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2. Imputabilità e colpevolezza

2.6 Vizio di mente

2.6.2 Vizio totale di mente

Il vizio totale di mente, come visto sopra, è tale se l‟infermità è così rilevante da escludere completamente la capacità d‟intendere e di volere del singolo. Un primo problema consiste nel valutare se, con riferimento a quelle malattie che investono solo parte della personalità, debba sussistere un rapporto tra malattia di mente e reato ai fini dell‟applicazione dell‟ art. 88 c.p. Nonostante alcuni abbiano sostenuto che la malattia incidente solo su parte della personalità escluda la responsabilità dell‟agente solo se l‟atto ne è la conseguenza91, l‟orientamento dominante propende per la soluzione più favorevole, rilevando la non imputabilità del singolo, rapportando l‟incapacità alla «condizione del soggetto al momento del fatto, e non allo specifico fatto commesso» 92.

90 F. Mantovani, Diritto penale, parte generale, Cedam, Padova, 2013 pag. 684. 91

Si veda a proposito la sentenza Cass. Sez. I del 04.02. 1952 in Giustizia Penale 1952, II, pag. 533:” bene è rigettata l‟istanza di perizia psichiatrica fondata su un‟anomalia sessuale dell‟imputato e sulla schizofrenia di cui sono affetti un nipote e una sorella di lui: invero, quest‟ultima malattia non concerne l‟imputato, mentre logicamente nessuna relazione è ravvisabile fra l‟anomalia sessuale e la capacità d‟intendere e di volere[…]”. 92

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La capacità di intendere e di volere del soggetto può escludersi anche se l‟infermità è transitoria, ammettendosene, nella prassi, la punibilità nei momenti di lucidità, sempreché essa sia tale da non essere minimamente influenzata dalla malattia.

In tal senso, con particolare riferimento all‟epilessia, si è affermata la sussistenza dell‟imputabilità nei periodi di lucidità, stabilito che l‟epilessia non è «una malattia che comporti uno stato permanente di infermità mentale nel soggetto» dovendosene ricavare che

«la incapacità di intendere e di volere è invece ravvisabile nel momento del raptus[…]»93. Si

attesta, altresì, che «l‟epilessia non deve essere considerata una patologia tale da causare una permanente deficienza psichica giacché in periodi extra-accessuali il soggetto ha piena capacità di intendere e di volere e conserva lucidità e completa consapevolezza delle proprie azioni»94.

Ulteriori precisazioni devono farsi in relazione a specifiche situazioni riscontrabili nella prassi giurisprudenziale: le insufficienze mentali dovute a fattori ambientali e sociali, non essendo tali fattori capaci di incidere significativamente sulla capacità del singolo95, devono considerarsi ininfluenti ai fini dell‟imputabilità, riscontrandosi in tal direzione un orientamento diffuso a favore della imputabilità del soggetto da parte della giurisprudenza. Lo stato di senilità presenta una complessità maggiore: generalmente si esclude che questa condizione possa incidere sulla capacità di intendere e di volere dell‟agente; tuttavia, qualora si prospettino gli estremi di una vera e propria patologia, come nel caso della demenza senile, è da ravvisarsi la sussistenza del vizio di mente in oggetto96.

Uno spazio apposito merita il tema dei reati sessuali. Occorre distinguere a seconda che si sia di fronte a reati commessi per soddisfare mere esigenze libidiche o reati commessi da soggetti con parafilie inquadrabili all‟interno di una sindrome psichica. Nel primo caso l‟atto sessuale non può essere inteso come effetto di una patologia, quanto piuttosto come una manifestazione libera della capacità di autodeterminazione dell‟agente che, quindi, non può che essere sanzionato, in conformità con le disposizioni codicistiche97.

93 Cass. Sez. VI, 26.03.1993, n. 3031, in Rivista penale 1993, pag. 1254 94 Cass. Pen. Sez. I, 16.10.1992, n. 9889, in Rivista penale 1993, pag. 1160 95 Vedi. Cass. I 10.12.84 in Rivista penale 1985, 1098

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Cass. Sez. VI, 17.01.1984, n. 460 in Rivista penale 1985, pag. 44 :«Lo stato di senilità non può considerarsi alla stregua di un‟infermità capace di produrre un turbamento patologico nel processo intellettivo o volitivo, a meno che assuma caratteristiche cliniche speciali, come la demenza senile, le forme paranoidi o altre forme morbose rilevanti ai fini dell‟infermità mentale»

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Nel secondo caso, invece, essendo di fronte a un vero e proprio disturbo psichico capace di compromettere le capacità d‟inibizione dell‟agente, la prospettiva cambia. Interessante, a proposito, il caso Luigi Chiatti: l‟imputato si era macchiato di numerosi omicidi ai danni di minori. In primo grado la corte, pur riconoscendo la presenza di disturbi della personalità, negava l‟incidenza di questi ai fini dell‟accertamento della capacità di intendere e di volere dell‟imputato. Nello specifico la corte affermava «che il nostro ordinamento non considera tra le cause di esclusione della responsabilità penale le forme di degenerazione del sentimento, per cui le psicopatologie sessuali possono avere rilievo solo se sono il sintomo[…] di uno stato patologico suscettibile di alterare la sfera intellettiva e volitiva[…]» individuando nell‟imputato non un‟incapacità quanto «anomalie che la scienza medico-legale riconduce nel vasto raggruppamento delle abnormità psichiche[...]»98.

In secondo grado, la Corte di Assise di Appello, dà un‟interpretazione diversa, riconoscendo all‟imputato un vizio parziale di mente. Si era disposta, infatti, una nuova perizia che aveva evidenziato «[...]una complessa sindrome psicopatologica, caratterizzata da un conclamato disturbo narcisistico di personalità e da una costellazione di tratti, più o meno marcati, di numerose altre abnormità psichiche, quali quelli schizoidi, paranoidi, sadici,

ossessivo-compulsivi e fobici»99. Secondo la Corte le patologie avrebbero inciso

notevolmente sulle capacità dell‟imputato, impedendo allo stesso di poter esercitare un controllo sui propri impulsi. Precisa ancora che le patologie, non solo avevano compromesso le capacità cognitive dell‟imputato, ma avevano giocato un ruolo fondamentale nella sua formazione individuale, dando vita a una personalità immatura, omopedofila e misantropica100.

Con riferimento alle reazioni a corto-circuito che, usando le parole di Padovani, sono quelle «situazioni di turbamento psichico transitorio, sfocianti in reazioni psicogene abnormi - frutto di una grave impulsività - scatenate da fatti non proporzionati alla intensità della reazione»101 se ne esclude la rilevanza ai fini della imputabilità ai sensi dell‟articolo 88 c.p., poiché scaturenti da fattori di tipo emozionale e non patologico. In tal direzione la sentenza della I sez. della Cassazione del 24.06.1992: si fa riferimento a una fattispecie di omicidio commesso da un padre ai danni del figlio. Nel caso di specie la Cassazione, partendo dai

98 Ass. Perugia 27.02.1995, in Rivista penale 1996, pag. 209. 99 Ass. App. Perugia 11.04.1996, in Rivista penale 1997, pag. 67 101

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presupposti di cui sopra, non ha escluso la responsabilità penale del reo102. Bisogna, però, constatare che non vi è uniformità di vedute: la giurisprudenza, soprattutto a seguito dell‟ampliamento della nozione di infermità mentale, ha in alcune ipotesi, tenuto conto di tali situazioni di turbamento psichico ai fini del giudizio di responsabilità., prevedendo che «le cosiddette „reazioni a corto circuito‟, anche se normalmente riferibili a stati emotivi e passionali non integranti una condizione patologica, possono tuttavia costituire, in determinate situazioni, manifestazioni di una vera e propria malattia che compromette la capacità di intendere e di volere, incidendo soprattutto sull‟attitudine della persona a

determinarsi in modo autonomo[…]»103

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Per quanto riguarda la sindrome ansioso-depressiva, la giurisprudenza della S.C. ne esclude la rilevanza, essendo inidonea a incidere sulla capacità di intendere e di volere mentre; in tema di errore di fatto, ha affermato che la relativa disciplina sia riferibile anche ai

non imputabili. A proposito, precisano gli autori Tandura–Tonion104, che «la valutazione della

possibilità di un errore penalmente rilevante deve seguire[…] criteri valutativi peculiari e sensibili alla[…] specifica condizione mentale».

L‟ordinamento prevede che al soggetto prosciolto per vizio totale di mente, qualora riconosciuto pericoloso, sia applicata la misura di sicurezza dell‟ospedale psichiatrico giudiziario. Fino a poco tempo fa si trattava dell‟unica misura di sicurezza applicabile in questi casi. Grazie alla sentenza della Corte Costituzionale 253 del 2003105 è ora possibile applicare altre misure di sicurezza parimenti idonee ad assicurare, da un lato, la neutralizzazione della pericolosità del singolo e, dall‟altro, a curarne l‟infermità mentale.

102 Cass. I 24.06.1992, in La Giustizia Penale 1993, II, pag. 13.

103 Cass. Pen. Sez. I, 17.06.1997, n. 5885 in Rivista penale 1997 pag. 960; vedi anche Ass. Belluno 1 marzo 1994 con la quale è stata esclusa l‟imputabilità dell‟imputata.

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In riferimento alla sentenza della corte Ass. Belluno del 11.06.1999, in Rivista penale 1999 , pag. 1127. 105 Sentenza n. 253 del 2003(Vedi infra, Cap. III, sez. 3.3.3): La corte costituzionale :

a) dichiara l‟illegittimità costituzionale dell‟articolo 222 del codice penale (Ricovero in un ospedale psichiatrico

giudiziario), nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in

ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell‟infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale;b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell‟art. 219, primo e terzo comma, del codice penale (Assegnazione a una

casa di cura e di custodia), sollevata, in riferimento all‟articolo 3 della Costituzione, dal Giudice dell‟udienza

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L‟intera materia, oggi, deve essere riletta alla luce della legge 81/2014 (di conversione del decreto legge 31.3.2014 n.52) 106, che esamineremo in un‟altra sede.