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Leale collaborazione nel Titolo V: la costituzionalizzazione di un principio?

3 ALTRE FORME DI LEALE COLLABORAZIONE PREVISTE NEL TITOLO V

3.6 Leale collaborazione nel Titolo V: la costituzionalizzazione di un principio?

Come emerge dall’analisi effettuata delle disposizioni novellate, la riforma del Titolo V non ha provveduto a “costituzionalizzare” esplicitamente il principio di leale collaborazione, nonostante la pluridecennale giurisprudenza costituzionale in materia.

In senso contrario non pare che possa essere, da solo, utilmente evocata l’unica previsione costituzionale che lo menziona espressamente, ovvero l’art. 120, comma secondo, Cost..

E ciò, sia perché trattasi pur sempre di un potere sostitutivo, di natura eccezionale, afferente a distorsioni patologiche nell’esercizio di funzione proprie delle Regioni e degli enti locali, sia perché sembra che la previsione ipotizzi una leale collaborazione “a senso unico” nei confronti dello Stato e non – come dovrebbe essere per una collaborazione “leale” - di tipo reciproco o bidirezionale.198

194

(Bertolino C. , 2007, p. 100).

195 In questo senso (Caretti, Rapporti fra Stato e Regioni: funzione di indirizzo e coordinamento e potere sostitutivo, 2002): in particolare l’A., analizzando la giurisprudenza costituzionale dal 1997 al 2001 relativa ad entrambi gli istituti, ne sottolinea le analogie.

196

Si rimanda sul punto alle considerazioni del par. 3.3 sull’art. 118 Cost.

197 L’espressione è di (Caretti, Rapporti fra Stato e Regioni: funzione di indirizzo e coordinamento e potere sostitutivo, 2002, p. 1326).

198

82 In particolare, è stato affermato come il novellato testo costituzionale non valorizza in termini positivi il principio di leale collaborazione, perché non lo esplicita come principio generale nel rapporto tra livelli di governo199.

E’ stata persa, dunque, un’occasione per fornire alla Corte costituzionale e – soprattutto - alle autonomie territoriali una solido riconoscimento al principio in parola. 200

Preso atto di tale “perdurante assenza”201, occorre chiedersi se il novellato impianto costituzionale assegni un qualche rilievo al principio di leale collaborazione ovvero se, su di esso, la riforma del Titolo V abbia in qualche modo inciso e, in caso affermativo, in quali termini.

Sul punto, si sono fronteggiate essenzialmente due opposte ricostruzioni.

Secondo una prima impostazione, rispetto al passato, in cui il principio di leale collaborazione - pur in mancanza di una base sicura ed esplicita - era stato costruito dalla Corte costituzionale come principio generale di governo dei rapporti tra Stato e regioni nell’ipotesi di interferenza di competenze, la situazione sembra mutata in peggio.

Proprio il fatto che, in presenza di una consolidata tradizione giurisprudenziale e legislativa, il legislatore costituzionale della riforma non abbia espresso tale principio in una chiara proclamazione di carattere generale, ma l’abbia recepito solo in alcuni casi particolari (art. 120, secondo comma, Cost., 118, terzo comma, 117, penultimo comma), induce parte della dottrina ad escludere l’esistenza di un criterio del genere, anche implicito.202

In particolare, secondo questa opinione, il riferimento alla leale collaborazione contenuto nell’art. 120 Cost. appare specifico e non estensibile alla generalità dei casi, anche perché sembra ipotizzare un dovere di leale collaborazione a senso unico (un dovere delle autonomie di collaborare con lo Stato).203

Si afferma, inoltre, che – a differenza del passato - non potrebbe invocarsi come fonte del principio di leale collaborazione l’art. 5 Cost., perché tale articolo ora non potrebbe fornire uno spettro generale di operatività al di là della strumentazione poi concretamente ed espressamente prevista per darvi attuazione; né, allo stesso scopo potrebbe invocarsi l’art. 114 Cost. e la pretesa parità tra le componenti della Repubblica poiché, di una tale parità non può propriamente discorrersi.204

Secondo una ricostruzione radicalmente differente, invece, il principio di leale collaborazione non può avere una portata circoscritta al solo ambito dell’art. 120. Comma 2, Cost.205

L’apparente disinteresse del legislatore costituzionale per le esigenze unitarie e di coordinamento non devono necessariamente indurre ad una ricostruzione rigidamente dualistica dei rapporti Stato – Regioni.

199

(Merloni, Una definitiva conferma della legittimità dei poteri sostitutivi regionali, 2004, p. 1083).

200

In questo senso (Agosta S. , 2008, p. 177). Secondo il medesimo A., inoltre, dal confronto del testo attuale con il testo uscito in prima stesura dalla Commissione bicamerale del 1997, al danno si aggiungerebbe la beffa, considerato che l’art. 55 di quel testo prevedeva “i rapporti tra i Comuni, le province, le Regioni e lo Stato sono ispirati al principio di leale collaborazione”.

201 (Agosta S. , 2008, p. 177).

202 (Anzon Demming, I poteri delle Regioni nella transizione dal modello originario al nuovo assetto costituzionale, 2003, p. 266)

203

(Merloni, La leale collaborazione nella Repubblica delle Autonomie, 2002, p. 865)

204 (Anzon Demming, I poteri delle Regioni nella transizione dal modello originario al nuovo assetto costituzionale, 2003, p. 267)

205

83 All’opposto, parrebbe rivoluzionato il criterio di fondo dell’ordinamento dei rapporti tra tali enti: essi sarebbero, infatti, non più disposti lungo una linea gerarchica, tale per cui all’ente generale era riconosciuto e riservato il potere dovere di assicurare la prevalenza degli interessi generali, ma enti, se non proprio pari ordinati, tenuti almeno a collaborare per tutto ciò che attiene agli interessi comuni. In tale ottica, le esigenze unitarie dovrebbero trovare tutela nelle forme della leale collaborazione e non in quelle di un intervento dello Stato ispirato a supremazia. Si tratterebbe, dunque, di un cambiamento radicale di prospettiva.206

Secondo questa tesi, andrebbe dunque adeguatamente considerato come le forme di collaborazione previste dal testo costituzionale siano diffuse e rilevanti, pertanto il modello di regionalismo cooperativo maturato anteriormente alla revisione del Titolo V non può considerarsi definitivamente abbandonato solo perché la novella costituzionale non ha previsto una Camera delle Regioni o il sistema delle Conferenze non è stato costituzionalizzato.

Il modello cooperativo, in altri termini, emergerebbe da una serie di previsioni costituzionali tra le quali spicca, per importanza e chiarezza, l’art. 120, secondo comma, Cost.

Il principio collaborativo, pertanto, può essere impiegato per definire i rapporti tra Stato e Regioni in tutte quelle situazioni in cui dal testo costituzionale non emerge una netta separazione di competenze quanto, piuttosto, l’esercizio, necessariamente coordinato, di competenze interferenti.207

Tra coloro che accolgono la seconda impostazione citata, va segnalata l’opinione di chi ritiene di poter riconoscere il fondamento costituzionale del principio in esame sulla base di una lettura congiunta degli articoli 120, secondo comma, 118, primo comma e 114, Cost.

In particolare, al riconoscimento del principio collaborativo “alla luce del sole” effettuato dall’art. 120, secondo comma, Cost., si affiancherebbe il riconoscimento “implicito” di cui all’art. 118, primo comma, Cost., relativo alla distribuzione delle funzioni amministrative, che tale principio sottintende. In entrambi i casi il principio collaborativo farebbe da pendant all’esercizio di poteri sostitutivi o sussidiari, dai quali non può essere separato. Alle disposizioni citate andrebbe aggiunto il favor manifestato per i livelli territoriali “più bassi” dall’art. 114 Cost., in ragione del quale il trascinamento di funzioni dalla periferia al centro potrebbe giustificarsi solo in presenza di esigenze unitarie. Secondo l’opinione che si riporta, dunque, le tre disposizioni citate non sarebbero artificiosamente separabili ma, al contrario, reciprocamente interferenti e circolarmente legate tra loro. 208

Questa ultima ricostruzione riecheggia il pensiero di quell’attenta dottrina che, in uno scritto ormai risalente, ha rinvenuto nella Costituzione, non solo nell’art. 5, ma anche nell’art. 118209, 119210 e 123211 ante riforma, dei grimaldelli per riconoscere l’esistenza, tra Stato e Regione, di un

206 (Bin R. , "Problemi legislativi e interpretativi nella definizione delle materie di competenza regionale"- Rileggendo Livio Paladin dopo la riforma del Titolo V, 2004, p. 314).

207

(Gratteri, 2004, p. 443)

208 (Agosta S. , 2008, p. 179 e ss.) e in particolare p. 185.

209

Il riferimento è al testo originario dell’art. 118 Cost. laddove prevedeva espressamente che lo Stato potesse con legge delegare alle Regioni l’esercizio di altre funzioni amministrative.

210 Il riferimento è al testo originario dell’art. 119 Cost., che lega l’autonomia finanziaria regionale alla finanza dello Stato, demandando alle leggi della Repubblica compiti di coordinamento in materia.

211 Il riferimento è al testo originario dell’art. 123 (nello scritto dell’Autore, rectius: 124) Cost., che prevedeva che il commissario del Governo sopraintendesse alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato coordinandole con quelle esercitate dalla Regione.

84 rapporto di “simbiosi mutualistica, di reciproca e coordinata integrazione del lavoro in vista di fini

comuni”.212

In definitiva, pare doversi condividere l’opinione dominante in dottrina secondo cui il principio di leale collaborazione trova un “ancoraggio costituzionale”213 di portata generale nell’art. 5 della Costituzione, tanto prima quanto dopo la novella costituzionale del 2001.

Può affermarsi, dunque, che il principio in parola è stato interpretato dalla Corte come un principio costituzionale implicito a carattere generale214, la cui portata dirompente, successivamente alla riforma del Titolo V, sarà oggetto di analisinel capitolo successivo.

212

(Bartole S. , Supremazia e collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni, 1971, p. 143) .

213 (Gratteri, 2004, p. 444).

214

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