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3. Infermità e malattia ai fini dell‟imputabilità

3.1 Giurisprudenza e infermità

Trattando d‟infermità mentale, la giurisprudenza ha assunto negli anni un atteggiamento contrastante. La dottrina ha distinto tra un indirizzo medico e uno giuridico. Il primo si riallaccia a esigenze di tipo general - preventive, accogliendo un concetto di malattia mentale legata a un substrato organicistico. Si esclude di configurare all‟interno del concetto d‟infermità tutte quelle anomalie che non hanno un riscontro anatomico - somatico. Seguendo questo filone si può fare notare come i disturbi della personalità, più che integrare i requisiti di cui agli artt. 88 e 89 c.p., siano da ricondurre, quale “alterazione relativa alla sfera psico- intellettiva e volitiva, di natura transeunte”133, agli stati emotivi e passionali di cui all‟articolo 90 c.p.

Secondo questo indirizzo, solo una reale alterazione patologica del soggetto potrebbe giustificare una diminuzione di pena quale conseguenza della compromissione della capacità di intendere e di volere, mentre tutte le anomalie del carattere, seppur incidenti sul comportamento, non sono idonee a escluderne l‟imputabilità. Si evidenzia una chiusura nei confronti di quelle anomalie non accertabili clinicamente, portando la giurisprudenza a precisare che «in tema di imputabilità, la malattia di mente rilevante per la sua esclusione o riduzione è solo quella medico-legale, dipendente da uno stato patologico serio che comporti una degenerazione della sfera intellettiva o volitiva dell‟agente»134. Una chiave di lettura garantista che limita l‟esclusione della responsabilità a quelle situazioni che siano

131 Isabella Merzagora Betsos, Imputabilità,

http://www.jus.unitn.it/users/dinicola/criminologia/topics/materiale/dispensa_4.pdf

132 Sentenza Cassazione sez. uni. 9163 del 2005:” nella prospettazione codicistica, il termine infermità deve intendersi, in effetti, assunto secondo una accezione più ampia di quello di malattia, e già tanto appare mettere in crisi, contrastandolo funditus, il criterio della totale sovrapponibilità dei due termini e con esso, fra l‟altro ed innanzi tutto, quello della esclusiva riconducibilità della “infermità” alle sole manifestazioni morbose aventi basi anatomiche e substrato organico, o, come altra volta è stato più restrittivamente detto, come “malattia fisica del sistema nervoso centrale”“

133

Giorgio Fidelbo, Cassazione Penale, 2005, pag. 1877. 134

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scientificamente sussumibili all‟interno di paradigmi ben precisi, togliendo al giudice la possibilità di accertare, caso per caso, se il complesso delle situazioni riscontrabili nell‟imputato siano o meno idonee a diminuirne la responsabilità; questo vuol dire che neppure le anomalie che «si collegano ad uno sviluppo mentale non molto progredito, non

eliminano, né diminuiscono la capacità di rappresentazione e di autodeterminazione »135 del

singolo, non indicendo, dunque, sull‟imputabilità. Ricollegandosi a un indirizzo nosografico si toglie rilevanza a tutte quelle anomalie avente carattere dell‟indeterminatezza, sollevando notevoli critiche da parte di quell‟indirizzo giuridico che, invece, si muove partendo da presupposti diversi.

Il secondo indirizzo è quello giuridico. La giurisprudenza ha accolto, nel corso degli anni, diversi criteri con lo scopo di ampliare il concetto d‟infermità, soprattutto al fine di ricomprendere nel giudizio d‟imputabilità anche i disturbi della personalità. Il merito di questo indirizzo è, come chiarito dal Fidelbo136, quello di aver accentrato l‟attenzione sul singolo, imponendo un‟indagine particolareggiata del caso concreto, col fine di verificare la sussistenza di uno stato patologico al momento del fatto, senza dover necessariamente riconoscere nell‟imputato, ai fini della diminuzione o esclusione della responsabilità, una malattia psichiatrica in senso stretto.

Si possono distinguere tre diversi criteri adottati dalla giurisprudenza: quello della patologicità del disturbo, quello dell‟intensità del disturbo o valore di malattia e del nesso eziologico intercorrente tra infermità e la commissione del reato137.

Il primo criterio riconosce al disturbo psichico rilievo scusante, purché lo stesso sia, ancorché non inquadrabile nosograficamente, tale da determinare un vero e proprio stato patologico. A tal fine, anche le c.d. reazioni a corto circuito, in talune occasioni, assumono un certo interesse ai fini dell‟imputabilità, proprio in quanto frutto di una malattia, «incidendo soprattutto sull‟attitudine della persona a determinarsi in modo autonomo, con possibilità di optare per la condotta adatta al motivo più ragionevole e di resistere, quindi, agli stimoli degli avvenimenti esterni»138. Non assumono alcun rilievo, quindi, qualora si manifestino quale semplice effetto di un disturbo di tipo nevrotico o psicotico, tant‟è che, «in materia di

135

Cass. Sez. III 25.03.2003 Simone, in Ced. Cass., rv 225231, vedi anche sez. V, 19 novembre 1997, Paesani, ivi, n. 209681.

136 Ivi, pag. 1878. 137

Sul punto, ibidem. 138

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imputabilità, la capacità di intendere e di volere può ritenersi esclusa o gravemente diminuita solo in presenza di una infermità mentale che sia conseguenza di un‟alterazione patologica insediatasi nel soggetto, anche non stabilmente; pertanto, non rientrano nella categoria di infermità mentale le[…] c.d. «reazioni a corto circuito», connesse a turbamenti psichici di tipo transitorio e a semplici spinte emotive o passionali»139.

Il secondo criterio adottato dalla giurisprudenza di legittimità si concentra sull‟intensità del disturbo, e in particolare sulla capacità della patologia d‟alterare i «processi volitivi o intellettivi»140. Questa nuova propensione ha permesso di prendere in considerazione anche quelle anomalie psichiche che, seppur non classificabili nosograficamente, siano in grado di portare, vista l‟intensità, a una diminuzione della capacità di intendere e di volere. A tal proposito la Cassazione ha sottolineato come «gli art. 88 e 89 c.p.-[…] postulano l‟esistenza di una vera e propria malattia mentale,[…]oppure di anomalie psichiche che, seppur non classificabili secondo precisi schemi nosografici, perché sprovviste di una sicura base organica, siano tali, per la loro intensità, da escludere totalmente o scemare grandemente la capacità di intendere e di volere del colpevole;»141. La Cassazione ha operato partendo dal presupposto che la nozione d‟infermità sia più ampia di quella di malattia mentale, dovendosene ammettere nella prima l‟inclusione delle malattie psichiche sprovviste di una base organica accertata. Questo a condizione che si manifestino con un grado d‟intensità tale «da escludere o scemare grandemente la capacità di intendere e di volere». Precisa, a tal proposito, come «una condizione di perturbamento psichico transitoria, di natura non patologica, non essendo destinata a incidere sulla capacità di intendere e di volere, non è in grado di compromettere l‟imputabilità dell‟imputato». Su queste basi, la Cassazione, ha escluso che una sindrome ansioso depressiva, di natura non patologica, sia sufficiente a compromettere l‟imputabilità del soggetto, poiché non adeguata «ad incidere sulla capacità di intendere e di volere»142.

Altre sentenze fanno riferimento al valore di malattia, ossia a quelle situazioni idonee a incidere sulla capacità di intendere e di volere, indipendentemente dalla loro qualificazione clinica. Protagonisti di questo nuovo orientamento i soggetti affetti da nevrosi e psicopatie. Infatti «il concetto di infermità mentale recepito dal nostro codice penale è più ampio rispetto

139 Vedi sen. Cass., sez. VI, 01.03.2004, Martelli, in ced cass., 229136 140 Fidelbo, ivi, pagg.1878-1879

141

cass., sez. VI, 12.03.2003 Moranziol, in Ced Cass. Rv. 226006 142

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a quello di malattia mentale, di guisa che, non essendo tutte le malattie di mente inquadrate nella classificazione scientifica delle infermità, nella categoria dei malati di mente potrebbero rientrare anche dei soggetti affetti da nevrosi e psicopatie, nel caso che queste si manifestino con elevato grado di intensità e con forme più complesse tanto da integrare gli estremi di una vera e propria psicosi»143.

La sentenza di cui sopra pone in essere un confronto tra la psicosi, malattia generalmente intesa come tale, e il disturbo della personalità: «quanto più il disturbo della personalità si avvicina alla psicosi tanto più elevato è il suo grado di gravità e, di conseguenza, attraverso un processo di assimilazione la giurisprudenza è disposta a riconoscere rilievo alle nevrosi e alle psicopatie»144.

Si assiste a un ampliamento del concetto d‟infermità mentale che, indipendentemente dal criterio utilizzato dalla giurisprudenza, mostra una costante ricerca di un rapporto tra il disturbo psichico e l‟azione dell‟imputato. In tal senso, si riscontra già in risalenti sentenze della Corte di Cassazione una particolare attenzione nei confronti di quelle abnormità psichiche che, seppur non designate come malattia in senso medico-legale, abbiano, in concreto, quei requisiti atti a evidenziare il valore di malattie delle stesse, tenuto conto delle modalità di realizzazione dell‟azione delittuosa. Seppur consci dell‟impossibilità di inquadrare i cc.dd. abnormi psichici ( nevrotici e psicotici), all‟interno della categoria dei malati di mente, si è rilevato come non sia da escludere che a tali infermità possa «essere riconosciuto valore di malattia, tenuto conto dell‟effettivo rapporto tra il tipo di abnormità psichica effettivamente riscontrata nel singolo soggetto ed il determinismo dell‟azione delittuosa da lui commessa». È quindi indispensabile procedere, nella valutazione del singolo, attraverso un‟analisi che sia volta a verificare se quell‟infermità abbia avuto un ruolo motivante rispetto al fatto commesso e stabilire « se la stessa sia tale da far fondatamente ritenere che quel soggetto, in relazione al fatto compiuto, o non fosse proprio in grado di rendersi conto della illiceità del fatto e di comportarsi in conformità a questa consapevolezza

[…], ovvero se avesse al riguardo una capacità grandemente scemata»145

.

143 Cass. Sez. I, 09.04.2003, De Nardo, In Ced Cass. Rv. 224809

144 Fidelbo, ivi, pag. 1879; in tal senso si vedano anche ss. Sez I, 12.04.2002 , Bilancia; sez. I, 26.04.2000, Ferrari sul disturbo borderline

145 Cass. sez. I, 25.02.1986, Ragno, Giust. Pen., 1987 p. 387; di recente sez. I, 09.04.2003, De Nardo, in CED, Cass., n. 224809 «[…]è[…] necessario accertare l‟esistenza di un effettivo rapporto tra il complesso delle anomalie psichiche effettivamente riscontrate nel singolo soggetto e il determinismo dell‟azione delittuosa da lui commessa[…]»

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La giurisprudenza di merito ha prestato al tema dei disturbi della personalità un‟attenzione maggiore rispetto alla giurisprudenza di legittimità, risultando più propensa a riconoscere la loro capacità di incidere sull‟imputabilità. In una recente sentenza, il tribunale di Milano, si è servito delle classificazioni presenti nel DSM-IV per dar rilievo a un disturbo di cui l‟imputato era affetto. Nello specifico si era di fronte a un omicida che, dopo aver ucciso la fidanzata, ne aveva dissezionato il corpo. I periti accertarono nell‟imputato la presenza di un disturbo della personalità di tipo narcisistico - schizotipo, non rientrante nel concetto di malattia psichica. In questo caso si riscontrò un vizio parziale di mente, poiché in presenza di un disturbo avente un‟intensità tale da alterare i meccanismi intellettivi, sussistendo, inoltre, un nesso specifico tra il reato commesso e l‟anomalia riscontrata nell‟imputato: «[…]al momento dei fatti Ruggero Jucker ha agito con una reazione aggressive ad una situazione di ansia e di frustrazione non contenuta in quanto collegata al disturbo della personalità che è in lui riconoscibile. A tale disturbo e alla condotta etero distruttiva conseguente può essere attribuito un valore significativo in tema di imputabilità sia perché connotati da elementi che li rendono intensi (frattura evidente rispetto allo stile di vita precedente, sproporzione netta tra avvenimenti causali da un lato e tipo della risposta dall‟altro, presenza di disturbi dispercettivi) sia perché specificamente correlati al delitto commesso»146.

La giurisprudenza di merito si è altrove concentrata sulla valutazione giuridica del disturbo di personalità, asserendo che «per stabilire la rilevanza sull‟imputabilità del disturbo di personalità, sul quale si è inserito un discontrollo episodico […] è necessario anzitutto accertare se la sintomatologia riscontrata sia indicativa solo di particolari note del carattere o di semplici disturbi della sfera neurovegetativa, senza alcun apprezzabile riflesso sulla capacità intellettiva e volitiva del soggetto, ovvero derivi da un‟alterazione della psiche di carattere patologico, per quanto momentanea»147. La Corte continua sostenendo che «per potersi affermare la sussistenza di uno scompenso patologico momentaneo, occorrono quanto meno due componenti: elementi clinici (ovviamente documentati) ed una comprensibile psicologia dell‟atto ( nel senso di una non comprensibilità della condotta rispetto allo stile di

146

Trib. Milano 24.10.2003, Jucker, in riv. It. Med. Leg., 2004, p. 469 ss. 147

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vita del soggetto)». Si accosta al criterio diagnostico quello valutativo, che permette di allargare l‟accezione di malattia psichica148

.

Emerge una presa di posizione della giurisprudenza a favore di un concetto ampio di malattia mentale, tale da indurre il giudice, nella valutazione del vizio di mente, a constatare, volta per volta, se vi siano o meno i presupposti per l‟applicazione degli articoli 88 e 89 c.p.. Una valutazione in concreto che non deve essere condizionata dalle classificazioni scientifiche enunciate in astratto, ma che deve essere condotta attraverso uno studio dei dati

clinici e comportamentali «rilevatori dell‟asserito quadro morboso»149

.

Nonostante le decisioni testé trattate abbiano permesso, in parte, di superare i limiti concettuali in tema di imputabilità, è da precisare come, in effetti, non si sia di fronte a un indirizzo univoco e incontestato. Decisioni recenti della giurisprudenza di merito non hanno riconosciuto ai disturbi della personalità importanza alcuna, ai fini della capacità di intendere e di volere150.

Prima di analizzare il punto d‟arrivo della giurisprudenza di legittimità in tema d‟imputabilità, appare opportuno mettere in evidenza la questione di legittimità costituzionale degli artt. 85, 88, 89 e 90 c.p. in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Ancona nel 2003. Il giudice di merito, soffermandosi sul mancato rilievo delle infermità psichiche minori, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale poiché gli articoli in esame «presuppongono una nozione di infermità, nella specie psichica, superata dalle nuove acquisizioni della scienza ed in quanto tale, non utilizzabile in alcun modo, e pertanto contrastanti con il criterio di ragionevolezza di cui all‟art. 3 Cost., nonché in quanto, utilizzando una nozione di infermità come sopra descritta, precludono al giudice il potere - dovere della motivazione dei suoi provvedimenti giurisdizionali, poiché l‟iter logico di tale argomentazione sarebbe irrimediabilmente inficiato dalla incongruità della nozione di infermità comunemente utilizzata»151. Il giudice mostra come la normativa codicistica sia ormai obsoleta, assurgendo a vero e proprio ostacolo nel giudizio d‟imputabilità del giudice, il quale, obbligato ad applicare la norma penale, si vedrebbe costretto a giudicare un imputato senza la dovuta razionalità che un giudizio privo di siffatti schemi normativi implicherebbe.

148 cfr. Ass. Padova, 10.04.2001, Molon.

149 Tribunale di Piacenza, 31.05.2002, n. 769, Bussi, in Riv. Penale 2004 pag. 561. 150

Vedi Ass. Foggia, 09.02.2000, Botticelli, in riv. It. Med. Leg., 2002, p. 896. 151

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La questione, seppur interessante, è stata dichiarata manifestamente inammissibile sotto il profilo della rilevanza in quanto il rimettente «[…]formula il quesito di costituzionalità prima ancora di aver accertato se l‟imputato fosse concretamente affetto, al momento del fatto, da un qualche disturbo mentale: e - più in particolare - prima ancora di aver stabilito se l‟imputato fosse affetto da un tipo di disturbo a fronte del quale venga effettivamente in rilievo la razionalità del vigente trattamento penalistico del vizio di mente, nei termini denunciati»152.