5 FORME, SEDI E MODALITA’ DELLA LEALE COLLABORAZIONE
5.4 Le modalità della collaborazione leale
5.4.3 Gli accordi
Venendo, infine, agli accordi, si è già anticipato come essi, nell’impostazione del d.lgs. 281/1997, abbiano carattere facoltativo e siano rivolti al coordinamento dell’esercizio delle rispettive competenze ovvero allo svolgimento di attività di interesse comune tra Governo e sistema delle Autonomie.130
La normativa in materia di accordi si rivolge, dunque, all’esercizio della funzione amministrativa.
Come si vedrà a breve, tuttavia, questo strumento, dopo l’entrata in vigore del Titolo V, è stato utilizzato anche in ambito normativo, subendo una notevole evoluzione.
Il tema di fondo che interessa gli accordi attiene alla loro vincolatività.
Il legislatore delegato del 1997, infatti, non ha previsto alcuna sanzione nel caso in cui, successivamente alla stipula, le parti adottino comportamenti o atti contrastanti con un accordo precedentemente raggiunto in sede di Conferenza.
127
(Candido, La leale collaborazione tra intese deboli e forti: una contrapposizione sbiadita, 2016, p. 1 e ss.)
128
(Candido, La leale collaborazione tra intese deboli e forti: una contrapposizione sbiadita, 2016, p. 6)
129 Sentenza Corte cost. n. 230 del 2017 con cui è stato dichiarato inammissibile – per motivi procedurali (e segnatamente per omessa impugnazione del provvedimento di autorizzazione alla costruzione dell’infrastruttura) - il conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione Puglia. Sulla vicenda TAP, nella quale il Governo ha deciso l’esatta collocazione dell’opera nel territorio regionale, in assenza di qualsivoglia intesa, in difformità da quanto affermato con la precedente sent. Corte cost. n. 101 del 2016 che aveva sottolineato la necessità dell’intesa forte ai fini della localizzazione. Al riguardo, diffusamente: (Candido, Politica energetica e (s)leale collaborazione: il caso del Trans Adriatic Pipeline (TAP), 2018, p. 190 e ss.).
130
151 Il mancato rispetto dell’accordo parrebbe integrare una violazione del principio di leale collaborazione, ma non è chiaro fino a che punto tale violazione possa incidere sugli atti con esso contrastanti.131
Per poter abbozzare una risposta a questo fondamentale quesito, occorre tuttavia distinguere la valenza giuridica dell’accordo dalla sua forza politica.
Sotto il primo profilo, va ricordato che l’art. 4, secondo comma, d.lgs. 281/1997, prescrive che gli accordi si perfezionino con l’espressione dell’assenso del Governo e dei Presidenti delle regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano. Al riguardo, è stato sottolineato come, in base alla normativa richiamata, l’accordo – una volta concluso – è un atto perfetto e dunque non richiederebbe ulteriori passaggi nell’ambito di ciascuna Regione. Nessuna Regione, del resto, potrebbe ritenersi lesa nella sua autonomia dall’applicazione di un accordo al cui perfezionamento ha partecipato, esprimendo il suo assenso per il tramite del Presidente.132
Secondo la prassi, tuttavia, l’accordo, per svolgere i propri effetti, necessita di un recepimento da parte di ciascuna Regione: si ritiene, cioè, che la conclusione dell’accordo non alteri il riparto delle competenze ordinarie oggetto dell’intesa né possa derogare alle ordinarie norme procedimentali interne.133 Le sorti dell’accordo, dunque, dipendono in concreto dalla volontà di ciascuna Regione e dalle modalità con cui viene recepito l’accordo, e ciò si risolve in un vulnus per la valenza dell’accordo concluso in sede di Conferenza.134
L’accordo, infatti, dopo la sua conclusione in sede di Conferenza, ha comunque una sua efficacia giuridica, tanto che potrebbe essere autonomamente impugnato innanzi al giudice amministrativo.135
Il problema, tuttavia, sembra porsi su un piano meramente astratto, dal momento che il rischio di un mancato recepimento dell’accordo o di un recepimento difforme dovrebbe essere confinato ad ipotesi di scuola e, per così dire, patologiche: una volta che il Presidente della Regione ha concluso un accordo, è a questi che compete promuoverne il recepimento interno da parte della propria Regione.136 Il rischio di un disallineamento tra l’impegno e la sua realizzazione appare dunque ridotto al minimo.
Il tema della vincolatività dell’accordo va spostato, dunque, dal piano giuridico a quello più prettamente politico.
Senza dubbio, è la forza politica che caratterizza l’accordo: questo, infatti, è un patto concluso al massimo livello rappresentativo dei Governi della Repubblica: nazionale, regionale e locale.137
In questi termini si è espressa anche la giurisprudenza costituzionale, che ha limitato l’efficacia dell’accordo al piano politico, negandone ogni rilievo sul piano giuridico.
Emblematica di questo orientamento è una pronuncia, antecedente alla riforma del Titolo V ma più volte richiamata nella giurisprudenza successiva, che ha respinto la questione di legittimità costituzionale di una norma con la quale il Governo aveva disatteso ad un impegno assunto in 131 (Fraticelli, 2006, p. 817). 132 (Carpino R. , 2006, p. 37). 133 (Carpino R. , 2012, p. 539). 134 (Carpino R. , 2006, p. 37). 135 (Carpino R. , 2006, p. 38). 136 (Carpino R. , 2006, p. 38). 137 (Carpino R. , 2012, p. 539).
152 Conferenza Unificata.138 Lungi dall’integrare violazione del principio di leale collaborazione – come lamentato dalle Regioni ricorrenti – la Corte ha ritenuto che l'impegno del Governo “non assume
altro valore che quello di una manifestazione politica di intento, che non si inserisce come elemento giuridicamente rilevante nel procedimento legislativo, e tanto meno può costituire parametro cui commisurare la legittimità costituzionale delle disposizioni impugnate.”139
La vicenda esaminata fornisce inoltre alla Corte l’occasione per ribadire che le procedure di cooperazione o di concertazione possono rilevare ai fini dello scrutinio di legittimità di atti legislativi, solo in quanto l’osservanza delle stesse sia imposta, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione: in mancanza di siffatte previsioni, il principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni non può esser dilatato fino a condizionare la formazione ed il contenuto delle leggi.140
Alcune aperture nel senso di un maggiore riconoscimento di forza vincolante dell’accordo si riscontrano nella giurisprudenza successiva.
In particolare, con una nota sentenza del 2006141 la Corte ha precisato che “Il principio di leale
collaborazione, anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto.”142
Con questo obiter, che pare ispirato al più generale principio sancito dal diritto naturale “pacta sunt servanda”, la Corte sembra volersi discostare dall’orientamento consolidato.
E infatti, ciò che ivi si è affermato è innanzitutto che, per il rispetto del canone della leale collaborazione, non è sufficiente che un argomento sia trattato in sede di Conferenza, ma è necessario che l’accordo al quale si è giunti a conclusione dei lavori, venga poi effettivamente rispettato.143
In secondo luogo, è interessante notare come, nella pronuncia citata, la presenza di un precedente accordo, raggiunto in una sede istituzionale qualificata e deputata alla collaborazione e al dialogo quale la Conferenza Unificata, costituisce argomento decisivo per annullare il provvedimento - impugnato in sede di conflitto di attribuzioni - che di tale accordo non faceva menzione.
138
Sent. Corte cost. n. 437 del 2001. In particolare, le Regioni avevano lamentato che la legge impugnata avesse previsto il Fondo regionale di protezione civile, con un apporto finanziario dello Stato pari a soli 100 miliardi di lire annui, mentre il Governo, in sede di Conferenza unificata Stato-città, si sarebbe impegnato a istituire un fondo di 1000 miliardi di lire. A tale impegno le Regioni le Regioni avrebbero condizionato l'espressione del parere favorevole in sede di Conferenza. Secondo le ricorrenti, l'inottemperanza all'impegno assunto, per quanto discendente da una legge votata dal Parlamento, avrebbe violato il principio di leale collaborazione e dunque l'art. 5 della Costituzione, traducendosi in un vizio di legittimità costituzionale delle norme legislative; in secondo luogo, il Parlamento, se avesse voluto disattendere l'impegno assunto dal Governo verso le Regioni avrebbe dovuto, per rispettare il principio di leale collaborazione, raggiungere un ulteriore accordo con le Regioni.
139 Sent. Corte cost. n. 437 del 2001, punto 3 Considerato in diritto.
La sentenza è commentata da (Caretti, Gli "accordi" tra Stato, Regioni e autonomie locali: una doccia fredda sul mito del "sistema delle Conferenze"?, 2002, p. 1171), il quale sottolinea come l’efficacia degli strumenti di cui si avvale il sistema delle Conferenze risulti del tutto spuntata sul piano giuridico e intermante affidata alla dialettica politica tra i diversi soggetti istituzionali. Secondo il medesimo A., le disposizioni del d.lgs. 281/1997 non sono che il tentatativo di rispondere ad un’esigenza reale con uno strumento del tutto inadeguato quale la legge ordinaria. Solo con una riforma della Costituzione si potrebbe articolare il principio di leale collaborazione sul piano legislativo in modo tale da farne un parametro di controllo della legittimità delle leggi nazionali.
140
Sent. Corte cost. n. 437 del 2001, punto 3 Considerato in diritto.
141
Si tratta della sentenza Corte cost. n. 31 del 2006, sulla quale ci si è soffermati anche nel paragrafo sulla giurisprudenza costituzionale relativo ai conflitti di attribuzione. In particolare, la pronuncia ha annullato una Circolare dell’Agenzia del demanio per contrasto con l’accordo raggiunto in Conferenza Stato- Regioni, secondo cui il provvedimento finale di sdemanializzazione poteva essere assunto solo col parere favorevole delle Regioni e delle Province autonome. La sentenza si segnala per la particolarità del caso, dal momento che l’intesa era stata raggiunta “spontaneamente” per conciliare esigenze unitarie e governo autonomo del territorio, mentre nessuna procedura collaborativa era stata prevista dalla legge successiva né dalla circolare – attuativa della legge – oggetto di impugnazione.
142 Sentenza Corte cost. n. 31 del 2006, punto 4.2 Considerato in diritto.
143
153 Ma quel che appare davvero significativo è che l’accordo in questione, nonostante non costituisse un passaggio procedimentale necessario ma fosse stato raggiunto spontaneamente, viene utilizzato dalla Corte per interpretare in maniera costituzionalmente conforme la legislazione statale successivamente adottata, per giungere ad una pronuncia di annullamento dell’atto in quanto ritenuto contrastante con l’accordo medesimo. Ne deriva una pronuncia di annullamento, per violazione del principio di leale collaborazione, di un atto amministrativo, adottato in spregio alle forme collaborative oggetto dell’accordo, ma pur formalmente conforme alla fonte primaria, che di queste non faceva alcuna menzione.144
Come è stato osservato, dunque, in questo particolare precedente, il principio di leale collaborazione sembra subire un’ulteriore dilatazione: laddove non trovi espressione a livello legislativo, spetta alla pubblica amministrazione dare comunque ad esso compiuta attuazione. Per tale via, il principio di leale collaborazione sembra divenire uno dei principi ai quali si deve conformare ed adeguare l’azione amministrativa.145
La pronuncia richiamata si segnala, infine, per un’applicazione del paradigma collaborativo davvero “di ampio respiro”, nonché per aver individuato nel sistema delle Conferenze il luogo più consono ove “dare forma” al parametro della leale collaborazione146.
Forse proprio per la portata innovativa dei suoi enunciati, la sentenza citata sembra sinora rimasta un caso isolato.
Quel che è certo, comunque, è che la rilevanza politica dell’accordo è innegabile.
E ciò è testimoniato dalla prassi, che vede spesso iscritti nell’ordine del giorno delle Conferenze «accordi» destinati a impostare decisioni di alta politica, sia che riguardino questioni che coinvolgono direttamente le attribuzioni regionali (i piani sanitari, la partecipazione alla formazione degli atti comunitari, il «federalismo fiscale» ecc.), sia che tocchino invece temi politici di interesse più generale (quali l’impostazione della legge finanziaria, i costi della politica, la lotta alla criminalità).147
Per completare la trattazione degli accordi, va infine gettato uno sguardo al loro concreto ambito applicativo, sia dal versante dell’esercizio coordinato delle funzioni amministrative sia da quello, ero così dire, “normativo”.
Nel primo senso, si è osservato come vi siano due diversi principali filoni di gestione contrattata delle funzioni. Un primo filone attiene ad accordi che riguardano questioni settoriali e dettagliate, un secondo concerne, invece, accordi che si collocano all’interno di un sistema generale di relazioni istituzionali volte a razionalizzare e a dare stabilità agli investimenti pubblici.148
144 Si rinvia sul punto anche alle considerazioni già espresse in merito a questa pronuncia sub 4.2.2 .
145
(Fraticelli, 2006, p. 820).
146 “Questa Corte ha costantemente affermato che il principio di leale collaborazione deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato
e Regioni: la sua elasticità e la sua adattabilità lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti. La genericità di questo parametro, se utile per i motivi sopra esposti, richiede tuttavia continue precisazioni e concretizzazioni. Queste possono essere di natura legislativa, amministrativa o giurisdizionale, a partire dalla ormai copiosa giurisprudenza di questa Corte. Una delle sedi più qualificate per l’elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione è attualmente il sistema delle Conferenze Stato-Regioni e autonomie locali. Al suo interno si sviluppa il confronto tra i due grandi sistemi ordinamentali della Repubblica, in esito al quale si individuano soluzioni concordate di questioni controverse.” Sentenza Corte cost. n. 31
del 2006, punto 4.2 Considerato in diritto.
147
(Bin R. , La "leale collaborazione" tra prassi e riforma, 2007, p. 394).
148 (Violini L. , Meno "supremazia" e più "collaborazione" nei rapporti tra i diversi livelli di governo? Un primo sguardo (non privo di interesse) alla galassia degli accordi e delle intese, 2003, p. 696).
154 Quale esempio del primo tipo, possono ricordarsi i numerosi accordi in materia di salute (tra i primi in ordine cronologico: l’accordo relativo alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni149; l’accordo sulla tutela delle acque destinate al consumo umano150), di energia (accordo relativo all’esercizio dei compiti e delle funzioni di rispettiva competenza in materia di produzione di energia elettrica151) o di turismo (accordo sui principi per l'armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico152).
Tra gli accordi del secondo tipo possono annoverarsi i modelli di programmazione negoziata per gli investimenti pubblici, realizzati dallo Stato e dalle Regioni.153
Quanto agli accordi “normativi”, va, infine, dato atto della prassi, che ha preso avvio successivamente alla novella costituzionale del 2001, relativa alla conclusione di accordi tra Stato e Regioni aventi ad oggetto atti regolamentari.
Come si è già ricordato all’inizio del presente lavoro, all’indomani della riforma del titolo V, infatti, il Consiglio di Stato si è espresso più volte in maniera negativa in merito alla possibilità, per il Governo, di adottare regolamenti nelle materie di competenza concorrente.154
Riscontrata la difficoltà di immediata sostituzione di regolamenti governativi con regolamenti regionali, l’accordo è stato quindi utilizzato come strumento per superare l’attribuzione allo Stato del potere regolamentare nelle sole materie di competenza esclusiva (ai sensi del novellato art. 117, comma sesto, Cost.,) e regolare in modo pattizio ciò che prima era disciplinato da fonti secondarie statali.155
Questa sorta di “esercizio congiunto del potere regolamentare”156 da parte dello Stato e delle Regioni ha sollevato, tuttavia, in dottrina, una serie di interrogativi.
Per mezzo dell’accordo, infatti, le Regioni acconsentono ad un esercizio condiviso della competenza, anche laddove si tratti di competenze residuali e, dunque, nella loro piena titolarità. Per questa via si giunge alla delicata problematica della disponibilità del riparto di competenze fissate dalla Costituzione attraverso strumenti collaborativi. L’argomento sarà oggetto di specifica trattazione nel prosieguo del presente lavoro, alla quale si rinvia.157
In questa sede, tuttavia, occorre registrare le perplessità – dal punto di vista delle fonti – relative all’impiego dell’accordo, sottoscritto in sede di Conferenza, “a monte” rispetto all’esercizio del potere regolamentare. Al riguardo, ci si è chiesti, infatti, se tali “accordi normativi” costituiscano
149
Accordo 22 novembre 2001 tra Governo, regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sottoscritto in sede di Conferenza Stato-Regioni sui livelli essenziali di assistenza sanitaria ai sensi dell'art. 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, in GU n.19 del 23-01-2002 - Suppl. Ordinario n. 14.
150
Accordo 12 dicembre 2002 in GU n. 2 del 3 gennaio 2003 sottoscritto in sede di Conferenza Stato-Regioni recante Linee guida per la tutela della qualità delle acque destinate al consumo umano e criteri generali per l'individuazione delle aree di salvaguardia delle risorse idriche di cui all'art. 21 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152.
151 Accordo 5 settembre 2002, in GU n. 220 del 19 settembre 2002 sottoscritto in sede di Conferenza Unificata tra Governo, regioni, province, comuni e comunità montane per l'esercizio dei compiti e delle funzioni di rispettiva competenza in materia di produzione di energia elettrica.
152
Accordo tra Stato, regioni e le province autonome sui principi per l'armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico, recepito con D.p.c.m. 13 settembre 2002 in GU 25 settembre 2002, n. 225.
153 Sulla programmazione negoziata e l’accordo di programma quadro (APQ) si veda (Violini L. , Meno "supremazia" e più "collaborazione" nei rapporti tra i diversi livelli di governo? Un primo sguardo (non privo di interesse) alla galassia degli accordi e delle intese, 2003, p. 699 e ss.)
154 Sul punto si rinvia a quanto illustrato al par. 2.1.3.
155 (Carpino R. , 2012, p. 540).
156
L’espressione è di (Caretti, Gli "accordi" tra Stato, Regioni e autonomie locali: una doccia fredda sul mito del "sistema delle Conferenze"?, 2002, p. 1174).
157
155 vere e proprie fonti atipiche e, in particolare, se essi possano produrre effetti diretti anche nei confronti di terzi ovvero se, a tal fine, debbano essere recepiti in fonti formali.158
In senso critico, si è anche osservato che la ridotta vincolatività di questi strumenti, che si inseriscono nella gerarchia delle fonti in modo non disciplinato dalla legge,non elimina il rischio di un mancato recepimento dell’accordo 159.
Sempre nell’ambito degli accordi “normativi”, va segnalata l’emergere di una recente tendenza all’utilizzo di tale strumento non per devolvere allo Stato una competenza ma per rendere omogenea, tra tutte le Regioni, la disciplina di una materia residuale, talvolta incisa da competenze concorrenti o trasversali dello Stato.
In particolare, in questa tipologia di accordi, le Regioni e le Province autonome si impegnano, nell’esercizio delle proprie competenze, a recepire, entro una determinata data, quanto previsto dall’accordo concluso in Conferenza nelle proprie normative.
A volte tale prassi è stata addirittura legificata: il legislatore statale ha espressamente demandato la regolamentazione di un istituto – di competenza regionale, quale i tirocini, – alla definizione di linee guida condivise tra le Regioni, da adottarsi con accordo siglato in sede di Conferenza, riservandosi, al contempo, l’enunciazione di criteri cui detto accordo debba ispirarsi.160
Delle due l’una, o si è davanti ad una nuova fonte atipica del tutto peculiare - a metà strada tra la legge delega e l’accordo normativo - rivolta all’esercizio condiviso di una competenza legislativa tra centro e periferia, in deroga al riparto costituzionale delineato dal’art. 117 Cost.; ovvero, per il principio di tassatività delle fonti, di fonte normativa non può trattarsi e allora la vincolatività dell’accordo cui la legge rinvia è rimessa alla libera e volontaria determinazione delle parti.
Che la soluzione sia la seconda deriva non solo - come è ovvio - dalla sistematica delle fonti ma anche dalla “tenuta” di questa nuova tipologia di accordo nel sistema complessivo.
Dati alla mano, si è dimostrato che resta alto il rischio che le fonti secondarie regionali di recepimento si discostino dall’accordo, dando luogo ad una eterogeneità di disciplina, con conseguente vanificazione dello scopo “unificante” sotteso all’adozione dell’accordo medesimo.161
Altre volte il legislatore ha demandato ad intese o accordi da concludersi in Conferenza l'adozione di schemi di regolamento, al fine di semplificare e uniformare la normativa di una determinata materia nelle diverse Regioni.
Va segnalato, in particolare, un recente precedente162 - che ha avuto anche l’avallo della Consulta163 - relativo allo schema di regolamento edilizio tipo: di una sorta, cioè, di un modello
158
(Caretti, Gli "accordi" tra Stato, Regioni e autonomie locali: una doccia fredda sul mito del "sistema delle Conferenze"?, 2002, p. 1174).
159
(Carpino R. , 2012, p. 540), il quale auspica che su tali accordi si preveda l’acquisizione del parere del Consiglio di Stato, analogamente a quanto previsto per le fonti regolamentari dall’art. 17 della legge 400/1988.
160
Emblematico di questa tendenza è il disposto dell’art. 1 comma 34 della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), che recita: “Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo e le regioni concludono in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano un accordo per la definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi e di orientamento, sulla base dei seguenti criteri: a) revisione della disciplina dei tirocini formativi, anche in relazione alla valorizzazione di altre forme contrattuali a contenuto formativo; b) previsione di azioni e interventi volti a prevenire e contrastare un uso distorto dell'istituto, anche attraverso la puntuale individuazione delle modalità con cui il tirocinante presta la propria attività; c) individuazione degli elementi qualificanti del tirocinio e degli effetti conseguenti alla loro assenza; d) riconoscimento di una congrua indennità, anche in forma forfetaria, in relazione alla prestazione svolta.
161 Con riferimento al recepimento regionale relativo alle Linee guida in materia di tirocini extracurricolari adottate dalla Conferenza Stato – Regioni con accordo del 25 maggio 2017, si veda il monitoraggio effettuato dall’ANPAL in