4. Fatti e presupposti della Sentenza Raso
4.1 La sentenza Raso
La Corte parte dalla nozione di „infermità‟, imponendone una interpretazione ampliativa e adeguatrice, alla luce delle ultime acquisizioni della scienza psicopatologica, giungendo al seguente principio di diritto: «[…]ai sensi dell‟articolo 173.3 disp. Att. C.p.p.: ai fini del riconoscimento del vizio parziale o totale di mente, rientrano nel concetto di “infermità” anche i “gravi disturbi della personalità”, a condizione che il giudice ne accerti la gravità e l‟intensità, tali da escludere o scemare grandemente la capacità di intendere o di volere, e il nesso eziologico con la specifica azione criminosa».
Si mostra un‟attenzione considerevole agli orientamenti moderni della scienza psicopatologica e penalistica, ponendo l‟accento sulla necessità di affiancare alla diagnosi clinica un‟indagine precipua sul singolo, tale da accertare se il disturbo abbia o meno inciso sulla capacità di intendere e di volere. Se ne deve dedurre (come precisato sopra) che il concetto d‟infermità sia più ampio di quello di malattia mentale o psichiatrica, senza dover, necessariamente, tener conto di quelle patologie di origine organica ai fini dell‟applicazione degli articoli 88 e 89 c.p.
Quanto esposto, oltre a destare un certo beneplacito, data la risoluzione di un contrasto dottrinale senza eguali, si riallaccia con gli orientamenti classificatori dei moderni manuali diagnostici, in particolare il DSM163. Alla luce delle classificazioni per sindromi e non per cause vi è una compatibilità con la spiegazione multifattoriale del disturbo psichico, dando ai disturbi della personalità un ruolo senza precedenti. Le Sezioni Unite ritengono, a tal proposito, che fra le cause che possono incidere sull‟imputabilità debbano includersi le nevrosi, le psicopatie e i disturbi di personalità.
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L‟imputato denunziava, in particolare, che la sentenza non avesse tenuto conto delle consulenze e perizie che avevano parlato di seminfermità.
162 Infatti si rilevava che nella giurisprudenza della Suprema Corte erano da tempo sorti contrasti in ordine al concetto di infermità, determinate dal difficile rapporto tra giustizia penale e scienza psichiatrica.
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A questo punto sembra ovvio porsi il seguente interrogativo: che grado di affidabilità bisogna dare al DSM164? Infatti, come sostenuto da parte della psichiatria, il DSM è
incompatibile con la psicopatologia classica, presentando un riduzionismo165estremo. Il DSM,
in sintesi, pone sullo stesso piano tutte le diagnosi, introducendo, attraverso il concetto di comorbidità166, la possibilità di formulare accertamenti differenti sullo stesso soggetto167.
Come sostenuto da Giacobini168, si rimprovera al DSM di aver «ridotto la nosografia
psichiatrica a un inventario rapsodico di quadri clinici privi di un‟autentica giustificazione epistemologica» .
Queste critiche hanno sollevato seri dubbi di certezza anche nella psicopatologia forense, incentivando quanti si son mostrati d‟accordo con un ritorno alla psicopatologia classica che dava più certezze in merito169.
In risposta alle critiche dottrinali, possiamo mettere in evidenza come la Corte abbia cercato di dar maggior concretezza all‟accertamento dei disturbi in esame, attraverso un ragionamento che val la pena di rimarcare.
Anzitutto la corte chiarisce che l‟imputabilità è “capacità di colpevolezza”170
, accogliendone un‟interpretazione già sostenuta dalla dottrina171
, dicendo a proposito dei disturbi della personalità che «[…]possono acquisire rilevanza solo ove siano di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla capacità di intendere e di volere[…]», ritenendo «[…] necessario che tra il disturbo mentale ed il fatto di reato sussista un nesso eziologico, che consenta di ritenere il secondo causalmente determinato dal primo».
164 Sul punto Bertolino, L‟infermità mentale al vaglio delle Sezioni Unite, in Dir. Proc. Pen. 2005, p. 853. 165 Vedi a proposito Giacobini, Psicopatologia classica, e DSM: un dilemma epistemologico, clinico e didattico per la psichiatria contemporanea, in www.istpsico.it:”[...] il DSM non sia affatto immune da ogni presupposto teoretico, anche se la sua posizione epistemologica corrisponde a quella del riduzionismo più estremo, rappresentato del funzionalismo operazionistico radicale” .
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Ossia a quella sovrapposizione e influenza reciproca di patologie fisiche o psichiche in un soggetto. 167 Bertolino, L'infermità, op. cit., pag. 855
168 Giacobini, op. cit.
169 Infatti, il nodo problematico si coglie nel momento in cui si parta all‟accertamento del disturbo, data la mancanza di previsioni standardizzate capaci di rendere il compito del perito e la decisione del giudice quantomeno certe.
170 Per meglio precisare si veda Collica, in Riv. It. Dir. Proc. Pen. 2005, pp. 431-432:”[…], poiché in base alla finalità retributiva, la pena ha come scopo quello di compensare il male commesso, ha un senso riferirla solo a chi ha scelto di delinquere in “piena libertà”; nello stesso tempo, se la funzione di prevenzione generale serve a distogliere i consociati dal commettere nuovi reati, è logico presupporre nei destinatari della norma la capacità di comprenderne la minaccia; infine, poiché la prevenzione speciale mira alla rieducazione del condannato, occorre a monte verificare la possibilità del reo di percepire il significato della pena, che altrimenti vivrebbe come ingiusta. Va da sé, pertanto, che l‟imputabilità diventi presupposto indefettibile della responsabilità penale” . 171
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Deve dunque trattarsi di un disturbo avente un‟incidenza tale da rendere l‟agente non sottoponibile alla manna penale, data l‟impossibilità dello stesso di percepire la gravità dei suoi atti.
La sentenza è un punto d‟approdo di un lungo processo iniziato con la stesura stessa del codice Rocco. Si può finalmente sostenere l‟esistenza, anche nel nostro ordinamento, di una chiave di lettura maggiormente ancorata alla personalità dell‟autore di reato, giungendo a un «modello aperto dei disturbi psichici rilevanti»172 , in uniformità con gli altri stati comunitari173.
Tuttavia, nonostante le Sezioni Unite della Cassazione siano riuscite a porre fine ai contrasti dottrinali in materia d‟imputabilità, il problema di fondo resta. Dalla sentenza non è emerso alcun parametro capace di risolvere le difficoltà riscontrate dal giudice nel valutare le anomalie psichiche. L‟individuazione di criteri specifici, non astratti, per ciascuna categoria di disturbo potrebbe apparire come la miglior soluzione volta a pervenire a un giudizio oggettivo e condivisibile. A tal proposito se ne potrebbe imporre l‟inserimento nel DSM, così da fornire delle linee guida idonee a indirizzare il giudizio d‟imputabilità. Ma, come già evidenziato sopra, ciò risulta pressoché impossibile, quanto aleatorio174, dato il continuo evolversi dello stesso175. È necessario allora realizzare (come precisato nel punto 16 della sentenza) un‟analisi del sofferente psichico con un‟indagine, usando le parole della Collica, «strutturale e antropo-fenomenologica della sua personalità (per passare dal “che cosa ha” al “ chi è”)
nonché con una ricostruzione in chiave criminodinamica del delitto» 176.
La stessa Corte, nella sentenza in esame, evidenzia come sia importante, non tanto la rigida classificazione dell‟anomalia psichica all‟interno di categorie nosografiche, quanto, l‟attitudine della stessa a incidere effettivamente sulla capacità di intendere e di volere del singolo.
172 Ibidem.
173 Fra i paesi che prima dell‟Italia son giunti ad una apertura in tal senso si vedano la Germania(il codice penale tedesco, dopo un elenco dettagliato di disturbi, parla di “grave anomalia psichica” ), la Spagna(che ha adottato una formula generale di infermità) e il Portogallo(che invece qualifica non imputabile chi a causa di una anomalia psichica sia incapace di comprendere le proprie azioni e di determinarsi di conseguenza); più ampiamente vedi infra, cap IV.
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La Collica evidenzia come i moderni manuali siano utili ma non sufficienti. Infatti, riprendendo le parole di Fornari, finirebbero per «patologizzare ogni comportamento umano» .
175 Non a caso il DSM preso a riferimento dalla corte è il DSM IV. Ne son stati emanati altri, dal 2005 oggi, che hanno apportato modifiche non indifferenti.
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Si deve alla sentenza il merito di aver, quantomeno, risolto gli altalenanti orientamenti giurisprudenziali in tema d‟infermità, dovendosene comunque auspicare una decisiva azione chiarificatrice del legislatore.