• Non ci sono risultati.

Monotonia del godimento e malattia della ripetizione: il sintomo

3.2 L’interminabile litania della ripetizione

Nonostante l’enorme sforzo psico-fisico che l’ammalarsi comporta, il soggetto in qualche modo dal proprio sintomo trae godimento, e il godimento, come abbiamo imparato, gioca su una modalità particolare del tempo: la ripetizione. Per Freud la ripetitività del sintomo è funzionale al benessere e al giovamento del soggetto, capace di trarre dal sintomo stesso un qualche beneficio (sarà Lacan a enfatizzare enormemente il carattere voluttuoso della sofferenza nel sintomo). Il sintomo, dunque, innanzitutto si ripete.

In secondo luogo è proprio attraverso il sintomo, cioè attraverso l’attaccamento del soggetto al proprio dolore, che capiamo quanto l’essere parlante – per Lacan, così come per Heidegger, un essere-per-la-morte – non lavori esclusivamente per il proprio Bene13.

Già fin dagli Studi sull’isteria di Freud e Breuer, d’altra parte, si intravedeva l’ombra di una soddisfazione, per gli esseri umani, legata a situazioni spiacevoli e penose (ripensiamo alla nozione di compiacenza somatica di cui abbiamo parlato in precedenza, o – nel caso del cinema – al semplice fatto che spesso ci piace vedere e rivedere proprio i film che maggiormente ci “procurano

11 J. Lacan, Il seminario. Libro XI, cit, p. 162.

12 S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, cit., p. 326. 13

Sarebbe stata questa, secondo la lettura di Massimo Recalcati, l’ultima parola di Freud, estremamente vicina alla metafisica del godimento di Schopenhauer, per la quale l’essere sarebbe ripetizione priva di senso, pura ripetizione di godimento, e l’universo, che non ha alcun telos, sarebbe null’altro che il riflesso della volontà di vita che vuole se stessa, sino alla sua distruzione. Cfr. M. Recalcati, L’uomo senza inconscio, cit., p. 298.

142

dolore” o ci fanno piangere: esempio estremamente chiarificatore di un analogo meccanismo di godimento).

Ma a rendere ancora più contorte le cose c’è da considerare il fatto che non solo è difficile spiegare come mai si tenda – attraverso il sintomo – a ripetere un’esperienza dolorosa (che comporta peraltro una gran fatica), ma occorre anche conciliare questa tendenza con quella opposta – pure presente – di ripetere, al contrario, esperienze che procurano benessere pieno e appagamento: l’essere umano infatti, per Freud, resta innanzitutto un ricercatore instancabile di piacere, «e ogni rinuncia a un piacere che ha già goduto una volta gli riesce assai difficile»14.

Il lattante, ad esempio, vuole ripetere l’esperienza dell’assumere cibo pur non avendo più fame: ciò significa che l’atto del ciucciare è associato a un piacere che inizialmente si appoggia ad una funzione vitale, ma poi se ne dissocia quasi completamente per ricercare un suo proprio autonomo, particolare, soddisfacimento15.

Centrale poi, nel concetto di ripetizione, è la molla «dell’incontro sempre evitato, della possibilità mancata. La funzione del fallimento – afferma Lacan – è al centro della ripetizione analitica»16. È piuttosto evidente infatti che nella ripetizione «si produce qualcosa che è un difetto, uno scacco»17, e per la psicoanalisi – che considera il fallimento, l’errore e la dimenticanza come gli atti più imbevuti di intenzionalità e di senso – non c’è niente di più radicale e micidiale di questa condanna. «Quel che si è dimenticato di fare una volta, lo si dimenticherà ancora altre volte», scrive Freud in Psicopatologia della vita quotidiana18.

L’incidenza della ripetizione – fondamentale sotto molti aspetti in psicoanalisi – è alla base anche dei legami così apparentemente incomprensibili delle passioni e dell’amore. Colette Soler ricorda che Freud, fin dall’inizio, ha postulato che questi legami non sono affatto privi di logica: «Ogni amore ripete un amore precedente. Detto altrimenti, l’oggetto d’amore reca sempre i tratti distintivi dell’oggetto primario. Il primo, dunque, è anche sempre il secondo, sostiene Freud»19

(«Se non si

14 S. Freud, Il motto di spirito, cit., p. 150.

15 S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, cit., p. 285. Del resto, come ci ricorda Gabriella Ripa di Meana, i problemi

per il lattante incominciano proprio quando incomincia a capire che tra una poppata e l’altra dovrà aspettare (lezione tenuta all’Università Roma Tre durante il corso Interpretazione e analisi del film di Lucilla Albano, 12 ottobre 2010).

16 J. Lacan, Il seminario. Libro XI, cit, p. 126.

17 J. Lacan, Le séminaire. Livre XVII. L’envers de la psychanalyse, 1969-1970, tr. it. Il Seminario. Libro XVII. Il

rovescio della psicoanalisi, 1969-1970, Einaudi, Torino 2001, p. 51.

18 S. Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, cit., p. 194. 19

C. Soler, Lacan, l’inconscient réinventé, cit., p. 177. A sostegno della tesi secondo cui nelle scelte d’amore rimangono indelebilmente impressi i caratteri materni, Freud, in Psicologia della vita amorosa (1910-1917), avanza addirittura un parallelismo con la conformazione cranica del neonato, la quale, dopo un parto prolungato, recherebbe l’impronta della strettoia pelvica materna.

143

fosse suicidato, Werther avrebbe riscritto le stesse lettere a un’altra donna», osservava Roland Barthes, nei suoi più volte ricordati Frammenti di un discorso amoroso) 20.

Anche l’amore dunque – davanti all’impasse che la coazione a ripetere gli impone – fallisce spesso nel tentativo di evitare situazioni affettive disastrose, e ricerca sempre, instancabilmente, un unico doloroso oggetto. Così Scottie (James Stewart), ne La donna che visse due volte (Vertigo, Alfred Hitchcock, 1958), ossessionato dalla ricerca della sua Madeleine, non potrà che ritrovarsi a inseguire la stessa, identica donna – questa volta di nome Judy –, esplicitando un meccanismo fortissimo di godimento in cui la ricerca dell’identico è spinta a tal punto all’estremo da arrivare a coincidere con se stessa (Judy Barton altri non è che Madeleine Elster in persona, interpretata nuovamente da Kim Novak).

O ancora, se pensiamo a La signora della porta accanto (La Femme d’à côté, François Truffaut, 1981) – una delle vette più alte mai raggiunte dal cinema nel raccontare la tragedia di una passione amorosa – la necessità di ricaduta sullo stesso si manifesta nell’impossiblità totale, per i due amanti, di separarsi. Bernard (Gérard Depardieu) e Mathilde (Fanny Ardant) sono infatti attratti rovinosamente l’uno dall’altra come due calamite, e l’unica soluzione al loro amore impossibile sarà la morte. Anche in questo caso è una dinamica pura di godimento a reggere l’intera struttura del film, come dimostra la bella analisi di Rosamaria Salvatore, che mette in luce quanto i corpi dei due protagonisti siano soggiogati dalla forza dannosa del godimento e dal suo reiterato comando, e come e ogni nuova decisione di separarsi sia irrimediabilmente destinata al fallimento, fino alla catastrofe finale21.

In maniera non dissimile, il meccanismo infernale della coazione a ripetere – incarnato alla lettera da figure mitologiche quali Sisifo, Prometeo o le Danaidi, condannate ad uno sforzo perpetuo, vano e irriducibile, nonché sempre uguale a se stesso – dimostra che lo scopo della pulsione non è tanto il soddisfacimento, quanto piuttosto lo scacco, che ne rilancia infaticabilmente il movimento eterno verso l’avanti.

Outline

Documenti correlati