• Non ci sono risultati.

Monotonia del godimento e malattia della ripetizione: il sintomo

3.5 Marnie Sul godimento femminile

A partire da queste ultimissime considerazioni sull’interazione tra il rapporto del regista con l’attrice e la configurazione del film – interazione che in qualche modo si trasferisce nei modi stessi della messa in scena – esemplare è il caso di Marnie.

Nella sua ampia biografia di Hitchcock, Donald Spoto ha insistito molto (e in maniera fin troppo edulcorata) su questo aspetto. Nel rapporto tra i due protagonisti del film – Mark Rutland (Sean Connery) e Marnie Edgar (Tippi Hedren) – ci sarebbe infatti molto del vero, morboso rapporto che legava il regista alla sua attrice, così che Mark, nei confronti di Marnie, non sarebbe altri che

34 A. Bertolucci, Riflessi da un paradiso. Scritti sul cinema, a cura di Gabriella Palli Baroni, Moretti & Vitali, Bergamo

2009, p. 250.

35 Ce lo ricorda nella sua analisi del film Rosamaria Salvatore, La distanza amorosa, cit., pp. 17-53. A questo proposito

si pensi anche a Jean-Luc Godard quando ricorda «la graziosa leggenda secondo la quale Griffith, commosso dalla bellezza della sua attrice, inventò il primo piano per fissarne meglio i dettagli»; L. Albano, Lo schermo dei sogni, cit., p. 166.

148

l’incarnazione del sentimento ossessivo dello stesso Hitchcock per Tippi Hedren, sentimento per il quale «il film stava diventando la storia del desiderio di un regista per un’attrice inaccessibile»37. Storia di desiderio, dunque, ma anche storia di godimento: Marnie – un film che si potrebbe davvero vedere e rivedere una volta dietro l’altra senza mai stancarsi né intaccare in alcun modo il profondo piacere che da ogni visione deriva (anzi, forse accrescendolo) – rappresenta non a caso, nella storia che racconta, un caso classico di sintomo (la cleptomania, ma anche la repulsione del contatto fisico: aptofobia).

Come forse tutti i film di Hitchcock, Marnie è in sé un film profondamente psicoanalitico: consiste in un’indagine per scoprire le ragioni di un sintomo, racconta parallelamente a questa indagine una storia d’amore, si conclude con l’emersione di un trauma infantile, dimostra in maniera squisitamente freudiana la natura sessuale dei disturbi psichici e delle nevrosi, il tutto mettendo in gioco fortissimi meccanismi di feticismo, voyeurismo ed erotizzazione dello sguardo38.

Ma soprattutto, dicevamo, Marnie è un film sul godimento (quindi implica il corpo, e sappiamo bene quanto Hitchcock fosse cosciente delle percezioni corporee che i suoi film avrebbero prodotto negli spettatori: racconta ad esempio di aver girato Psyco esclusivamente per fare presa sulle emozioni del pubblico, per farlo reagire «in modo emozionale», fisico)39, ed essenzialmente sul godimento femminile, argomento misterioso, affascinante e inesauribile riguardo al quale Lacan si è interrogato a lungo, per arrivare a emancipare completamente la sessualità femminile dal paradigma freudiano dell’invidia. Per Lacan, infatti, il godimento femminile non è affatto complementare a quello maschile, ma è supplementare ad esso. Quando in Ancora egli afferma che la donna “è non

37 D. Spoto, The Dark Side of Genius. The Life of Alfred Hitchcock [1983], tr. it. Il lato oscuro del genio: la vita di

Alfred Hitchcock, Lindau, Torino 1999, p. 472 e segg. (ed. or.). Secondo l’autore, Hitchcock avrebbe mandato all’attrice, per mesi interi, champagne e regali che la donna rifiutava sistematicamente e con irritazione. La frigidità di Marnie-personaggio deriverebbe in parte anche da tale rifiuto. Spoto ricorda la profonda crisi depressiva che afflisse il regista durante le riprese, e individua dietro ai momenti stilisticamente meno riusciti di Marnie la totale perdita d’interesse dell’autore per il proprio film a causa del rifiuto amoroso della Hedren. Hitchcock non si sarebbe rivisto negli Studios per settimane dopo l’insuccesso totale di Marnie (ricordiamo come la frustrazione continua del desiderio e la reiterazione del fallimento siano alla base di ogni meccanica del godimento).

38 Come osserva lo psiconalista Éric Vartzbed, Marnie incarnerebbe a pieno il primo modello di guarigione elaborato da

Freud, secondo il quale il soggetto guarisce quando rivive affettivamente un sentimento di paura o di collera rimosso dalla coscienza. «In questo modello, a una memoria lacerata si sostituisce un racconto e il sintomo è “solubile” nella parola»; É. Vartzbed, Come Woody Allen può cambiare la vostra vita, cit., p. 26. Si ricordi che Marnie è un film del ’64, appartenente al periodo pienamente americano di Hitchcock, connotato da uno spostamento progressivo verso la psicologia e le dinamiche del desiderio dei personaggi, in anni in cui la psicoanalisi invadeva letteralmente gli schermi hollywoodiani; cfr. a questo proposito V. Pravadelli, Alfred Hitchcock. Notorius, Lindau, Torino 2003, p. 19.

39

F. Truffaut, Le cinéma selon Hitchcock [1966], tr. it. Il cinema secondo Hitchcock, Nuova Pratiche Editrice, Milano 1997, p. 233. Ricordiamo che Lacan stesso si servì di Psyco «per parlare della posizione dell’analista nella cura all’inizio del suo Seminario Il transfert (Sem. VIII)»; R. Cavasola, La cosa più inquietante di Psycho, «La Psicoanalisi», 43-44, cit, p. 137.

149

tutta”, bisogna intendere che essa è “non tutta compresa nel godimento maschile”, quindi lo oltrepassa, è altrove, ha qualcosa di più.

Il primato del fallo dunque, in Lacan, non equivale affatto ad una supremazia dell’uomo sulla donna, ma unicamente alla supremazia dell’ordine simbolico per ambedue i sessi, poiché vale a pari titolo tanto per l’uomo quanto per la donna40. Il fallo «non è il simbolo del potere, quanto piuttosto di una certa idiozia, di un ostacolo, di un ingombro del soggetto»41, ingombro che non assilla affatto il godimento né il corpo della donna, il cui “non-tutto fallico” «è un’occasione e non una malattia o un handicap»42. È per questo che se il godimento fallico (cioè maschile) è compulsivo, cumulativo e meschino – tende cioè idraulicamente alla scarica, alla detumescenza, «alla ripetizione monotona, seriale, macchinina come accade nel Casanova di Federico Fellini», dove le movenze delle prestazioni sessuali sono fortemente orientate verso una mortifera coazione a ripetere43 – il godimento femminile rappresenta al contrario un’apertura eccedente la misura fallica, emancipata dall’avere, non ingombrata dall’esigenza della ripetizione e del fallo: si tratta di una forma di godimento infinitamente superiore che Lacan arriva ad accostare alla beatitudine e alla trascendenza dell’esperienza mistica.

Si pensi alla lunga e famosa scena in cui Marnie, terrorizzata dal rosso della divisa del fantino durante la passeggiata nei giardini di casa Rutland, all’improvviso scappa via di corsa a cavallo dell’adorato Forio – che era solita cavalcare con giubilo: estasiata, sorridente, pienamente appagata dal suo godimento44 – scena che si concluderà, non a caso, con una tragica caduta, quando Forio inciamperà sulla staccionata spezzandosi le zampe e scaraventando Marnie per terra. Vero e proprio ostacolo – la staccionata – funge da inaggirabile ingombro al piacere di Marnie, che abbiamo seguito in questa cavalcata veloce in cui mostrava un’espressione mista di angoscia, godimento e paura. Si interromperà così, in maniera brutale, un godimento ormai alle stelle (la jouissance, come sappiamo, si definisce in opposizione al piacere, di cui costituisce l’al di là).

40 Lacan, come è noto, a proposito del fallo ricorre alle due categorie dell’essere e dell’avere: l’uomo lo ha ma non lo è,

mentre la donna lo è ma non lo ha (ovvero: l’assenza del pene rende la donna fallo). Questa forma di attaccamento all’avere tipica del godimento maschile produce «una certa ebetudine, una forma particolare di idiozia. Non a caso Lacan ha definito il godimento maschile della masturbazione il godimento dell’idiota» (M. Recalcati, L’uomo senza inconscio, cit. p. 165).

41 Ivi, p. 164. 42 Ivi, p. 166. 43

Ivi, p. 165. Sui dibattiti sollevati dal film di Fellini alla sua uscita nel contesto femminista italiano cfr. A. Minuz, Viaggio al termine dell’Italia. Fellini politico, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012, pp. 154-155.

44 Non era nuova, nel cinema, l’idea dell’amore che può legare una donna a un cavallo, si pensi ad esempio ad Estasi

150 Ciò che mi interessa – afferma Hitchcock a proposito di questa sequenza – è l’emozione in rapporto al movimento. Marnie cade dal suo cavallo prima di doverlo uccidere, c’è allora un suo grande primo piano, poi la vediamo correre verso la casa, sempre in primo piano, perché è l’emozione che bisogna mostrare. Non faccio mai vedere dove si sta dirigendo, il suo punto di vista. In un’altra scena l’avrei fatto45.

L’emozione in questo caso era dunque tale da dover restare “compressa” in un unico primo piano piuttosto che andare dispersa nell’ambiente circostante (un po’ come avviene nella scena del bacio tra i due protagonisti, ripresa in maniera così ravvicinata da sembrare quasi pornografica)46. Questa breve descrizione, costruita ad arte sulla centralità assoluta di Marnie, ci permette di definire tale sequenza una perfetta scena di godimento, volta a condensare nel primo piano un affetto molto forte così da poterlo percepire nel suo massimo livello di tensione.

Nel corso del nostro studio infatti abbiamo attribuito al godimento – in contrapposizione al desiderio – caratteristiche del pieno, dell’eccesso, della tangibilità, dell’eccedenza. In questo senso, e soprattutto grazie alla celebre lettura che ne ha dato Bellour, Marnie è un film che si può accostare al feticismo (del resto, come vedremo fra breve, Hitchcock lo affermerà esplicitamente), e il sistema degli oggetti costituisce un importante principio costruttivo e formale della sua messa in scena47. Che il feticismo poi abbia direttamente a che fare con la logica del godimento è facilmente intuibile, se non altro per il fatto che il feticista, pur di scongiurare la castrazione materna, «è costretto alla ripetizione di un rito sempre uguale a se stesso»48.

Sia sufficiente pensare all’incipit del film in cui seguiamo Marnie camminare e ne osserviamo i gesti senza mai perdere di vista i suoi astucci, le sue borse e valigie, tutti oggetti atti a contenere, uniti al piacere evidente con cui la donna osserva chiavi, cassetti e casseforti. Secondo Bellour l’enorme e insistita attenzione che il film ci porta a rivolgere sugli accessori di Marnie è dovuta al fatto che la donna in sé è in realtà mancante: la sua identità, fin da principio (e fin dal nome, che nel

45 J. Bontemps, J. Douchet, Alfred Hitchcock devant Marnie, intervista ad Alfred Hitchcock, «Cahiers du cinéma»,157,

1964, pp. 38-39. Il cavallo rappresenta in Marnie, come è facile intuire, un fortissimo simbolo di minaccia. Marisa Fiumanò riprende a questo proposito un famoso caso clinico di Freud, quello del piccolo Hans, ovvero l’Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (curiosamente, cinque anni è anche l’età in cui Marnie subisce il suo trauma), nel quale il bambino è afflitto dal terrore del morso di un cavallo avvertito come incombente punizione paterna in risposta alle sue tendenze voyeuristico-esibizioniste. L’autrice fa notare che si tratta del caso in cui Freud lega in maniera più vistosa pulsione scopica e angoscia (M. Fiumanò, Un sentimento che non inganna, cit., p. 33). É stato Hitchcock stesso ad affermare che dietro al cavallo di Marnie c’è l’immagine del padre (J. Bontemps, J. Douchet, Alfred Hitchcock devant Marnie, cit.).

46 Si ricordi quanto diceva Gilles Deleuze a proposito della costruzione dell’inquadratura in Hitchcock, che opererebbe

«un richiudersi di tutte le componenti» isolando un sistema in maniera centripeta e neutralizzando parzialmente il fuoricampo (G. Deleuze, L’immagine movimento, cit., p. 29).

47 R. Bellour, L’analyse du film [1979], tr. it. L’analisi del film, Kaplan, Torino 2005, pp. 234-243. 48 M. Fiumanò, Un sentimento che non inganna, cit., p. 41. Il corsivo è nostro.

151

corso del film slitta metonimicamente da una falsa identità all’altra) risulta divisa, e la macchina da presa gode a frammentarne il corpo, a parcellizzarlo, a scomporlo inquadratura dopo inquadratura facendone un feticcio perfetto.

Ma la jouissance in Marnie funziona ancora su altri livelli. Se abbiamo definito con Freud il piacere “omeostatico”, il godimento si caratterizza al contrario per un surplus, per il superamento di un limite o di una misura; esso è dunque legato e tutte le situazioni iperboliche dell’eccesso e della ripetizione: il maniaco che parla senza sosta, l’atleta che mira a superarsi continuamente, lo psicotico che ama il proprio delirio come se stesso, il soggetto afflitto da un sintomo dal quale non riesce a disancorarsi (è questo il caso di Marnie). Tutte queste situazioni – che comportano tensione, sforzo e fatica – soprattutto producono angoscia, uno stato che si accompagna in genere, per Freud, «a sensazioni corporee che si riferiscono ad organi ben precisi, quelli preposti alla respirazione e al cuore»49 (cioè gli organi vitali). L’angoscia dunque, in psicoanalisi, non mente: essa parla un linguaggio concreto e fornisce attraverso il corpo un segno tangibile della sua presenza. Ecco allora come mai se Marnie si sente così male ogni volta che sta per compiere un furto (si pensi alla paura che la paralizza e le fa tremare la mano quando, dopo aver aperto la cassaforte, non riuscirà ad afferrare i soldi, e allo zoom violento e ripetuto sulle banconote che accentuerà in maniera tipicamente hitchcockiana questo effetto), assieme a lei anche lo spettatore, sebbene profondamente scosso e turbato proprio in questi che sono i momenti più inquietanti del film (ripensiamo alla suspense descritta da Vanoye), non desidera far altro che continuare a guardare, poiché è esattamente in questi momenti – in virtù di quest’angoscia, di questo “affetto che non mente” – che i livelli di identificazione e di partecipazione emotiva raggiungono il picco, l’apice del godimento. Anche grazie all’uso sconvolgente che Hitchock fa, in questo film, del colore rosso, un significante che varierà le sue forme attraverso un preciso sistema di ripetizione con variazioni – si tratta, come è noto, delle ricorrenti inquadrature di oggetti di colore rosso che riportano con violenza Marnie al suo trauma infantile, riattivandone il terrore – sistema associato, sul piano del sonoro, alle impetuose scansioni musicali del caratteristico tema pensato da Bernard Hermann50.

A questo proposito – da un punto di vista fenomenologico – Clélia Zernik fa notare come lo stile hitchcockiano, piuttosto che tentare di organizzare armonicamente le parti in un tutto, frammenti la

49 Ivi, p. 22. Quando subentra il corpo, siamo nel campo del godimento.

50 Come nota Federico Pierotti a proposito della visione di lampi improvvisi di colore da parte di personaggi

psichicamente turbati, «già Powell e Pressburger avevano ideato una simile soggettiva cromatica in Narciso nero (Black Narcissus, 1946) nel momento in cui un violento shock emotivo faceva perdere i sensi a suor Ruth. L’effetto, ottenuto in sede di stampa della pellicola, fu ripreso da Nicholas Ray in Dietro lo specchio (Bigger Than Life, 1956) per esprimere l’alterazione di personalità del protagonista»; F. Pierotti, La seduzione dello spettro, cit., pp. 160-161.

152

percezione del film prelevando un elemento che diventa poi un’ossessione in grado di metamorfizzare tutto il mondo esperito. In Marnie, allora, la presenza sintomatica e ricorrente di questo colore diventa un elemento di totale disorganizzazione percettiva: le macchie rosse si dipartono dal centro dell’inquadratura per poi dissolversi nello spazio circostante e assorbire fino ai contorni tutta l’immagine. Non sarà più possibile stabilire da questa alcuna distanza né definirne gli elementi: non rimane che un affetto puro, pura presenza del colore percepito dall’occhio. L’autrice paragona questo stato di tensione a quello di un elastico troppo teso o di un pallone gonfiato troppo e pronto a esplodere, due immagini che ci sembrano fin troppo adeguate per dare un’idea del funzionamento della jouissance e della sua tendenza a debordare infrangendo ogni limite51.

Il film del resto – come osserva Bellour – fa di tutto per evitare ogni possibilità di rosso nelle immagini che non riguardano il trauma, così da favorire in maniera finanche troppo esclusiva l’irruzione di un colore dotato dello stesso carico d’intensità di uno stato interiore così totalizzante. Una procedura di questo tipo è finalizzata esattamente a portare l’affetto in questione al suo più alto livello espressivo, producendo così un incredibile eccesso d’intensità (quindi – possiamo aggiungere – di godimento). È la simbolizzazione stessa dell’idea di sangue che, attraverso l’accentuazione estrema del rosso, è portata all’eccesso. Questo “colore Marnie” appare insomma dotato di una fortissima matericità, di uno spessore proprio tale da saturare completamente l’immagine fino a produrre «una sorta di energia propriamente somatica»52

.

In Marnie dunque, grazie alla ripetizione del sintomo e all’angoscia che lo accompagna, e attraverso la ricorrenza di questa particolare forma di messa in scena, vediamo emergere quel nodo stretto che in Hitchcock lega in maniera indissolubile alcune delle questioni fondamentali della jouissance. Come afferma Truffaut, «si potrebbe dire che il materiale dei suoi film sia attinto da tre elementi: l’angoscia, il sesso, la morte», che sono anche tre assi portanti del godimento53

.

Era impossibile – prosegue Truffaut, riferendosi a una proiezione del 1974 che raggruppava un centinaio di brani dei film di Hitchcock – non vedere che tutte le scene d’amore erano girate come scene di omicidio e tutte le scene di omicidio come delle scene d’amore […]. Sullo schermo non c’erano che schizzi di fango, fuochi

51 C. Zernik, Perception-cinéma, cit., p. 64 e segg. Sulla ripetizione di motivi visuali, formali e materiali in Hitchcock

cfr. inoltre S. Žižek, Dello sguardo e altri oggetti. Saggi su cinema e psicoanalisi, Campanotto Editore, Pasian di Prato 2004, pp. 30-32. L’autore identifica in questo particolare tipo di immagini ricorrenti dei veri e propri sinthomi: segni puri, privi di significazioni o interpretazioni simboliche, capaci tuttavia di condensare un elevato investimento libidico che ci permette di considerare lo spettatore cinematografico come “un corpo affetto da godimento”. Sarebbe stato proprio a partire da questi concreti elementi visivi che Hitchcock costruiva le sue narrazioni.

52 R. Bellour, La couleur Marnie, in J. Aumont, La couleur en cinéma, cit., p. 148. 53 F. Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, cit., p. 266.

153 d’artificio, eiaculazioni, sospiri, rantoli, grida, perdite di sangue, lacrime, polsi torti, e mi resi conto che nel cinema di Hitchcock […] fare l’amore e morire sono una cosa sola54.

Affermazione perentoria, evidente, difficilmente contestabile. Da questo punto di vista, le immagini forti e confuse del flashback finale di Marnie – quelle in cui Marnie-bambina rivive la sua terribile “scena primaria” in una delle sue versioni più devastanti, cioè la violenza subita dalla madre durante l’incontro erotico con un marinaio, violenza che la bambina vendicherà uccidendo l’aggressore, il quale a sua volta tentava di molestarla – sono immagini esemplari, nella misura in cui rendono l’assassinio estremamente simile al rapporto sessuale, attraverso una violenta successione di inquadrature che creano – grazie all’intreccio dei corpi nello scontro – un effetto incredibilmente forte di sovrapposizione tra situazioni antitetiche: Eros e morte, violenza e passione, terrore e godimento, sangue e rosso dappertutto. L’accesso a questa scena traumatica che la madre di Marnie avrebbe tentato di rimuovere dalla memoria della figlia per evitarle un dispiacere troppo grosso le permetterà al contrario di guarire.

Ma da dove viene il sintomo? Il sintomo viene al posto del rapporto sessuale, che in Lacan, per definizione, è mancante, impossibile da scrivere o da formulare. Il caso di Marnie, da questo punto di vista, è eccellente: in lei coesistono frigidità e cleptomania.

«Quel che si ama fondamentalmente in qualcuno – sostiene Jacques-Alain Miller – è il suo sintomo, cioè il modo in cui questo qualcuno tratta l’assenza del rapporto sessuale». O ancora meglio: «ognuno ha per partner un sintomo. Non ha per partner l’altro sesso. Ha per partner un modo di godere che, talvolta, include la persona»55. Risuona a questo punto incredibilmente rivelatrice una nota affermazione di Hitchcock rispetto al film: «Mi piaceva soprattutto l’idea di far vedere un amore feticista. Un uomo vuole andare a letto con una ladra perché è una ladra»56. Un sintomo forte, dunque, affligge anche Mark. Marnie – che Truffaut non ha esitato a definire un «grande film malato»57 – è allora una forte esperienza di sintomi, d’amore e di godimento, dal momento che per Marnie guarire significherà anche guarire dall’incapacità di accettare il contatto da parte di un uomo, da quell’“afanisi” (dal greco aphánisis, il “far sparire”) che Lacan riprende da Ernest Jones ad indicare la sparizione completa e irrevocabile del piacere sessuale, cioè della capacità e

54 Ivi, p. 290. 55

J.-A. Miller, I paradigmi del godimento, cit., p. 130. Sull’amore nei confronti dei sintomi delle persone che si amano cfr. anche S. Tisseron, Comment Hitchcock m’a gueri, cit., pp. 24-29.

56 F. Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, cit., p. 249, corsivo nostro. 57 Ivi, p. 272.

154

dell’occasione di godere58

. Non a caso, Marnie non ha mai ricevuto dalla madre una carezza. E non essere mai stati abbracciati – come sostiene Aldo Carotenuto – è una situazione di estrema sofferenza, perché impedisce l’esperienza fondamentale dell’oggettivazione, dell’essere cioè

Outline

Documenti correlati