3. L‟autore di reati, socialmente pericoloso
3.2 La pericolosità sociale alla luce della Corte Costituzionale
L‟avvento della Costituzione repubblicana e l‟entrata in funzione della Corte Costituzionale hanno posto le premesse per il superamento della previsione di ipotesi di presunzione di pericolosità. Inizia a ricercarsi la funzionalità dell‟organo giudiziario nell‟applicazione della misura di sicurezza. La magistratura vede poco a poco accrescere la
80 Unica eccezione era quella della procedura straordinaria di cessazione della misura con decreto del Ministro della giustizia.
81 Pelissero, op. cit., pag. 34. 82 Ibidem.
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M.T. Collica, La crisi del concetto di autore non imputabile “pericoloso”, in Diritto Penale Contemporaneo, pag. 4.
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propria discrezionalità in materia, potendo decidere, a seconda dei casi, quale misura di sicurezza applicare e per quanto tempo. All‟astrattezza della formulazione legislativa, che prevede l‟applicazione della misura di sicurezza nei confronti del reo pericoloso, si accosta la discrezionalità del giudice che deve, sulla base degli elementi indizianti, decidere quale misura di sicurezza applicare al caso concreto84.
Il punto nodale di tale meccanismo, della cosiddetta delega in bianco all‟organo giudiziario, è dato dalla legge n. 180/1978 che ha abolito la legge del 14.02.1904 n.3685. Quest‟ultima prevedeva il ricovero coatto nei manicomi dei soggetti pericolosi, ossia di quei singoli che presentassero caratteristiche tali da rappresentare un danno per sé e per gli altri. I criteri adottati per internare gli alienati erano tipizzati dal legislatore; non vi era possibilità alcuna per il giudice di scegliere se irrogare o meno quella misura restrittiva della libertà in ragione della effettiva pericolosità.
La legge n. 180/1978 è il punto d‟inizio di una nuova stagione giudiziaria: non si parla più di trattamento sanitario obbligatorio del reo “pericoloso”, ma di trattamento sanitario obbligatorio a “tutela della salute pubblica”86
. La novella legislativa si muove lungo quella linea innovativa che prende le mosse dalla sentenza della C. Cost. del 12.01.71 n.1, che dichiarò l‟illegittimità costituzionale della presunzione di pericolosità dell‟articolo 224, comma 2 c.p. nella parte in cui rendeva automatico e obbligatorio l‟internamento dei minori di anni quattordici in riformatorio per almeno tre anni. Il caso aveva a oggetto un matricidio perpetrato dal giovane Michele Pallanca87 che, a seguito di uno scatto d‟ira, aveva inferto alla madre un colpo, con un coltellino, alla regione inguinale. Il giudice di sorveglianza del tribunale di Genova aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell‟articolo 224, comma 2 c.p. in relazione agli articoli 27, 30 e 31 della Costituzione. La Corte ritenne la questione non manifestamente infondata, ma non con riferimento agli articoli summenzionati, quanto all‟articolo 3, comma 1 della Costituzione, tant‟è che la Corte si preoccupò di evidenziare che «[…]è pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte che l‟art. 3 risulta
84 Pelissero, op. cit., pag. 35 «Questa evoluzione rifletteva il generale clima politico-criminale che a partire dalla metà degli anni settanta aveva iniziato a connotare gli interventi del legislatore sul sistema sanzionatorio nella direzione di attenuare l‟eccessiva severità dell‟originario impianto del codice Rocco, estendendo i poteri discrezionali dell‟autorità giudiziaria nella determinazione in concreto della sanzione e aprendo l‟ordinamento penitenziario alle misure alternative».
85 Vedi meglio infra, cap. III, sez.3.3.3. 86
Infra, cap. III, sez. 3.3.2. 87
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violato non soltanto quando situazioni identiche vengono disciplinate in modo difforme dalla legge, bensì anche quando situazioni difformi vengono disciplinate in modo eguale»88. La Corte sostiene che «non v‟è dubbio che la severa misura di sicurezza sia obbligatoriamente comminata sul presupposto della pericolosità sociale del minore. Sennonché, la presunzione di pericolosità, che negli altri casi previsti dal codice si basa sull’id quod plerumque accidit, non ha fondamento allorché si tratti della non imputabilità del minore di anni quattordici: ché, al contrario, può ben dirsi che qui, data la giovanissima età del soggetto, la pericolosità rappresenti l‟eccezione, per cui l‟obbligatorietà ed automaticità del ricovero in riformatorio giudiziario non ha giustificazione alcuna. La disposizione, dunque, va dichiarata illegittima per quanto concerne i minori degli anni quattordici»89.
Altri timidi interventi si ebbero dopo la legge 180/1978, sempre in tema d‟infermità mentale e pericolosità. Si tratta delle sentenze nn. 139 e 249, rispettivamente del 1982 e del 198390. La prima sentenza ha affermato la «irragionevolezza della presunzione assoluta di persistenza della infermità psichica accertata rispetto all‟epoca del fatto, presunzione implicita nell‟articolo 222 c.p., e che non poggia su dati di esperienza suscettibili di generalizzazione »91. La Corte evidenzia altresì che è stato scientificamente accertato che la pericolosità sociale del reo, nonostante la persistenza della malattia mentale, può venir meno, evidenziandosi così l‟irragionevolezza della presunzione di pericolosità del singolo. Infatti, «la disposizione dell‟art. 222. Cod. pen., peraltro, prescinde dalla “attualizzazione” del giudizio di infermità mentale, guardando esclusivamente al momento del fatto. […]Indurre a distanza di tempo imprecisata, lo stato di salute mentale attuale da quello del tempo del commesso delitto, è questione di fatto che può e deve essere verificata caso per caso»92.
Sulla stessa lunghezza d‟onda si pone la sentenza del‟83, in relazione all‟articolo 219 commi 1 e 2 c.p.,«[…]nella parte in cui non subordina il provvedimento di ricovero in una
88 Sentenza 12.01.71, in giur. Cost. 1971, pag. 8.
89 Ivi, pag. 9. Interessante quanto asserito nelle note alla sentenza da Vassalli, a pag. 3: « questa sentenza n. 1 del 1971 […] è molto interessante[…]. Essa investe sia l‟aspetto giuridico-costituzionale in senso stretto, con riferimento al principio di uguaglianza, sia la sostanza stessa dell‟istituto della pericolosità del minore, sia – infine- pur respingendo i profili di incostituzionalità posti in luce dall‟ordinanza, la natura eccezionalmente punitiva del riformatorio giudiziario, quanto meno nei casi in cui esso è applicato alle creature di più tenera età». 90 Infra, cap. III, sez. 3.3.3.
91 C. Cost., 27.07.82, n.139 , in riv. it. dir. proc. pen., 1982, p. 1584, con nota di Musco, Variazioni minime in tema di pericolosità presunta, che si preoccupa di rilevare, a pag. 1586, che «[…]la decisione della Corte di dichiarare la illegittimità costituzionale della presunzione di pericolosità dell‟art. 222 c.p. non può che essere accolta con soddisfazione perché elimina finalmente una delle più incivili anomalie della disciplina delle misure di sicurezza».
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casa di cura e di custodia dell‟imputato condannato ad una pena diminuita per cagione di infermità psichica per un delitto per il quale è stabilità dalla legge la pena dell‟ergastolo o della reclusione non inferiore nel minino a dieci anni, al previo accertamento da parte del giudice della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità medesima, al tempo dell‟applicazione della misura di sicurezza».
La disposizione sopraindicata, infatti, è irragionevole, a parere della Corte, per due ordini di motivi: innanzitutto per il fatto che la positiva evoluzione della malattia è solitamente maggiore nei casi di minore gravità della stessa, e poi in quanto nel caso di seminfermità mentale, di solito, trascorre un maggior tempo tra la sentenza e l‟esecuzione della misura di sicurezza, essendo questa eseguita dopo la pena.
Così facendo la Corte è riuscita a superare la presunzione di persistenza della malattia mentale al momento dell‟applicazione della misura, ma non quella relativa alla pericolosità dello stesso, rimanendo, quindi, «inalterato l‟erroneo convincimento per cui il malato di mente doveva ritenersi un soggetto che, a causa del suo stato, è più incline del sano a commettere reati, nonostante ciò fosse già smentito dalle ricerche psichiatriche e
criminologiche del tempo ed in contrasto con i principi di cui alle leggi n. 180 e n. 83393 del
78»94.
Su questo crinale, la giurisprudenza di merito inizia a pronunziare le prime sentenze. In tal direzione, si muove il Pretore di Legnano con la sentenza del 21.05.1983. Nel caso di specie, Beretta Armano, già ricoverato per lunghi anni nell‟ospedale psichiatrico Ugo Cerletti di Parabiago, aveva posto in essere atti di danneggiamento ai danni dell‟edificio di cui sopra, considerandolo casa propria. A seguito di mandato di comparizione, rimasto inattuato per mancata presentazione del Beretta, era stato emesso decreto di applicazione provvisoria della misura di sicurezza in manicomio giudiziario. Ivi, perizie psichiatriche, accertarono come «il Beretta non è attualmente socialmente pericoloso» facendo presente che «il ricovero in manicomio giudiziario costituirebbe, in sostanza, una ulteriore violenza sulla psiche dello sventurato». Il pretore, coerentemente con l‟assetto giuridico configuratosi in quel periodo storico a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 1982, dichiarò che la pericolosità sociale debba sussistere al momento dell‟applicazione della misura, ed essa debba essere intesa come «probabilità che vengano commessi nuovi reati che pongano in pericolo le
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Legge 23.12.1978, n. 833, Istituzione del servizio sanitario nazionale. 94
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esigenze di sicurezza della collettività, e non soltanto i fatti, pur astrattamente preveduti dalla legge come reato, che causino fastidio alla collettività». Per tal ragione, il Pretore di Legnano stabilì che: «poiché, a seguito della sentenza n. 139/82 della Corte costituzionale, la pericolosità sociale deve intendersi restrittivamente come probabilità che il soggetto commetta nuovi reati che pongano in pericolo le esigenze di sicurezza della collettività, va esclusa l‟applicazione della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario nei confronti di persona prosciolta per infermità psichica […], quando risulti probabile che la persona medesima commetta solo reati della stessa natura di quelli già commessi»95.