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La gestione della prevenzione del rischio occupazionale negli operatori sanitari e di comunità

Germinario C

Professore Associato di Igiene, Presidente del Consiglio di Classe delle Professioni Sanitarie della Prevenzione. Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, Sezione di Igiene, Università degli Studi di Bari. Osservatorio Epidemiologico Regione Puglia

Sommario

Il patrimonio valoriale che sostiene la legislazione e la dottrina relative alla gestione del rischio occupazio- nale negli operatori sanitari e di comunità comprende sia le tematiche connesse alla promozione della salute dei lavoratori sia il tema della qualità dell’assistenza sanitaria.

La sicurezza di un lavoratore non è data semplicemente dal suo comportamento, ma è il frutto di un insieme di rapporti (con gli altri lavoratori, con la propria azienda, con le altre aziende) e di un insieme di pratiche di lavoro. L’evento “infortunio” o “malattia professionale” dunque è la spia che segnala l’esistenza di problemi nell’insieme del contesto di lavoro e nella gestione della sicurezza.

I rischi lavorativi per gli operatori del settore socio sanitario sono numerosi e correlati all’esposizione ad agenti biologici e chimici (come farmaci), ad allergeni, ad episodi di violenza, a diverse forme di stress o sollecitazioni psicologiche. Un impegno importante, sorretto da un corpus normativo specifico, è legato alla sorveglianza del personale esposto a radiazioni ionizzanti.

La corretta gestione del rischio occupazionale degli operatori sanitari rappresenta un processo complesso che coinvolge diverse professionalità (medico del lavoro, infettivologo, responsabile del Servizio di Preven- zione e Protezione ecc) e che richiede una forte azione di coordinamento e di sintesi da parte del medico igienista nel suo ruolo di direzione medica di presidio ospedaliero o di dirigente di distretto socio-sanitario.

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no in circa 1.200.000 il numero di operatori del settore dei servizi socio-assistenziali I rischi lavorativi per gli operatori del settore socio sanitario sono numerosi e correlati all’esposizione ad agenti biologici e chimici (come farmaci), ad allergeni, ad episodi di violenza, a diverse forme di stress o sollecitazioni psicologiche. Un impegno importante, sorretto da un corpus norma- tivo specifico, è legato alla sorveglianza del personale esposto a radiazioni ionizzanti.

Il rischio di patologia da movimentazioni di carichi rappresenta uno degli elementi maggiormente indagati negli ultimi anni. In una indagine svolta in un presidio ospedaliero della Toscana nel corso del 2008 è emerso che in più del 40% dei reparti i livelli di rischio, calcolati in base al numero medio di pazienti non autosufficienti per singolo operatore addetto al trasporto, risultava ele- vato. L’utilizzo di sollevatori e la formazione dei lavorato- ri sono risultati gli interventi migliorativi che maggiormen- te riducono il rischio. Per quanto riguarda gli operatori del settore sociale, una indagine svolta nel Lazio nel 2008 su 342 dipendenti di una cooperativa sociale ha evidenziato un elevata prevalenza di disturbi muscolo- scheletrici. In particolare, il mal di schiena era associa- to con il carico di lavoro e la depressione; il dolore dor- sale con età, ansia e depressione; il dolore cervicale con i fattori psicosociali di stress (domanda e control- lo), sesso femminile e ansia.

Nel campo delle allergopatie ha assunto un peso importante l’allergia al lattice, anche a seguito dell’uti- lizzo estensivo di dispositivi di protezione individuale come guanti a seguito dell’emergenza, nei primi anni ‘80, di malattie a trasmissione ematica. Tuttavia in Ita- lia le iniziative preventive in questo campo sono ad oggi abbastanza limitate.

Anche la tutela del benessere mentale degli ope- ratori ha un peso rilevante nella gestione del rischio occupazionale. In una indagine svolta in Piemonte nel corso del 2007 su 327 dipendenti di aziende sanitarie e cooperative sociali, sono stati evidenziati valori medi di burn-out e strategie di coping prevalentemente orien- tate alla soluzione diretta della situazione stressante negli operatori di entrambi i settori. Il confronto tra sog- getti impiegati in cooperative sociali e soggetti impie- gati in azienda sanitaria spiega infatti come sia la vi- sione organizzativa ed il senso di appartenenza a de- terminare in misura significativa il benessere soggetti- vo: i soggetti della sanità mostrano maggiore males- sere individuale unitamente ad una peggiore Vision, ossia una percezione non chiara delle scelte e degli obiettivi aziendali.

A partire dagli anni ‘80, specialmente a seguito delle grandi epidemie di infezione da HIV, la prevenzio- ne delle malattie infettive ed in particolare delle infezio- ni a trasmissione ematica ha assunto un ruolo priorita- rio nella prevenzione del rischio occupazionale degli operatori sanitari. Negli ultimi anni inoltre l’interesse della comunità scientifica si è rivolto alle patologie in- fettive a trasmissione aeree, in considerazione del- l’emergenza di nuovi patogeni (SARS, Influenza avia-

ria, ecc. ) o della ri-emergenza di agenti eziologici già noti ma erroneamente considerati sotto controllo o in decremento (TBC).

Nel corso del 2008, l’ICOH in collaborazione con CDC e l’International Social Security Association ha emanato delle specifiche raccomandazioni per la pre- venzione delle infezioni occupazionali negli operatori sanitari, che comprendono: l’informazione specifica sui rischi connessi alla propria attività professionale, di tipo sistematico e trasparente; l’impiego di specifi- che risorse nell’ambito delle attività di promozione della salute degli operatori sanitari, da stabilirsi nell’ambi- to di programmi nazionali che coinvolgano strutture di sanità pubblica; la redazione di piani specifici per l’as-

sessment e il management del rischio professionale

di tipo infettivo, da integrarsi o modificarsi ogni volta che viene rinvenuto un nuovo agente infettivo in una qualsiasi nazione del mondo; l’integrazione delle stra- tegie di tutela della salute dei lavoratori con le inizia- tive volte a limitare la diffusione di infezioni nosoco- miali; la disponibilità dei presidi necessari per garan- tire la buona prassi igienica; dei programmi specifici per la prevenzione delle infezioni trasmesse da san- gue; la predisposizione di idonei protocolli per l’isola- mento dei pazienti affetti da malattie infettive respira- torie in fase contagiosa; la valutazione periodica dello stato di salute dei lavoratori; l’offerta attiva e gratuita delle vaccinazioni.

La non adesione alle misure di controllo delle in- fezioni in ambito ospedaliero favorisce la diffusione dei patogeni e aumenta il rischio di infezioni occupaziona- li. Tale diffusione può essere particolarmente impor- tante nel corso di eventi epidemici e l’assistenza sani- taria può rappresentare il fattore favorente la diffusione di una malattia, con un significativo impatto sia sul- l’ospedale che sulla comunità. L’emergere di infezioni gravi quali la Sindrome respiratoria Acuta Grave (SARS), le febbri emorragiche virali (infezioni virali Ebola e Mar- burg) e la recente pandemia influenzale sottolineano il bisogno urgente di pratiche efficienti per il controllo delle infezioni in ambito sanitario. Nel recente episodio di febbre emorragica virale di Marburg in Angola, la tra- smissione in ambito sanitario ha giocato un ruolo im- portante nell’amplificazione dell’epidemia. La disegua- le applicazione di politiche e pratiche in diversi paesi rappresenta un ulteriore motivo di preoccupazione, poiché l’adesione può variare significativamente in di- versi ospedali e paesi. Tale variabilità è risultata evi- dente durante l’epidemia di SARS, nella quale la pro- porzione di operatori sanitari affetti è variata nel mondo dal 20% al 60% dei casi.

La corretta igiene delle mani rappresenta la mi- sura più importante per prevenire le infezioni correlate all’assistenza sanitaria; tuttavia, questa misura conti- nua ad essere ampliamente disattesa nella assisten- za quotidiana in ambito sanitario e socio-sanitario. Tra le ragioni, vi sono anche la scarsa formazione specifi- ca e l’inadeguata adesione a pratiche efficaci. In una indagine a campione svolta in Puglia nel corso del 2008

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su 393 operatori, è emerso che 1 operatore su 4 non conosceva correttamente i rischi di contaminazione connessi all’assistenza sanitaria.

Il decreto legislativo 81/2008 individua nella vac- cinazione del lavoratore uno strumento cardine della prevenzione del rischio biologico e conferisce al me- dico competente la responsabilità della proposta e della somministrazione dei vaccini. Gli obiettivi del d.lgs. 81/2008 rispondono a due fondamentali esigen- ze: la protezione del soggetto dagli agenti infettivi pre- senti nella propria pratica lavorativa e la tutela della collettività che fruisce di servizi o prodotti di tali attivi- tà professionali. In adempimento a tali obiettivi, il Pia- no Nazionale Vaccini 2005-2007 raccomanda l’offerta a tutti gli operatori sanitari delle vaccinazioni anti-epa- tite B e anti-influenzale e agli operatori suscettibili delle vaccinazioni anti-varicella e anti-morbillo-paroti- te-rosolia. Tuttavia anche in questo caso l’adesione alla pratica di prevenzione risulta insufficiente, anche per una non efficace performance nella promozione delle vaccinazioni da parte dei medici competenti. In una survey condotta in Puglia nel corso del 2008 in un campione di 302 operatori sanitari, è emerso che il 54,5% aveva ricevuto la vaccinazione anti-epatite B e il 32,7% la vaccinazione anti-influenzale nella sta- gione 2007/08. Il 4,6% del campione risultava suscet- tibile alla varicella e il 2,6% aveva ricevuto la vaccina- zione. Il 9,3% del campione risultava suscettibile a morbillo o a parotite o a rosolia e il 5,9% aveva ricevu- to la vaccinazione. La vaccinazione era stata esegui- ta su proposta del medico competente nel 54,5% dei vaccinati contro l’epatite B, nel 32,7% dei vaccinati contro l’influenza, nel 9% dei vaccinati contro la vari- cella e nel 17,4% dei vaccinati contro morbillo-paroti- te-rosolia. Sempre in Puglia, nel corso del 2008, è stato documentato un caso di infezione professiona- le da morbillo in una infermiera di 39 anni in servizio presso una U.O. di Pediatria, mai precedentemente immunizzata per la malattia.

La prevenzione della tubercolosi negli operatori sanitari ha rappresentato un impegno importante per il Servizio Sanitario Nazionale italiano molti anni pri- ma dell’introduzione della normativa riguardante l’igiene e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Dal 1970 risulta infatti vigente l’obbligo di sottoporre, prima dell’assun- zione, gli operatori sanitari a screening mediante in- tradermoreazione secondo Mantoux e di vaccinare con il vaccino BCG i soggetti cutinegativi. In considera- zione delle nuove evidenze epidemiologiche e clini- che, con D.P.R. 7 novembre 2001, l’indicazione alla vaccinazione con BCG è stata limitata a coloro che, con test tubercolinico negativo, si trovino ad operare in ambienti ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti o che non possano, in caso di cuticonversione, essere sottoposti a terapia farmaco- logica preventiva per la presenza di controindicazioni cliniche all’uso dei farmaci specifici. L’entrata in vigo- re del decreto legislativo 626/94 ha attribuito al medi-

co competente aziendale le responsabilità relative alla sorveglianza e alla prevenzione della tubercolosi ne- gli operatori sanitari. Un’indagine svolta in Puglia in- dica che l’80% degli operatori sanitari è stato sotto- posto a screening con Mantoux e che il 60,6% dei cutinegativi era stato vaccinato con BCG.

La legionellosi rappresenta un ulteriore rischio occupazionale emergente: un’indagine multicentrica svolta in Italia nel 2008 ha stimato che il 28,5% degli operatori sanitari presentava anticorpi anti-legionella, con maggiore prevalenza di sierotipi di Legionella Pneu-

mophila 7-14.

Per quanto concerne i danni da esposizione ac- cidentale a sangue, si stima che ogni anno avvengano circa 50.000 esposizioni mucocutanee e percutanee. L’analisi retrospettiva dei dati SEIEVA ha consentito di evidenziare una progressiva riduzione dell’incidenza dell’epatite B negli operatori sanitari in Italia negli ulti- mi 15 anni, a fronte di un aumento dell’incidenza del- l’epatite C.

Una survey svolta in Piemonte che ha preso in considerazione 5174 infortuni da iniezione accidentale e 1724 esposizioni mucocutanee ha evidenziato un aumentato rischio rispettivamente per i chirurghi e le ostetriche. Lo studio ha sottolineato come la mancata adesione a protocolli di corretta gestione di dispositivi medici (siringhe, aghi ecc) e chirurgici (punti di sutura) possa rappresentare un importante determinante per l’esposizione.

Gli esempi forniti evidenziano come la corretta gestione del rischio occupazionale degli operatori sa- nitari rappresenti un processo complesso che coinvol- ge diverse professionalità (medico del lavoro, infettivo- logo, responsabile del Servizio di Prevenzione e Prote- zione ecc) e che richiede una forte azione di coordina- mento e di sintesi da parte del medico igienista nel suo ruolo di direzione medica di presidio ospedaliero o di dirigente di distretto socio-sanitario, per le attività di assistenza socio-sanitaria primaria. Le norme di buo- na prassi igienica e le indicazioni all’utilizzo di DPI non possono essere concepite come un universo parallelo ai protocolli e alle procedure che garantiscono la qua- lità dell’assistenza sanitaria né ai sistemi di risk ma-

nagement, ma devono essere con essi reciprocamen-

te funzionali e fortemente integrati.

Al medico igienista spetta dunque il compito di realizzare la complessa sintesi tra “una moderna cul- tura del lavoro, che ponga la persona al centro del sistema dei rapporti di produzione, che non può tolle- rare alcun compromesso sulla integrità della vita uma- na, e questo anche a costo di un incremento degli oneri e dei vincoli in capo al sistema delle imprese” (Libro Bianco sul Futuro del Modello Sociale) e la necessità di “prestare la maggiore attenzione possi- bile alla sicurezza dei pazienti attivando sistemi ba- sati su prove di efficacia per promuovere la sicurezza e la qualità dell’assistenza erogata” (WHA, Risolu- zione 55.18).

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Quella di Selye (1936) è la più antica e nota defi- nizione di stress: “una reazione non specifica del-

l’organismo a quasi ogni tipo di esposizione, stimolo

e sollecitazione”.

Seyle divideva uno stress distruttivo da uno es- senziale, positivo e vitale per la vita che chiamava “spinta

a reagire”: per lui “Lo stress è il sale della vita, una carica riferita non solo alla sfera fisica ma anche alla sfera psichica purché l’uomo impari a rilassarsi e ad entrare in rapporto più intimo, sereno con se stesso e con gli altri”. Lo stress positivo serve a “rendere la per- sona in grado di aumentare la capacità di comprensio- ne e concentrazione, di decidere con grande rapidità, di mettere i muscoli in condizione di muoversi subita- neamente (per attaccare, difendersi, fuggire), di avere a disposizione l’energia adatta ad agire, e così via”.

In altre parole, senza stress non si vive. Anzi di più: senza stress non esisterebbe il genere umano. Infatti, anche se nel linguaggio comune è diventato un termine negativo, in sé lo stress è una risposta fisiolo- gica normale e, nella storia dell’evoluzione della spe- cie e in quella individuale, positiva. L’individuo è capa- ce di reagire alle pressioni a cui è sottoposto nel breve termine, e queste possono essere considerate positi- ve: un po’ di sano stress, per es. quello dovuto ad un impegno agonistico, scaccia lo stress cattivo, dovuto

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