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Monotonia del godimento e malattia della ripetizione: il sintomo

3.1 Ontologia di un accidente irrinunciabile Che cos’è un sintomo

I film vengono generalmente associati, dalla teoria psicoanalitica del cinema, ai sogni. Tuttavia, come accennavamo nell’Introduzione, abbiamo deciso – in questo studio – di discostarci parzialmente dal versante onirico nello studio dei film per orientarci piuttosto su quello sintomatico, che richiede un approccio diverso1.

Tanto per cominciare – e sintetizzando molto – i sogni sono felici, mentre il sintomo è doloroso. Secondo: il sintomo è dotato di una sorta di solidità e consistenza, a differenza del sogno, più evanescente e volatile: il sogno è una scena, è fatto di immagini, mentre il sintomo – che consiste piuttosto in uno stato o in un’azione, quindi qualcosa di meno astratto – avviene nel corpo, è definito da Lacan «un simbolo scritto sulla sabbia della carne»2, dunque è a suo modo indelebile. Inoltre – fatto importante – laddove il sogno, caratterizzato prima di tutto dalla proprietà di raffigurabilità, è sostanzialmente muto (ma sia chiaro: si tratta comunque di un evento di senso), il sintomo, al contrario, parla, e «parla là dove il soggetto soffre» (il soggetto, dice Lacan, «grida con il suo sintomo»)3.

Se il sogno poi, generalmente, dura poco – il tempo di una notte – il sintomo, al contrario, persiste: è stabile e ostinato, si ripete, può prolungarsi per tutta la vita. «Semplicemente, il sintomo rispunta come erba matta, compulsione di ripetizione»4, afferma Lacan, che nel Seminario V rende conto dell’eccezionalità del sintomo rispetto alle altre formazioni dell’inconscio proprio perché non ha la stessa ontologia fragile e passeggera di lapsus, sogni e motti di spirito.

Freud, in maniera apparentemente sbrigativa – e sulla base della classica formula secondo cui la nevrosi sarebbe l’inverso della perversione (un nevrotico si limiterebbe cioè a fantasticare ciò che

1 Per quanto riguarda gli studi cinematografici più recenti legati al sogno segnaliamo M. Martin, L. Schifano (a cura di),

Rêve et cinéma. Mouvances théoriques autour d’un champ creative, Presses Universitaires de Paris Ouest, Parigi 2012.

2

M. Recalcati, L’uomo senza inconscio, cit., p. 66.

3 Ivi, p. 67. Corsivo nostro.

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un perverso mette in atto) – affermava nei Tre saggi che «i sintomi […] sono l’attività sessuale dei malati»5. Ma le cose, come vedremo, sono molto più complesse.

In particolare, il sintomo è per Lacan “il modo in cui ciascuno soffre in rapporto al proprio godimento” («La façon dont chacun souffre dans son rapport à la jouissance, […] voilà le symptôme»)6. È grazie al sintomo, dunque, che ciascun soggetto gode, a modo suo.

Residuo di esperienza traumatica refrattario a farsi trasformare in simbolico (il sintomo oppone sempre una resistenza all’interpretazione, altrimenti non si ripeterebbe), formazione sostitutiva e compromissoria di qualcosa che non ha avuto luogo e che invece avrebbe voluto manifestarsi (esso «è un significante che prende il posto di un significato rimosso»)7, il sintomo si configura – in una delle più belle definizioni date da Gabriella Ripa di Meana – come il luogo di elezione della singolarità di ogni individuo, ovvero ciò che in maniera più autentica ne caratterizza e ne definisce l’unicità, l’irripetibilità, il carattere inedito8

.

È per questo motivo che niente al mondo meglio del sintomo dà prova del fatto che non esiste una forma universale di godimento: bisogna «elucubrare, improvvisare, delirare, arrangiarsi», per usare parole di Alfredo Zenoni, inventarsi cioè di volta in volta – e ciascuno secondo la sua maniera di godere – un modo diverso di cavarsela con il Reale9. Ogni sintomo infatti, sebbene insista in maniera “sempre uguale” all’interno del soggetto, richiede tuttavia da parte di ciascuno una soluzione specifica, particolare, diversa: il sintomo non ha rimedio ortopedico. Sintetizzando alcune recenti e preziosissime osservazioni di Jacques-Alain Miller su questo tema, diremo allora che il sintomo ha azione costante ma non risoluzione universale10.

L’aspetto che meglio fa cogliere la contraddittorietà del sintomo rispetto alla maniera di goderne – cioè rispetto al tornaconto che il soggetto stesso trae dal proprio malessere – è che i sintomi vanno considerati non tanto come accidenti inevitabili, quanto piuttosto come accidenti irrinunciabili. Il

5 S. Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale, cit., p. 475. 6 J. Lacan, Le séminaire. Livre XVI cit., p. 41.

7 M. Recalcati, L’uomo senza inconscio, cit., p. 66.

8 Cfr. a questo proposito G. Ripa di Meana, Il sintomo come legame sociale, resoconto del seminario Schegge (2010-

2011), ora reperibile sul sito http://www.lacan-con-freud.it/RipadiMeanaIlsintomocomelegamesociale.html, e G. Ripa di Meana, Lacune, Nottetempo, Roma 2012, pp. 43-47.

9 A. Zenoni, Dal padre onnipotente al padre evanescente, intervento del 20 gennaio 2012 all’Istituto Freudiano di

Roma. Zenoni sostanzialmente delinea l’equivalenza che si stabilisce, nell’ultimo Lacan, tra sintomo e Padre: nelle parte finale dell’insegnamento di Lacan, infatti, il Simbolico – cioè la Legge, il Nome del Padre – non sarà più nient’altro che un mito, un delirio, un’enorme finzione, un assioma non dimostrabile a cui credere e basta. A partire da questo momento la questione del Padre non si porrà più sotto l’ordine del Simbolico, ma sotto quello del sintomo: la particolarità del modo di godere di ciascuno (cioè il sintomo) subentrerebbe alla pretesa universalità del significante, della Legge (cioè il Padre).

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soggetto, in un certo senso, decide di godere attraverso il proprio sintomo, nonostante la sofferenza che il sintomo stesso gli procura.

I pazienti – constata Lacan – sono infelici. E tuttavia, indubbiamente, essi, soffrendo, soddisfano a qualcosa. «Diremo che ciò a cui soddisfano attraverso le vie del dispiacere è comunque – e questo è comunemente noto – la legge del piacere. Diciamo che, per questa sorta di soddisfazione, essi fanno fin troppa fatica. Fino a un certo punto, è questa troppa fatica che è l’unica giustificazione del nostro intervento»11. Ed è questa stessa troppa fatica che dà origine al godimento (il quale, lo ricordiamo ancora una volta, è definito da Lacan innanzitutto come un dispendio di energia apparentemente inutile).

Anche Freud lo diceva che i sintomi, tecnicamente, sono inutili, poiché comportano per il paziente un doppio dispendio psichico: produrli e combatterli. «“Essere ammalati” – osservava – è un concetto essenzialmente pratico», comporta una gran fatica12.

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