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Il godimento e il suo rovescio L’angoscia

4.2 Un sentimento che non inganna

Il fattore economico della quantità (cioè della dimensione delle energie che entrano in gioco in un affetto) accanto al fattore dinamico (che ne stabilisce invece le caratteristiche qualitative) è infatti fondamentale nel godimento. Affinché scoppi un conflitto psichico, ci insegna Freud, devono essere raggiunte certe intensità d’investimento. E se da uno stimolo esterno ci si può mettere al riparo con la fuga, la pulsione al contrario – che è interna – non permette via di scampo, costringe all’aumento

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Ce lo ricordano Chianese e Fontana; D. Chianese e A. Fontana (a cura di), Per un sapere dei sensi, cit., p. 340.

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Come scrive Stefania Parigi, in Accattone (e massimamente in questa scena, dalla fisicità estremamente dolorosa) i corpi, «non disciplinati da un codice di verosimiglianza, […] eccedono la rappresentazione», incarnando «una forza pulsionale che fuoriesce dalle dinamiche del racconto» (S. Parigi, Pier Paolo Pasolini. Accattone, Lindau, Torino 2008, p. 108). L’autrice ha insistito a lungo sulla forte tensione funebre di Accattone e sulla sua gravità spettrale, individuando nel clima generale del film il contrasto fra purezza e corruzione, umile e sublime, violenza e sacro, arcaico e moderno: «per Pasolini i contrari rimandano tutti allo stesso principio misterioso che domina la vita. Nella coesistenza e circolarità degli opposti, nella reversibilità di dritto e rovescio è inscritta l’ambiguità ontologica dell’esistenza» (ivi, p. 137). E ancora: «Il nero e il bianco, il basso e l’alto, il diavolo e l’angelo convivono in Accattone» (ivi, p. 140), film che risulta essere estremamente vicino alla logica dei contrasti tipica del godimento, una logica rinvenibile del resto anche nella principale cifra stilistica del film – il primo piano frontale – la cui caratteristica è la disperazione e non la speranza (ivi, p. 33). Si pensi infine ai contrasti chiaroscurali di una luce «usata per flagellare religiosamente la carne dei poveri cristi borgatari» (ivi, p. 125). Sull’intersecarsi, nell’opera di Pasolini, tra il corpo del poeta e quello della sua scrittura cfr. Ead., Pasolini: corpo dell’opera e corpo dell’autore, «Imago», 4, Autorialità, autobiografia, autoritratto, a cura di L. Albano e A. Salatino, 2011, pp. 61-75.

9 J.-M. Jadin, M. Ritter, La jouissance au fil de l’enseignement de Lacan, cit., p. 191. 10 M. Surya, Georges Bataille. La mort à l’œuvre, Gallimard, Parigi 1992, p. 109.

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e all’accumulo11. La durata del rapporto sessuale nell’uomo rispetto alle altre specie animali è infatti del tutto singolare, poiché l’energia investita nell’atto «non è ridotta a quella rappresentata dalla emissione dello sperma. […] Lo spreco di energia dell’antropoide, il cui orgasmo ha richiesto non più d’una decina di secondi, è evidentemente inferiore a quello dell’uomo civile, che prolunga il gioco per ore»12, indirizzandolo così al di là del principio di piacere, quindi al godimento. «La misura dell’amore è amare senza misura», diceva Godard in Éloge de l’amour, con parole di Sant’Agostino, e attraverso l’analisi dei film proposti in questo capitolo vedremo quanto possa arrivare ad essere dannosa una simile tendenza al godimento sfrenato e senza misura, destinato generalmente a capovolgersi in angoscia.

A proposito della distribuzione di forze, energie e tensioni operanti nella struttura dei film, riprendiamo ora brevemente Claudine Eizykman, per la quale ogni film può essere descritto dalla forma della sua curva energetica, cioè la risultante degli affetti che lo abitano13. Tale curva si discosta in maniera più o meno marcata dal modello canonico (quello che abbiamo definito NRI: forma narrativa-rappresentativa-industriale). Esemplare è il caso di Satyricon (Federico Fellini, 1969), film di estrema profusione e ridondanza, la cui curva “affettiva” si allontana in maniera vistosa dal modello NRI fratturandone completamente l’economia, grazie a personaggi e oggetti che

11 S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, cit., p. 503.

12 G. Bataille, L’erotismo, cit., p. 185. L’eiaculazione rappresenta inesorabilmente, nell’ottica batailliana, uno sperpero

mortale di energia. Curioso notare come Žižek, elogiando il cinema eroticomico italiano, citi a questo proposito il film Conviene far bene l’amore di Pasquale Festa Campanile (1975), che racconta di come, in un prossimo futuro, quando il mondo rimarrà senza alcuna risorsa «gli scienziati scopriranno che un’incredibile quantità di energia viene rilasciata dal corpo umano durante l’atto sessuale, a condizione che la coppia non sia innamorata» (S. Žižek, L’epidemia dell’immaginario, cit., p. 7). Sul mancato rapporto tra Lacan e Bataille cfr. R. Ronchi, Lacan e Bataille, intervento al convegno Lacan e il suo tempo, 21 gennaio 2012, Casa Internazionale delle Donne, Roma. Secondo Ronchi, Bataille avrebbe addirittura il “copyright” del godimento lacaniano: nel ’23 conosceva già Al di là del principio di piacere di Freud e aveva intuito la necessità di una nuova economia pulsionale non più limitata al piacere. Bataille sapeva bene quanto il problema della produzione fosse connesso a quello dello spreco (l’essere vivente è «complice dei vulcani», diceva); aveva cioè capito che la perdita è necessaria per il consumo, e che è proprio lei a dare un senso all’azione umana. È qui che nasce la sua concezione di godimento come “dépense”, cioè come dispendio, guasto, corruzione, degradazione, spreco della sostanza. A questo proposito Ronchi contrappone alla definizione classica di salute come “silenzio degli organi” (cioè quella del principio di piacere freudiano, che abbiamo ricordato nell’Introduzione), la definizione estrema di salute come “quantità di abusi che un uomo è capace di sopportare”, definizione che si pone, come risulta evidente, ben al di là del principio di piacere.

13 Anche Bellour parla oggi di “curve di film” in riferimento alle inquadrature o alle scene che non scegliamo mai per

caso di analizzare, poiché vi è sempre dietro una ragione affettiva: la rievocazione di qualcosa di proprio e di personale, di intimo o di lontano, forse un ricordo infantile, qualcosa in grado di curvare una linearità, qualcosa che “punge”. Questa memoria sensibile riattivata dal corpo sarebbe un miracolo possibile soltanto alle arti del tempo. Simili momenti, a seconda che siano più o meno lunghi e più o meno numerosi, darebbero al corpo del film, secondo Bellour, il suo più autentico respiro: si tratta di “courbes de films” (cfr. R. Bellour, Le corps du cinéma, cit. p. 228). «Le curve sono troppo cariche d’emozione», scriveva non a caso Mondrian, il pittore delle forme perfette (cfr. D. Freedberg, Il potere delle immagini, cit., p. 13).

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fungono da moltiplicatori e catalizzatori infaticabili di energie, in grado di conferire al film una forza pletorica, sovrabbondante, eccessiva e multiforme. Fellini qui esibisce e sovraccarica ogni oggetto, amalgamando corpi – belli, brutti, grotteschi, difformi, sontuosi – così da produrre «troppa energia, troppa mobilità per fissarne la libido in una forma pre-impostata»14. In Satyricon gli oggetti del desiderio «non hanno altro destino che quello di essere ripetuti […]. Ma la ripetizione comporta dolore; l’eccesso, la dismisura caratterizzano le ninfomani e l’ermafrodita. Gli oggetti sono essenziali e ripetitivi fino al dolore e alla morte», prosegue l’autrice15. Il godimento deriverebbe allora da questo carico eccedente, che produce una non coincidenza forte tra il film e il sistema ideale di base.

Eizykman individua del resto una forma di coesistenza degli opposti nel dispositivo cinematografico stesso: «Il cinema è un generatore di effetti e di condizioni propriocettive e psichiche estremamente sottili e complesse: che ingenuità credere che esso sia qualcosa di spassoso; il carico affettivo che esso produce è tanto più faticoso quanto più grande è il godimento che procura», scrive ancora nella sua Jouissance-cinéma16. Dunque la situazione cinematografica è capace di indurre nello spettatore non soltanto uno stato di piacevole beanza, ma anche di angoscia profonda. Perché il cinema è senz’altro, nella sua originarietà e nella sua sostanza, solitudine e oscurità, e Freud ci dice, a proposito dell’angoscia, che «le prime fobie dei bambini connesse con determinate situazioni sono quelle dell’oscurità e della solitudine […]; a entrambe è comune il fatto che viene sentita la mancanza della persona amata che si cura del bambino, quindi della madre»17. Se per Freud l’angoscia è un affetto legato all’esperienza della perdita, della privazione e dell’abbandono, per Lacan, in quanto “mancanza che viene a mancare”, essa è piuttosto un affetto legato ad un troppo, ad un eccesso, ad una eccessiva prossimità con il Reale. Un esempio riportato da Massimo Recalcati su questo tema, riguarda curiosamente proprio il cinema. Un paziente DAP (cioè affetto da disturbi da attacchi di panico), racconta Recalcati, sogna di essere al cinema: improvvisamente la sala prende fuoco ma lui non riesce a scappare. Da qui la crisi di panico, che si caratterizza innanzitutto per questa sensazione angosciante di essere ridotti al proprio corpo,

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C. Eizykman, La jouissance-cinéma, cit., p. 82. Sui paradossi dell’eccedenza nella messa in scena felliniana e la nozione batailliana di dépense affiancata all’interpretazione del suo cinema cfr. A. Minuz, La seduzione permanente o l’elogio attrazionale del cinema. Preliminari per una analisi dello “sguardo in macchina” nella scrittura di Federico Fellini, in P. Bertetto (a cura di), «Studi (e testi) Italiani», 29, Analisi e decostruzione del film, 2007, pp. 85-102.

15 C. Eizykman, La jouissance-cinéma, cit., p. 83. 16 Ivi, p. 20.

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S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, cit., p. 369. Di angoscia reale vera e propria, fa notare Freud, il bambino sembra infatti provarne ben poca: corre sul bordo dell’acqua, sale sul davanzale, gioca con oggetti pericolosi, dunque la sua angoscia è più vicina a quella dei nevrotici che non a quella reale, essa sorge cioè «da libido inutilizzata e rimpiazza l’oggetto amoroso venuto a mancare con un oggetto esterno o con una situazione» (ivi, p. 370).

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imprigionati, incatenati ad esso. La sala cinematografica, in questo caso, viene vissuta come agente di una saturazione occlusiva che impedisce ogni via di fuga. È proprio in questa “mancanza della mancanza” che, secondo Lacan, consiste l’angoscia18.

Potremmo rievocare a questo punto, con Clélia Zernik, quell’analoga sensazione di oppressione che caratterizza tutte le situazioni “senza uscita” nei film Hitchcock, in cui il personaggio è accerchiato da ogni lato e deve scappare da un ambiente soffocante. È quanto avviene ad esempio nel Sipario strappato (Torn Curtain, 1966), dove i due protagonisti, sul finale, si ritrovano rinchiusi nella sala di un teatro circondata dagli agenti nemici. Urlare «a fuoco!» – immaginare cioè, come nell’incubo pocanzi descritto, un incendio della sala – sarà per Michael Armstrong (Paul Newman) l’unica via d’uscita che renderà possibile la fuga: è proprio attraverso il raddoppiamento estremo della sensazione di imprigionamento fino al limite dell’esplosione che Hitchcock individuerà la soluzione, scegliendo in questo caso la via dell’eccesso e permettendo a un tempo, sul piano del dispositivo stesso, una strabiliante, momentanea rottura della distanza che separa lo spettatore dall’ambiente circostante, fatto che rappresenta precisamente – nello studio dell’autrice – una delle principali caratteristiche che distinguono la percezione cinematografica da quella ordinaria19.

Ma l’angoscia lacaniana non è soltanto panico e impossibilità d’azione: essa, dal punto di vista della sessualità, coincide proprio con il massimo livello di godimento. Come ci ricorda Marisa Fiumanò, nel Seminario X Lacan propone come sinonimo di godimento l’orgasmo, e l’orgasmo come sinonimo di angoscia. Secondo la psicoanalista

la ragione per cui niente, a livello umano, dà una soddisfazione maggiore dell’orgasmo, è dovuta non alla quantità di piacere che comporta, ma alla certezza che l’accompagna […]: fra tutte le angosce, sostiene Lacan, l’orgasmo è l’unica che ha realmente fine. L’angoscia e il godimento coincidono quindi nel godimento sessuale20.

L’esaurirsi dell’orgasmo, dunque, il suo scacco – inevitabile, dice Lacan, come il riflusso dell’onda marina che si infrange sulla sabbia – mostra con assoluta certezza (è la certezza data dall’angoscia che si prova subito dopo) che questa è un affetto che non mente, “un sentimento che non inganna”, proprio nella misura in cui attiene al corpo e vi si realizza trovandovi una soluzione fisiologica: per Lacan l’eiaculazione si produrrebbe nel soggetto maschile proprio all’apice dell’angoscia. Il piacere

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M. Recalcati, L’uomo senza inconscio, cit., p. 128.

19 C. Zernik, Perception-cinéma, cit., p. 60-61.

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dell’orgasmo è dunque istantaneamente votato a trasformarsi nel suo contrario, e questi due aspetti si rinviano l’uno all’altro come le due metà di uno stesso foglio.

Ma Lacan arriva ancora più lontano nel non ridurre il godimento sessuale esclusivamente alla sua componente piacevole, poiché il desiderio che si produce nell’orgasmo, ci ricorda ancora Fiumanò,

ha di mira ciò che resta dopo, il fallo molle, detumescente […]. Con un singolare capovolgimento rispetto alle comuni concezioni psicoanalitiche […], Lacan prospetta un’economia psichica in cui la potenza fallica non costituisce la mira centrale del desiderio, ma, al contrario, lo è il suo venire a mancare: al cuore del desiderio c’è quanto resta di un’erezione, un pene rammollito. Così agisce l’angoscia, così si produce il godimento21.

Come vedremo, una struggente e bellissima scena pensata da Kieslowski in Breve film sull’amore tradurrà alla lettera questo meccanismo.

Arriviamo così alla questione della tristezza post coitum – quello straniante senso di vuoto che spesso segue l’orgasmo, dovuto al troppo che si è appena avuto e che si è immediatamente versato – reazione al fatto che l’Io si sarebbe spinto, attraverso l’atto sessuale, troppo in là nell’oblio di sé. “Post coïtum animal triste” (nota sentenza che Lacan ha completato con “praeter mulierem gallumque”: eccetto la donna e il gallo)22 è il titolo scelto da Brigitte Roüan per il suo film del 1997 che racconta le avventure extraconiugali di Diane Clovier (Brigitte Roüan, la regista stessa) con il giovane idraulico Emilio (Boris Terral), e il dolore tremendo che affliggerà la donna quando lui improvvisamente deciderà di lasciarla. La narrazione – tutto un flashback – è scandita dai momenti di solitudine e tristezza di Diane mentre si accarezza e piange: è il tempo presente, il tempo della disperazione e del Reale, dell’abisso profondo e nero in cui la donna è sprofondata dopo che il suo amante è partito in maniera brutale e inaspettata. Diane rasenta la follia, parla da sola, non sa più vivere, osserva il proprio corpo invecchiare e si dispera fumando e bevendo senza sosta. Come Saffo, alla fine anche lei si lancerà da Leukada, riemergendo infine dall’acqua per sorridere, come vuole la leggenda.

Thierry Jousse definisce il film un autoritratto convincente, esercizio supremo di autogodimento in cui la regista-attrice si filma godere e disperarsi, contorcendosi da sola su un letto in quelli che sono i momenti più riusciti della messa in scena, quelli in cui la protagonista si sente più a proprio agio23. Anche Frédéric Strauss individua nella perfetta coincidenza di personaggio-regista-attore il

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Ivi, p. 111.

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Cfr. J.-M. Jadin, M. Ritter, La jouissance au fil de l’enseignement de Lacan, cit., p. 200, e N. A. Braunstein, La jouissance, un concept lacanien, cit., pp. 117-118.

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principale punto di forza di un film dalla sincerità integrale e sconcertante, non foss’altro per il modo in cui mescola due affetti così lontani eppure così simili, l’angoscia e il godimento24

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