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Sua Maestà il Linguaggio: il godimento nei dispositivi di visione e nel discorso d’amore

2.2 La scena del linguaggio Godimento delle figure d’amore

Qualcosa di simile a questo godimento del dire può avvenire anche nel fenomeno della scrittura descritto ancora una volta da Roland Barthes, che in apertura a Variazioni sulla scrittura afferma di voler considerare la scrittura non in quanto segno, ma in quanto gesto: gesto manuale, corporeo, implicante l’impugnatura della penna, il tracciato della mano («Dalla parola scritta potrei risalire

17 «Là où ça parle, ça jouit»; J. Lacan, Il seminario. Libro XX, cit., p. 114. 18

Ivi, p. 138.

19

A. Bellavita, Schermi perturbanti, cit., p. 106.

20 J.-A. Miller, I paradigmi del godimento, cit., p. 39. 21 Ivi, p. 40.

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alla mano, alla nervatura, al sangue, alla pulsione, alla cultura del corpo, al suo godimento», afferma l’autore)22.

Oltre ad essere evidentemente strumento di potere – ci dice a questo proposito Barthes – la scrittura è infatti una vera e propria «pratica di godimento, legata alle profondità pulsionali del corpo e alle produzioni più sottili e più felicemente riuscite dell’arte»23. Del resto, «si obbligavano un tempo gli scolari a copiare, come penso, delle frasi, delle coniugazioni di verbi; […] d’altra parte non manca chi provi […] una certa voluttà nello scrivere, nel far scorrere la penna, a tracciare l’arabesco delle parole senza riguardo alcuno per ciò che esse significano»24. Queste esperienze di pura “scrizione”, senza considerazione alcuna per il contenuto, oltre a basarsi sul diletto della pura copia – dunque sulla meccanicità e la ripetizione, due dei principali attribuiti della jouissance – sono facilmente assimilabili alle forme pocanzi descritte di godimento del bla-bla-bla: «Venga sottratto il senso, resta tuttavia il corpo», conclude significativamente Barthes. La scrittura, del resto, è legata al corpo anche nell’accesso alla sessualità: «tutti sanno che gli adolescenti, arrivando alla pubertà, cambiano di scrittura come di voce»25.

Se vi è una scrittura per ogni corpo – continua Barthes – vi è anche una scrittura per ogni supporto, il quale condiziona, evidentemente, la scrittura stessa, «perché la contestura della materia (il patinato o il ruvido, la rigidità o la morbidezza, il colore stesso) obbliga la mano a gesti di aggressione o di carezza»26. Pietra, ciottolo, ardesia, mattone, coccio, oro, avorio, vetro, bronzo, ferro, rame, legno, papiro, cuoio, pergamena, stoffa, carta… Perché non includere la pellicola cinematografica tra i tanti materiali che Barthes elenca come implicati nella produzione materiale e “tattile” di godimento attraverso l’atto di scrittura stesso? D’altra parte, se egli attribuisce in ultimo alla scrittura una sua specifica vettorialità, lo scorrimento della pellicola – materia prima del cinema – non può che evocare alla lettera un analogo procedimento di movimento in avanti.

Ma Barthes si avvicina al problema del godimento forse in maniera ancora più diretta. In Sade, Fourier, Loyola egli definisce questi tre autori dei grandi “logoteti”, veri e propri inventori di lingue, capaci cioè di una creatività che va ben oltre il contenuto dei loro testi. La lingua che essi producono non è certo una lingua “linguistica”, di comunicazione (se volessero dire qualcosa –

22 R. Barthes, Variazioni sulla scrittura, cit., p. 58. 23 Ivi, p. 6.

24

Ivi, p. 51.

25

Ivi, p. 53. Sulla questione della voce e del godimento ad essa legato segnaliamo l’importante studio di Laura Pigozzi, Voci smarrite. Godimento femminile e sublimazione, Antigone, Torino 2011.

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sostiene Barthes – si potrebbero riassumere)27.

Così, ad esempio, in Sade la retorica diventa un’erotica, e viceversa: impossibile staccare la parola dall’azione, la lingua dalla prassi. Se il principio dell’erotica sadiana implica la saturazione di tutta l’estensione del corpo – l’impiego di ogni suo luogo – la stessa cosa avviene, a livello grammaticale, nella frase: è anch’essa un corpo (soggetto-verbo-complemento) che bisogna “riempire” (con espansioni, incisi, subordinate). Ciò che più contraddistingue, secondo Barthes, l’erotografia sadiana – i suoi porno-grammi – è esattamente il fatto che «la struttura del godimento non si distingue da quella del linguaggio»28, producendo una nuova chimica del testo che consente la fusione di corpo e discorso, di Logos con Eros («Eccomi tutta nuda, – disse Eugénie ai suoi professori: – dissertate quanto vorrete su di me»)29. Sade insomma «distribuisce il godimento come le parole di una frase (pose, figure, episodi, sedute)»30.

Assieme a questa singolare voluttà di scrittura, Barthes individua poi, in tutti e tre gli autori, una stessa ossessione numerativa per la classificazione, la combinatoria e la contabilità (questione che riprenderemo più avanti a proposito dei rapporti Kinsey nel cinema), attraverso una particolare pratica dell’immagine capace di sostituire la piattezza dello stile con il volume della scrittura. Questa vera e propria operazione di teatralizzazione – dove teatralizzare «non è decorare la rappresentazione, ma illimitare il linguaggio»31 – rende i tre autori simili a scenografi.

Nel volume Le discours amoureux. Séminaire à l’École pratique des hautes études, che raccoglie pagine inedite e preziose dei Frammenti di un discorso amoroso, Barthes arriva poi ad affermare che il godimento è soggetto alla stessa aporia della scrittura d’amore: voglio dare, scrivendo, ciò che non posso dare, un linguaggio che è fuori linguaggio. «L’écriture est du côté de la jouissance»: la scrittura è dal lato del godimento32. Da qui deriva una profonda disperazione, è la struttura stessa del discorso amoroso che mi costringe alla disperazione. Questa disperazione, per Barthes, è a tal punto una forma del discorso che può essere considerata la definizione normativa dell’amore, così

27 R. Barthes, Sade, Fourier, Loyola [1971] seguito da Leçon inaugurale de la chaire de Sémiologie littéraire du

Collège de France prononcée le 7 janvier 1977 [1978], tr. it. Sade, Fourier, Loyola seguito da Lezione, Einaudi, Torino 2001, p. XXIV. La semiologia per Barthes non è un’ermeneutica, essa dipinge anziché scavare, e – come il godimento – è «piuttosto nella linea del porre che non in quella del levare»; ivi, p. 192.

28 Ivi, p 117 29 Ivi, p. 146.

30 Ivi, p. XXII. Bernardo Bertolucci a sua volta, parafrasando Barthes – per il quale certi modi di scrivere potrebbero

essere letti come posizioni di kamasutra tra l’autore e il lettore – parla di “kamerasutra” a proposito delle posizioni che la macchina da presa, nel rapporto tra regista e spettatore, può assumere grazie alle sue possibilità di movimento continuo e sensuale; cfr l’intervista registrata a Roma il 7 marzo 2006, cit.

31

Ivi, p. XXIV, corsivo nostro.

32 R. Barthes, Le discours amoureux. Séminaire à l’École pratique des hautes études 1974-1976, Seuil, Parigi 2007, p.

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come le nasali contraddistinguono la lingua francese differenziandola da molte altre lingue. Nella disperazione amorosa, insomma, il mio essere coincide perfettamente con la mia lingua33.

Frammenti di un discorso amoroso è d’altra parte un testo che ci conduce subito – se non altro per il suo titolo – ad una prima elementare riflessione, la quale vede contrapposto il discorso d’amore a quello che Massimo Recalcati chiama oggi, al contrario, il discorso dell’anti-amore, forse la voce maggiormente caratterizzante del più generale discorso del capitalista che abbiamo già definito, attraverso Lacan, come il discorso tipico del godimento. Tale discorso infatti – che è quello dell’età contemporanea – prevede la distruzione di ogni legame sociale con l’altro nonché l’accumulo forsennato e compulsivo dell’oggetto di consumo, sorretto da una spinta inarrestabile a godere di tutto in maniera ininterrotta. È il discorso sorto sulle ceneri dell’Edipo, ovvero sul crollo della funzione paterna che aveva per scopo di preservare il legame sociale, vietando l’incesto e imponendo la rinuncia a godere della Cosa.

Se l’amore si offre infatti come il modo più umano per trattare in maniera feconda la propria mancanza a essere (dare qualcosa che non si ha a qualcuno che non la vuole), il discorso del capitalista colma (o promette illusoriamente di colmare) ogni mancanza, alimentando senza sosta la domanda di godimento sulla quale si regge oggi il potere del mercato. L’oggetto del godimento infatti ottura la mancanza ad essere del soggetto, una mancanza invece fondamentale per strutturarne il desiderio. Mancare della propria mancanza può comportare infatti conseguenze gravissime (lo vedremo meglio parlando dell’angoscia), e le psicopatologie odierne non fanno che confermarlo.

Ma la cosa fondamentale dei Frammenti di Barthes è che si tratta di un testo in cui l’“altro” – è l’autore stesso a dirlo – manca completamente (quindi un testo che già solo per questa sua esclusività dell’Uno ci interessa in rapporto al godimento e al suo carattere autotrofico), è muto e privo di bocca, al contrario del soggetto amoroso che è invece sfigurato per l’effetto opposto: il soliloquio lo rende un mostro, un’enorme lingua (ricordiamo la già citata immagine proposta da Freud di una bocca che bacia se stessa come modello ideale di autoerotismo)34. I frammenti amorosi sono, in questo senso, proprio il discorso dell’Uno, e molte delle loro caratteristiche, come vedremo, li avvicinano all’essenza più autentica del godimento.

33 Ivi, pp. 663-664.

34 Ivi, p. 688. Sul godimento legato alla sovrabbondanza della parola – quindi all’enorme privilegio che l’essere parlante

ha sempre su quello parlato – cfr. il seminario tenuto da Jacques-Alain Miller al Teatro Dejazet di Parigi, cit. È per via di questo privilegio immenso che la parola non è affatto vincolata alla cosa, a ciò che realmente esiste. È stato forse Shakespeare colui che meglio di chiunque altro ha individuato la superiorità della parola rispetto alla cosa, fino a ridurre quest’ultima a niente: “Much Ado About Nothing”, osserva Miller: molto rumore per nulla.

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Quando sono preso nel discorso d’amore ad esempio, scrive Barthes, non mi interessano gli altri discorsi. «Sono asimmetrico al mondo. La mia sintassi – sia essa ellittica, metaforica, o anacronistica – non è conforme al mondo, e questa irregolarità corrisponde alla disintegrazione sociale del soggetto amoroso»35, disintegrazione che, come abbiamo visto, è al centro anche del nostro discorso del capitalista. Impegnato nell’ascolto ininterrotto e pacificatore di un ritornello, l’innamorato è per Barthes simile al bambino autistico, capace di riprodurre alla perfezione delle arie musicali e di passare ore ad ascoltare lo stesso brano36.

Barthes chiama i suoi frammenti di discorso “figure”, da intendersi però, come dice l’autore, in movimento continuo e non in stato di riposo – come delle vere e proprie figure cinematografiche – simili al gesto del corpo colto in movimento, «il corpo degli atleti, degli oratori, delle statue: ciò che è possibile immobilizzare del corpo sotto sforzo»37. E il godimento, come sappiamo, richiede sempre uno sforzo del corpo. Così come sotto sforzo continuo è l’innamorato, in preda alle sue figure, turbolente e tempestose: la figura – oltre ad essere una scena di linguaggio, un episodio, un fatto di linguaggio – è infatti «l’innamorato al lavoro», scrive ancora38.

Le figure amorose di Barthes, un po’ come le varie forme del godimento, sono poi “fuori sintagma”, fuori racconto. Non seguono alcuna logica e alcuna contiguità, si cozzano tra loro in maniera disordinata: il dis-cursus – cioè il correre qua e là attraverso mosse, passi, intrighi – non è dialettico, come non-dialettico è il godimento.

Dunque il discorso amoroso di Barthes è fatto essenzialmente di figure. Entriamo allora nel vivo della figuralità – intendendo per figura semplicemente una rappresentazione visiva, senza neppure

35

R. Barthes, Le discours amoureux, cit., p. 650.

36

Ivi, p. 662. Ricordiamo le osservazioni di Julia Kristeva sull’enigma dell’autismo come impossibilità di accesso al linguaggio nonostante una vita pulsionale spesso molto complessa (le pulsioni, già per Freud, erano altamente tributarie del linguaggio, trattandosi di esseri «psicosomatici e intraverbali: transverbali, direi»; cfr. J. Kristeva, Du sens au sensible: logiques, jouissance, style, in B. Chouvier, a cura di, Symbolisation et processus de création. Sens de l’intime et travail de l’universel dans l’art et la psychanalyse, Dunod, Parigi 1998, p. 84). Il fenomeno dell’autismo – secondo l’autrice – farebbe pensare e una caverna sensoriale ancora più buia, profonda e intraducibile di quella di Platone, poiché completamente sprovvista di simboli (le ombre), quindi assolutamente irriducibile al linguaggio (ivi, p. 88). Accanto all’analogia rilevata da Barthes tra l’autistico e l’innamorato, ricordiamo che Glen e Krin Gabbard, nel loro studio consacrato ai rapporti tra cinema e psichiatria, osservando l’enorme differenza di atmosfera, nel pubblico cinematografico, all’ingresso e all’uscita dalla sala, si accorgono che se prima di calarsi nell’esperienza di visione gli spettatori appaiono chiassosi e festanti, alla fine del film, richiamati alla realtà, essi sono piuttosto pensosi e riflessivi, «a volte un po’ sbalorditi, altre volte un po’ autistici»; G. O. e K. Gabbard, Cinema e psichiatria, cit., p. X, corsivo nostro. Lo stesso Barthes del resto, nel suo celebre articolo En sortant du cinéma (cit.), aveva insistito a lungo sullo stato molle di sonnolenza e assopimento in cui si ritrova lo spettatore all’uscita della sala.

37 R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 5. 38 Ivi, p. 6.

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sfiorare la spinosissima questione del figurativo e del figurale – e vediamo quello che avviene tra discorso amoroso e cinema dal punto di vista del godimento.

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