Godimento e sesso: la disarmonia strutturale e il malinteso dell’amore
5.2 Dal non-rapporto al regime della contingenza Il melodramma, l’ostacolo, l’amore
«Non è ridicolo? – ribatte tra sé e sé il protagonista di Provaci ancora, Sam, riferendosi alla moglie e alla loro vita sessuale disastrosa – come potevamo avere un problema sessuale? Non avevamo neanche rapporti!». Così Woody Allen spinge ironicamente il tragico paradosso lacaniano del non rapporto sessuale fino al limite del non-senso: il far cilecca è infatti, secondo Lacan, la sua sola forma di realizzazione. «Si tratta di ripetere a sazietà perché fallisce. Fallisce. È oggettivo»18. È per questo che non si esaurisce mai la domanda d’amore: «l’amore domanda l’amore. Non cessa di domandarlo. Lo domanda… ancora. Ancora è il nome proprio della faglia da cui nell’Altro parte la
14 R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 203. Ricordiamo che nella fonetica articolatoria, attenta al
processo fisiologico di produzione del suono per mezzo degli organi vocali e della loro anatomia, la fricazione indica il fenomeno per il quale il suono di alcune consonanti viene prodotto in due fasi successive, mediante la graduale apertura del canale orale attraverso cui passa l’aria proveniente dai polmoni.
15
J.-P. Lucchelli, Le malentendu des sexes, cit., p. 16.
16 La formula del rapporto sessuale, come ci insegna Jacques-Alain Miller, potrebbe realizzarsi soltanto se, nella scelta
dell’oggetto d’amore compiuta da un individuo di un certo sesso, bastasse come unica condizione che esso appartenesse al sesso opposto. «Se diciamo che non c’è rapporto sessuale è in quanto non c’è una condizione necessaria e sufficiente per ambo i sessi che li faccia complementari. Non c’è una condizione universale della scelta d’oggetto», non tutti gli uomini convengono a tutte le donne e viceversa (J.-A. Miller, Logiche della vita amorosa, cit., p. 36).
17
G. Bertolucci, Cosedadire, cit., p. 72.
18
Lacan fa notare, a questo proposito, l’incredibile vicinanza che la lingua francese stabilisce tra “il faut” del verbo faillir (correre il rischio di, essere lì lì per) e “il faut” del verbo falloir (mancare, fare difetto, necessitare); J. Lacan, Il seminario. Libro XX, cit., pp. 58-59.
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domanda d’amore», scrive Lacan in apertura del suo ventesimo seminario, il cui titolo – Ancora – fa riferimento sia a questa tendenza inesauribile alla ripetizione e al rinnovo perpetuo dell’amore e della sua domanda (“ne voglio ancora”), sia al corpo inteso come luogo primario del godimento (encore, in francese, si pronuncia allo stesso modo di en corps, “in corpo”) 19.
Jacques-Alain Miller, non a caso, definisce Ancora il seminario dei “non-rapporti”, individuandovi il paradigma lacaniano della disgiunzione totale: tra il significante e il significato, tra l’amore e il godimento, tra l’Uno e l’Altro, e tra l’uomo e la donna sotto la forma del “non c’è rapporto sessuale”. Ai termini sacralizzati dello strutturalismo e della scienza subentrerà infatti, a partire da questo momento, il primato della pratica e della pragmatica sociale, attraverso i concetti di routine ed invenzione, i due principali assi attorno ai quali ruota, in Lacan, tutto ciò che riguarda il legame sessuale.
Il concetto di non-rapporto – un’intersezione vuota tra due cerchi euleriani – farà così vacillare dalle fondamenta l’impero lacaniano della structure (ce- truc- dur, “questa cosa dura”), cioé tutto ciò che finora si era portati ad ammettere come dato trascendente e non falsificabile. Emerge infatti adesso, attraverso il rapporto con l’altro, «una relazione esposta alla contingenza, all’incontro, una relazione sottratta alla necessità», esposta al caso20. Al trascendentale della struttura si sostituisce dunque il pragmatico, e all’impossibilità strutturale del rapporto sessuale si sostituisce la singola occasione offerta all’uomo o alla donna: puntuale, precisa, in grado di comprendere tutto ciò che è sottoposto all’invenzione e che permette di rinnovare l’incontro («la struttura comporta dei buchi e, in questi buchi, c’è posto per l’invenzione, per la novità, per degli operatori di connessione che non sono lì da sempre», cioè che non le preesistono)21.
Quella dell’oggetto d’amore è una scelta rigorosa, unica (è proprio in questo che il transfert amoroso si distingue da quello analitico: l’uno è specifico, l’altro universale). «Per trovare l’Immagine che, tra migliaia, si confà al mio desiderio, ci sono volute molte combinazioni, molte sorprendenti coincidenze (e forse molte ricerche). È un enigma che io non riuscirò mai a risolvere: perché mai desidero il Tale?», si domanda Barthes, che fa di questo enigma un fallimento linguistico, e, per troppa fatica, vi si rassegna. Il linguaggio non può che arrendersi alla tautologia: ti amo perché ti amo22.
19 Ivi, p. 6. «Chi sta con gli immortali non conosce fatica», scrive Bruno Moroncini; «non così per l’homme du désir:
desiderare stanca»; B. Moroncini, Sull’amore. Jacques Lacan e il Simposio di Platone, Cronopio, Napoli 2005, p. 169.
20
J.-A. Miller, I paradigmi del godimento, cit., p. 41.
21 Ibidem.
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Il regime assoluto dell’amore è infatti la contingenza, e la contingenza, la contingenza pura, non può essere resa permanente né può essere scritta. Solo lì l’amore funziona: nel momento in cui subentra la necessità, esso è impedito. Sono queste, in definitiva, le fortissime conclusioni di Ancora.
Non a caso, spostando la questione in ambito cinematografico, Lucilla Albano ha mostrato esemplarmente, da un punto di vista psicoanalitico, come il cuore del genere melodrammatico – basato sulla messa in scena di un amore impossibile, ostacolato o contrastato – rappresenti una struttura universale che favorisce un potente meccanismo erotico capace di catturare lo spettatore in maniera implacabile23. Infatti, come afferma Freud in Contributi alla psicologia della vita amorosa, sia la frustrazione del godimento sessuale che la disponibilità sessuale illimitata impediscono un godimento soddisfacente: «è facile constatare che il valore psichico del bisogno d’amore scema immediatamente appena il soddisfacimento è diventato agevole»24.
Questa impossibilità senza rimedio del godimento completo – continua l’autrice – ha a che fare con qualcosa di intrinseco alla sessualità, «al fatto che non vi è mai, non vi può mai essere, una coincidenza tra la prima scelta oggettuale, il primo “rapporto amoroso”, il cui prototipo è “il lattante attaccato al petto della madre”, e le scelte oggettuali successive»25. «Occorre un ostacolo per spingere in alto la libido – scrive ancora Freud – e, là ove le resistenze naturali contro il soddisfacimento erotico non bastano, gli uomini hanno in tutti i tempi introdotto resistenze convenzionali per poter godere dell’amore»26. Lacan arriverà a sostenere che l’oggetto cui il soggetto desiderante aspira è irraggiungibile poiché strutturalmente mancante: «ciò che si cerca non coincide mai con ciò che si trova», dunque «il pieno appagamento non esiste, l’incontro amoroso è sempre un incontro mancato»27. Così il melodramma, «raccontando qualcosa che sposta sempre in là, all’interno della storia d’amore stessa, il soddisfacimento agognato […], non è altro che un dispositivo, una “resistenza convenzionale”, che esplicita e mette in scena l’ostacolo per “poter
23 L. Albano, L’amore impossibile e l’oggetto perduto, cit., p. 166. Su quanto il cinema sia impegnato, oggi, nel mettere
in scena i paradossi dell’incontro con l’altro sesso, cfr. C. Ramirez, Psychanalyse et cinéma – Couples d’aujourd’hui: à la rencontre du partenaire-sinthome, «La Lettre mensuelle», 303, 2011, pp. 17-18. Sul ruolo cruciale della contingenza dell’incontro amoroso nel cinema vedi anche J. Assef, La rencontre amoureuse selon Woody Allen: Whatever Works!, «La Lettre mensuelle», 303, cit., pp. 28-30. L’incontro tra due partner – come ci insegna Lacan e come ci mostra esemplarmente l’ultimo Woody Allen – dipende non tanto dall’inseguimento di un ideale, quanto dalla ricerca di un sintomo, inteso come modalità di godimento dell’altro; ivi, p. 28.
24 S. Freud, Über einen besonderen Typus der Objektwahl beim Manne [1910-1917], tr. it. Contributi alla psicologia
della vita amorosa, in Id., Opere, vol. 6, Boringhieri, Torino 1974, p. 429.
25
L. Albano, L’amore impossibile e l’oggetto perduto, cit., p. 167.
26 S. Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale, cit., p. 527 (ed. del 1970). 27 L. Albano, L’amore impossibile e l’oggetto perduto, cit., p. 168.
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godere dell’amore”»28
. Quello che Lacan chiama “oggetto a” rappresenta a un tempo sia l’effetto di questa perdita (è l’oggetto perduto) che ciò che la tampona. Esso, sempre doloroso e consolatorio assieme, è buco ma anche tappo: istituisce una mancanza radicale, promette sempre di colmarla. Del resto – conclude Lucilla Albano – la stessa arte della narrazione
consiste nello scandire e nel dilazionare la ricerca e l’inseguimento di quell’oggetto, il cui raggiungimento è continuamente minacciato, impedito, ritardato fino alla fine del racconto. È solo quando soggetto e oggetto si raggiungono, o si ricongiungono (“e vissero felici e contenti”), che non c’è più nulla da raccontare. E infatti quel “e vissero felici e contenti” non lo ha proprio mai raccontato nessuno29.
Ma come nasce un racconto? Affinché accada qualcosa, afferma Deleuze ne L’Abecedaire, «c’è bisogno di una differenza di potenziale e ci vogliono due livelli, bisogna essere due, allora accade qualcosa»30. Potremmo completare idealmente questa sentenza con l’osservazione di Jacques Lacan secondo cui «dès que vous mettez en camp deux sujets – je dis deux, pas trois – les sentiments sont toujours réciproques»: possiamo in questo senso parlare d’amore31.
Per Aldo Carotenuto invece, quando si tratta di Eros, occorre essere almeno in tre: la gelosia – come vedremo meglio nei due film di cui ci occuperemo in questo capitolo: Lui di Buñuel e L’amore probabilmente di Giuseppe Bertolucci – dimostra quanto il modello del triangolo sia fondamentale nell’esperienza sentimentale, dove il terzo è talmente necessario alla nostra immaginazione che
28
Ivi, pp. 168-169.
29 Ivi, p. 179.
30 R. De Gaetano, Tra due. L’immaginazione cinematografica dell’evento d’amore, Luigi Pellegrini, Cosenza 2008, p.
98. Secondo l’autore sarebbe infatti la categoria dell’evento a definire l’amore. Un evento, rispetto a una situazione, è raro, vive in uno spazio-tempo incommensurabile e deriva da un incontro di contingenti in cui «l’intervallo, la differenza, l’intermezzo, sono il modo in cui la (presunta) unità si dà» (ivi, pp. 13-14). Il “tra” rappresenta allora, nell’evento d’amore, un modo d’essere fondamentale. De Gaetano, riflettendo su questo tema nel cinema odierno, pare negare la possibilità di raccontare adeguatamente l’esperienza amorosa: il modello prevalente sarebbe piuttosto quello osceno e pornografico imposto dai media. L’autore – denunciando, in certo cinema erotico contemporaneo, un’adesione senza filtri al reale e una sessualità ridotta a pura «fisiologia senza schermo» – suppone una parallela eclissi dell’amore e del cinema, poiché nel cinema di oggi corpi e segni, soggetti a un’esponibilità totale e a una trasparenza senza più alcuna opacità, giocherebbero in un’adiacenza ormai priva di scarto. L’evento amoroso, infatti, non sarebbe convertibile in moneta tanto quanto la pornografia. Assistiamo così all’annullamento di ogni potenzialità di “evento” e alla cancellazione del “due” costitutivo dell’amore, del “tra” che, secondo l’autore, rende possibile ogni distanza, ogni velo, ogni schermo, ogni discorso (ivi, p. 9 e segg.).
31 «Dal momento in cui mettete in campo due soggetti – e dico due, non tre – i sentimenti sono sempre reciproci». La
citazione, tratta dal Seminario I, compare in R. Barthes, Le discours amoureux, cit., p. 665. Inoltre, «grazie a una curiosa coincidenza, ogni volta che abbiamo a che fare con il numero due, ecco evocato il sesso, almeno a livello dell’immaginazione» (J. Lacan, Le séminaire. Livre XVI, cit. p. 222). Così nel cinema classico – e soprattutto nel melodramma, soggetto a fortissime modalità di auto-censura – «il sesso c’è sempre, è sempre presente, ma non si vede mai, non si deve vedere mai» (L. Albano, L’amore impossibile e l’oggetto perduto, cit., p. 166).
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quando non esiste nella realtà dobbiamo inventarlo32. È ciò che avviene in maniera esemplare in Schatten (Arthur Robison, 1923), piccolo capolavoro dell’espressionismo tedesco, nella scena in cui il marito geloso, convinto che la moglie lo tradisca, percepisce in maniera distorta, per via di un effetto ottico prodotto da una tenda, alcune ombre che delineano la sagoma della donna circondata dai suoi pretendenti in procinto di metterle le mani addosso. In verità si tratta soltanto dei servitori che le controllano l’abito, ma il protagonista è talmente ossessionato dalla gelosia che inciampa a pieno nel trabocchetto visivo, attraverso un’efficace mise en abyme che ricalca, nei suoi stessi termini (proiezione di ombre su una tela) l’illusione cinematografica tout court: figurarsi cose che non ci sono. Se “l’essenziale è invisibile agli occhi”, come recitava il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry, il superfluo, l’eccessivo – ciò che più ci fa male e di cui non avremmo neppure bisogno – lo vediamo perfino quando non c’è.
Anche per Marc Léopold Lévy, in amore, occorre necessariamente un terzo. Come fare, altrimenti, a prolungare nel tempo qualcosa di così violento, breve e folgorante come la passione? «Ci vuole qualcosa di esterno alla coppia», conclude Lévy, evocando così un terzo elemento che sia altro rispetto ai due soggetti implicati: si tratti di una persona, una distanza geografica, un impedimento qualsiasi da parte della famiglia o della politica, un progetto extra come una vacanza o un bambino33. Ultimo tango a Parigi, secondo l’autore, radicalizzerebbe magnificamente questo tentativo di far durare la passione in eterno attraverso un espediente estremo: rinunciare alla parola. Nel film tutto comincerà a rovinarsi tra i due amanti proprio quando inizieranno a parlarsi. Lévy è uno psicanalista, non si occupa di cinema. Eppure, nel descrivere questa necessità di un altro fra i due affinché la struttura dell’amore si compia e funzioni, parla proprio di “mise-en-scène”, di magia: dev’esserci dell’“incredibile”, dello “straordinario” nelle cose d’amore, così come straordinario e incredibile è il funzionamento del dispositivo cinematografico stesso, il quale, come l’amore, altro non è, in definitiva, che un grande inganno, una magnifica e strabiliante illusione.
32 A. Carotenuto, Eros e pathos, cit., p. 90. L’autore, a questo proposito, ripercorre nel cinema il topos degli amanti che
uccidono il coniuge di uno dei due, da Ossessione di Visconti (1943) a La fiamma del peccato (Double Indemnity, 1944) di Billy Wilder, da Il postino suona sempre due volte (The Postman Always Rings Twice, Tay Garnett, 1946) a Cronaca di un amore di Antonioni (1950), film che seguirebbero tutti lo stesso schema: innamoramento, decisione di eliminare l’ostacolo, complicità degli amanti nell’azione omicida, rimorso, infelicità, morte. È lo stesso tema che ritroviamo nel film di Oshima L’impero della passione (Ai no borei, 1978), di poco successivo a L’impero dei sensi. Sul motivo cinematografico del ricongiungimento degli amanti dopo la morte cfr. invece R. Campari, Il discorso amoroso. Melodramma e commedia nella Hollywood degli anni d’oro, Bulzoni, Roma 1990, pp. 15-21.
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5.3 Il miracolo delle mani vuote o l’illusione della reciprocità. Il cinema come metafora