, Le sexe froid. Cinéma et pornographie, «Cahiers du cinéma», 289, 1978, ora in AA. VV., Théories du cinema, Petite anthologie des CDC, vol. 7, Parigi 2001, pp. 135-155.

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Il porno infatti può parlare del sesso solo in termini funzionali, assegnandogli degli organi genitali e una loro precisa messa in segno. Includendo interamente (e integralmente) l’organo nel primo piano, lo si esclude definitivamente dal fuoricampo – che è lo spazio del soggetto – il quale ne risulta quindi disgiunto e come neutralizzato. Il primo piano nel porno dunque ridurrebbe i corpi rappresentati alla loro materialità genitale, congelandoli in una definizione sterile e astratta.

Attraverso una simile frammentazione di pezzi di corpo, la pornografia mette in atto una vera e propria tecnologia degli organi: la loro connessione, interazione, sovrapposizione – in una combinatoria che permette l’inversione costante di ogni termine con l’altro – li renderebbe equivalenti, sostituibili, intercambiabili.

Le singole connessioni dei corpi riuscirebbero così a sopraffare la messa in scena del rapporto nella sua integralità, perché per Lardeau, come per Lacan, non c’è rapporto sessuale: il corpo intero sparisce, resta il “corpo senza organi” teorizzato da Deleuze e Guattari, un corpo desessuato, disincarnato, disgiunto dal sesso137. Così come spesso non necessariamente legata al sesso è la meccanica stessa della jouissance.

Per quanto riguarda, ancora, la fratellanza ontologica tra cinema e pornografia, Giacomo Manzoli, rifacendosi a Fredric Jameson, ricorda che

il visuale è essenzialmente pornografico, il che significa che sbocca in una fascinazione estatica, irrazionale […]. I film pornografici sono perciò […] il cinema all’ennesima potenza, che ci chiede di guardare al mondo come se si trattasse di un corpo nudo. […] Tutto questo per dire che i film sono un’esperienza fisica, e come tale vengono ricordati, immagazzinati interamente in sinapsi corporee che escludono il controllo della coscienza138.

Per Manzoli il funzionamento della pornografia – genere, alla pari del musical, altamente performativo, in cui non si raccontano storie o azioni, ma corpi e atti, per cui attrazione e narrazione agiscono sullo stesso piano – dipenderebbe essenzialmente dalla garanzia del fatto che

137 Ivi, pp. 142-143. La dicitura “rapporto sessuale” è intesa da Lacan nel senso preciso di una scrittura che legherebbe

tra loro gli esseri parlanti sessuati, uomo e donna. «Non c’è connettore logico che assocerebbe un segno uomo e un segno donna; non c’è legge universale dell’attrazione dei corpi sessuati». Ecco perché non può esserci rapporto sessuale (sono parole di Jean Allouch, riportate in M. Fiumanò, Un sentimento che non inganna. Sguardo e angoscia in psicoanalisi [1991] Raffaello Cortina, Milano 1995, p. 148).

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G. Manzoli, Cinema popolare, cinema tout court. Il Potëmkin, tra Adorno, Fantozzi e qualche considerazione sul pornografico, in G. Carluccio, F. Villa (a cura di), Il corpo del film, cit., p. 51. La citazione è tratta da F. Jameson, Signatures of the Visible [1992], tr. it. Firme del visibile. Hitchcock, Kubrick, Antonioni, Donzelli, Roma 2003

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ciò che si sta vedendo è accaduto veramente (sebbene solo a seguito di una clamorosa, ipermediata e fortemente codificata messa in scena)139.

Ci viene da pensare a un film come 9 Songs (Michael Winterbottom, 2004) – con protagonisti un uomo e una donna uniti da una relazione passionale e turbolenta – in cui i due attori hanno veri rapporti sessuali, mostrati integralmente sullo schermo. Nonostante le scene di sesso occupino la maggior parte della durata del film e presentino visibilmente orgasmi non simulati, siamo ben lungi dal definire questo film prettamente “pornografico”. Infatti, pur non rinunciando ad un’operazione fortemente ostensiva del sesso, 9 Songs non è un film volgare né banale poiché attorno al sesso inscrive un discorso, una storia profonda e coinvolgente che con il sesso si fonde e si struttura, sviluppandosi di conseguenza e di pari passo. Dopo 9 Songs, se a fare da discrimine tra pornografia ed erotismo al cinema consideriamo l’avere o meno un vero rapporto sessuale sullo schermo, questa differenza pare non avere più molta ragione d’esistere140.

Sicuramente la distinzione tra erotismo e pornografia in altri momenti della storia del cinema è stata avvertita in maniera diversa («la pornografia è l'erotismo degli altri», diceva Alain Robbe-Grillet). Giorgio Agamben sottolinea ad esempio la novità sconcertante che aveva rappresentato, nel cinema, lo sguardo in macchina di Monica (Harriet Andersson) in Monica e il desiderio (Sommaren med Monika, Ingmar Bergman, 1953), stabilendo in maniera straordinaria e inaspettata un contatto diretto ed impudico con lo spettatore.

A partire da quel momento, la pornografia e la pubblicità hanno banalizzato questo procedimento. Siamo ormai abituati allo sguardo della star porno che, mentre sta facendo ciò che deve fare, rivolge lo sguardo fisso verso la macchina da presa, dando prova così di essere interessata allo spettatore prima ancora che al suo partner141.

Per avere un’idea di quanta potenza potesse scaturire dall’esperienza di questo sguardo, ricordiamo le parole di Olivier Assayas:

139 «Per paradosso, non esiste altro genere cinematografico altrettanto normato, rigido e rigoroso quanto quello

pornografico, in cui alcuni stilemi di ripresa sono, di fatto, obbligatori»; cfr. A. Bellavita, L’impero dei non sensi: il Diabolo di Nagisa Oshima e Jacques Lacan, «La Psicoanalisi», 43-44, cit. p. 120.

140 Già Lardeau sosteneva che, in definitiva, non c’è differenza tra porno ed erotico, e pazienza per gli esteti. A

cambiare sarebbe solo la scala di referenza, attraverso il restringimento o l’allargamento del campo (primo piano nel caso del porno, campo medio nel film erotico), ma l’attenzione resta sempre lì, ruota attorno all’organo sessuale, si tratta soltanto di due sistemi inversi: dal grande al piccolo e viceversa; Y. Lardeau, Le sexe froid, cit., p. 143. Ricordiamo, a questo proposito, quella che era la posizione di François Truffaut in quegli stessi anni: «Quanto ai film erotici o pornografici, senza esserne un appassionato, penso che essi siano la pena o comunque la tassa che paghiamo per sessant’anni di menzogne cinematografiche sulle cose d’amore»; F. Truffaut, Les films de ma vie [1975], tr. it. I film della mia vita, Venezia, Marsilio 1978, p. 15.

73 Sono stato a lungo eccitato dalla celebre foto di Monika che Antoine Doinel ruba dalla bacheca di un cinema nei Quattrocento colpi […] sullo sfondo del cielo, gli occhi chiusi in faccia al sole, il maglione alzato sulle braccia nude, le spalle scoperte, il seno dritto. Quest’immagine di un’insolente sensualità in fiore, non riuscivo a capirla […]. Raramente […] si è riusciti a esprimere meglio di lui [di Bergman] la violenza erotica dei primi amori dell’adolescenza, raramente la forza del desiderio, l’avvicinarsi dei corpi, la pienezza della loro soddisfazione sono stati mostrati in modo così vero e così crudo. E anche il loro contrario142.

“E anche il loro contrario”. Esperienza degli opposti, dunque, quindi esperienza assoluta di godimento. Così come accade in molti altri esempi cinematografici in cui la compresenza di piacere ed angoscia raggiunge un livello di coincidenza micidiale.

È il caso di Come le foglie al vento (Written on the Wind, Douglas Sirk, 1956), particolarmente nella scena in cui Marylee Hadley (Dorothy Malone) si spoglia nella sua stanza ballando al ritmo sfrenato di un brano jazz, scena che culminerà con la morte del padre che cade dalle scale, da cui deriva l’effetto di una cosa come causa dell’altra, di una coincidenza spaventosa tra la terribile morte di uno e il massimo punto di godimento dell’altra. A proposito di Marylee in questa scena, Veronica Pravadelli scrive: «Notiamo il corpo imbrigliato tra gli oggetti del personaggio, poi il modo di inquadrare, […] con una manipolazione prospettica e visiva del corpo umano che diventa, in questi momenti particolari, un oggetto informe, una macchia di colore dai contorni incerti, energia libera in movimento»143. L’episodio viene letto in base al concetto di situazione di Lea Jacobs, opposto a quello di azione e carico di una maggiore tensione drammatica. Nel melodramma emotivo, infatti, il conflitto non è orientato verso l’azione ma è interno al corpo dei personaggi, per cui spesso si assiste allo scontro di pulsioni contrastanti prive di motivazioni narrative concrete. «In questi momenti i corpi vengono compressi nello spazio sino a scoppiare», continua l’autrice, e si afferma un forte dominio attrazionale del visivo sul narrativo144.

Nella scena presa in esame il padre paga (simbolicamente) con la morte il godimento della figlia. Godimento che i due personaggi di Marylee e del fratello Kyle (Robert Stack) hanno inseguito in maniera estenuante e rovinosa lungo tutto il film, con abusi di whisky, fumo e sesso (lui è alcolista e lei ossessionata dagli uomini), corse in auto sportive, continui sperperi di denaro e una vita dissoluta che li ha portati a voler desiderare sempre troppo. Al binomio di godimento assoluto rappresentato

142 O. Assayas, S. Björkman, Conversation avec Ingmar Bergman [1990], tr. it. Conversazione con Ingmar Bergman,

Lindau, Torino 1994, p. 75.

143

V. Pravadelli, Eccesso, spettacolo, sensazione. Sul melodramma e Come le foglie al vento, in G. Carluccio, F. Villa (a cura di), Il corpo del film, cit., p. 166. La questione verrà ripresa e ampliata in V. Pravadelli, La grande Hollywood. Stili di vita e di regia nel cinema classico americano, Marsilio, Venezia 2007, pp. 195-230.

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da Marylee e Kyle si oppongono gli altri due protagonisti del film, Mitch (Rock Hudson) e Lucy (Lauren Bacall), che alla fine formeranno coppia, e che incarnano, al contrario, un amore timido e discreto fatto di sospiri, di non-detto, di attese e di mancanze; in una parola, di desiderio, quanto di più lontano possa esserci dal godimento. È per questo che Lucy finirà col rifiutare i piaceri che Kyle Hadley vuole offrirle per tenerla con sé: auto da corsa, giri in aeroplano, pellicce e gioielli, lussuose suite in ogni angolo del mondo.

Un altro esempio eccezionale di come il godimento al cinema possa diventare quasi insopportabile lo ritroviamo nel già citato La figlia di Ryan, durante scena della locanda in cui il maggiore Dorian (personaggio che morirà suicida) viene sopraffatto dal suo trauma di guerra mentre il vecchio sordomuto Michael (John Mills), sorta di “idiota del villaggio”, ride smodatamente battendo a tempo di musica – in maniera ossessiva e ripetuta – il piede contro la panca di legno su cui è seduto. Dorian, in piedi davanti al bancone, comincia a inquietarsi e a tremare, lo sguardo fisso nel vuoto. Il momento di massima allegria di Michael coincide anche in questo caso con quello di massimo terrore dell’ufficiale; anzi, pare quasi provocarlo. Più la musica si fa incalzante, più Dorian appare sofferente e terrorizzato: suda freddo, contorce il viso in una smorfia, sembra avere le convulsioni, si getta su una sedia in preda al panico e si accascia infine per terra come a ripararsi dalle esplosioni e dagli spari di armi immaginarie: è ripiombato di colpo nel suo passato, sul fronte tedesco, e si comporta come se fosse realmente lì, sotto alle bombe; la bella Rose lo farà infine calmare145. Un altro rapidissimo flash sulla situazione al fronte ci sarà proprio dopo il suo lungo amplesso con Rose – che diventerà la sua amante – nel mezzo della foresta146. Dorian, ancora mezzo intontito dagli shock, verrà preso di soprassalto dai ricordi fulminei delle esplosioni di guerra. Così come avverrà nel momento in cui il giovane dovrà uccidere il suo antagonista politico in fuga, l’eroe irlandese O’Leary (Barry Foster): i traumi del passato ritornano in momenti di particolare shock emotivo, e Dorian, quasi incapace di sparargli a causa del ricordo di quanto egli stesso in prima persona ha vissuto sul fronte, comincia a tremare, gli si appanna la vista, getta via il fucile, barcolla, si regge alla vettura per non cadere, chiede una sigaretta.

Se le isteriche di Freud tendevano a dimenticare le esperienze deludenti e dolorose, i soldati che soffrono di reminiscenze e traumi di guerra, al contrario, restano inchiodati alla loro fissazione:

145 Sulla complessa questione del come se in psicoanalisi, nel cinema e nelle neuroscienze cfr. il capitolo successivo. 146

Žižek descrive questa scena come viziata da un romanticismo imbevuto di clichés quasi ridicoli, come il suono edulcorato della cascata e il patetico accompagnamento sonoro che si sforzerebbe di sublimare l’atto sessuale (atto che secondo l’autore, lo ricordiamo, rimane irrappresentabile) smorzandone la concreta presenza; cfr. S. Žižek, Dal sublime al ridicolo: l’atto sessuale al cinema, cit., pp. 252-253.

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l’inconscio di Freud non è soltanto il luogo del desiderio rimosso, ma anche quello della pulsione di morte, della quale il godimento è il principale veicolo147.

Marc-Léopold Lévy apre la sua Critique de la jouissance comme Une citando l’Oscar Wilde di Il ventaglio di Lady Windermere, per cui al mondo non ci sarebbero che due tragedie: una è quella di non poter ottenere ciò che si desidera, l’altra è di ottenerlo: la seconda sarebbe di gran lunga la peggiore. È ciò che avviene a Rose in questo film, come dimostrano le severe parole che le rivolge Padre Collins (Trevor Howard) sulla spiaggia, dopo averle dato uno schiaffo, rimproverandola aspramente per la sua incontentabilità: è in sposa a un brav’uomo, ha denaro a sufficienza per vivere e gode di buona salute, eppure tutto questo non le basta. «Rosy, non coltivare i tuoi desideri. È impossibile non averne, ma non coltivarli, o finirai per avere ciò che desideri, quant’è vero Iddio». È questa la vera tragedia del godimento.

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