3. Le misure di sicurezza personali detentive, la colonia agricola e
3.2 Il riformatorio giudiziario
3.3.2 La Legge Basaglia e la Psichiatria Democratica
Con l‟incremento delle conoscenze mediche s‟iniziò a prospettare una nuova stagione per gli affetti da malattia mentale. Nel secondo dopoguerra, la concezione organicistica della malattia era ancora attuale251. La malattia psichiatrica veniva curata attraverso i metodi c.d. di choc biologico (o elettrochoc)252, consistenti nel far passare corrente elettrica nel sistema nervoso al fine di stimolarne le funzioni. Tuttavia, le terapie elettroconvulsivanti spesso si
risolvevano in un peggioramento della demenza psichiatrica253.
La situazione iniziò a mutare dalla metà degli anni cinquanta grazie all‟introduzione, per opera del Fréminville, dei cc.dd. antipsicotici neurolettici, ossia psicofarmaci capaci di agire sui neurotrasmettitori, che si sosteneva avrebbero potuto «ridurre il più in fretta possibile la sintomatologia psicotica» ricreando «rapidamente uno stato mentale soddisfacente per la reinserzione sociale[…]»254
.
249
Canosa, op. cit., pag. 160-161. 250 Ivi, pag. 162.
251 Vedi supra, cap. I, sez. 3.
252 Più chiaramente Dr. Guy Palmade, La psicoterapia, metodi e tecniche nel trattamento di nevrosi, psicosi e sindromi psicosomatiche, Edizioni mediterranee, Roma, 1981.
253 A proposito, Bozzi-Zubiani-Ferrari, Primi risultati dell‟applicazione dei metodi psicochirurgici nell‟ospedale psichiatrico di Milano, in Rivista sperimentale di freniatria e medicina legale delle alienazioni mentali, 1951, pag. 571 ss.
254
177
I risultati auspicati, tuttavia, non si realizzarono del tutto. Invero, per quel che attiene alla riduzione della sintomatologia psicotica si riuscirono ad avere effetti positivi, ma l‟uso degli psicofarmaci stordiva i pazienti, rendendo non soddisfacente il loro status mentale al fine del reinserimento sociale, contribuendo all‟aumento del numero degli internati, ma con una leggera differenza: sul finire degli anni sessanta la durata dei ricoveri divenne più breve. Le nuove tecniche terapeutiche avevano reso i folli meno pericolosi, ed iniziò, al contempo, a criticarsi l‟uso dello strumento manicomiale a fini di cura.
Nel 1962, Franco Basaglia si premurò di costituire nell‟ospedale psichiatrico di Gorizia una comunità terapeutica. Come lo stesso Basaglia ebbe a sostenere, «la comunità terapeutica tende […] alla creazione di una struttura […] nella quale ogni suo componente sia impegnato alla stimolazione dell‟altro attraverso la creazione di possibilità di rapporti interpersonali che
contemporaneamente assolvono alla necessità di protezione e tutela reciproca»255.
L‟esperienza goriziana aveva posto in luce la necessità di abbandonare l‟idea del manicomio giudiziario come istituzione totale e lontana dalla realtà sociale. Si era evidenziata l‟esigenza di far riferimento a un istituto non più segregativo, in quanto, per ovvie ragioni, non poteva essere l‟isolamento sociale a garantire la risocializzazione degli alienati, quanto, il porre gli internati in istituti immersi nella società, in modo da abituare gli internati a vivere dentro le dinamiche sociali, a garantirne il futuro reinserimento.
L‟onda innovatrice derivante dalla rivoluzione iniziata dal Basaglia non tardò a farsi sentire anche nel resto della nazione: reazioni positive si ebbero dall‟istituto manicomiale di Arezzo a quello di Trieste, i quali abbandonarono il tradizionale assetto manicomiale per abbracciare il metodo della comunità terapeutica.
Grazie soprattutto alla legge n. 431/1968, come vedremo, venne aperto il primo Centro di Igiene Mentale esterno all‟ospedale. I ricoveri coatti pensati dalla legge del 1904 iniziarono ad affievolirsi, divenendo più frequente la richiesta volontaria d‟internamento ai fini di cura.
L‟ondata rivoluzionaria determinerà la formazione di nuovi Centri di Igiene mentale nel giro di pochi anni, arrivando ad un numero complessivo di undici istituti nel 1971. La nuova stagione di rinnovamento terapeutico - psichiatrico culminò con la fondazione, da parte di Franco Basaglia, della Psichiatria Democratica nel 1973, società italiana che aveva ad oggetto il superamento della segregazione manicomiale, proponendo una nuova riforma
255
178
psichiatrica. Nel documento programmatico s‟individuano gli scopi che gli operatori psichiatrici si prefiggono di realizzare: «1) Continuare la lotta all‟esclusione […], collegandosi con tutte le forze e i movimenti che, condividendo tale analisi, agiscono concretamente per la trasformazione di questo assetto sociale, 2) Continuare la lotta al “manicomio” come luogo dove l‟esclusione trova la sua espressione paradigmatica più evidente e violenta[…]. 3) Sottolineare i pericoli del riprodursi dei meccanismi istituzionali escludenti anche nelle strutture psichiatriche extramanicomiali di qualunque tipo»256.
Nonostante l‟auspicata risoluzione del problema “manicomio giudiziario”, sul piano teorico trattamentale non si riuscì a realizzare alcunché.
A tal proposito, l‟internamento in manicomio era ancora regolato dalla legge del 1904, la quale imponeva il ricovero dei malati pericolosi o che dessero pubblico scandalo, a fini di prevenzione. Tale procedura era già stata oggetto di critica negli anni cinquanta con la proposta di legge Ceravolo dell‟17.11.1953 n. 338, la quale aveva cercato di modificare l‟idea stessa di manicomio, facendo riferimento a una struttura che dovesse adempiere a un fine di pubblico servizio, ove «tutti i malati di mente di qualsiasi gravità, pericolosi e non, non suscettibili di cure né di assistenza al di fuori dell‟ospedale psichiatrico, avrebbero dovuto essere ricoverati»257.
Tuttavia, la proposta non venne accettata e solo con la l.n. 431/1968, si riuscì a modificare l‟impianto normativo imposto da Giolitti nel 1904. La legge prevedeva, come accennato, la possibilità del ricovero volontario e l‟abolizione dell‟obbligo di annotazione nel casellario giudiziale dei provvedimenti di ricovero in manicomio a opera del giudice. Nello stesso anno la Corte costituzionale dichiarò « l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, della legge 14 febbraio 1904, n. 36, sui manicomi e gli alienati, limitatamente alla parte in cui non permette la difesa dell'infermo nel procedimento che si svolge innanzi al Tribunale ai fini della emanazione del decreto di ricovero definitivo» e «l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, della stessa legge, limitatamente alla parte in cui dispone che l'autorità di pubblica sicurezza, quando ordina il ricovero provvisorio, può riferire
al procuratore della Repubblica in un termine superiore alle quarantotto ore»258,
256 AA.VV., Atti del I convegno nazionale di Psichiatria Democratica, La pratica della follia, Ed. critica della istituzioni, Venezia 1975, pag. 320..
257
Canosa, op. cit., pag. 178. 258
179
accentuandosi, in questo modo, il carattere afflittivo della misura di sicurezza del manicomio giudiziario nonché la necessità di porvi rimedio.
3.3.3 La riforma dell’ordinamento penitenziario, l’abolizione dei manicomi civili