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Impugnazione di leggi regionali per violazione del principio di leale collaborazione

4 LA LEALE COLLABORAZIONE NELLA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE

4.1 I giudizi in via principale

4.1.5 Impugnazione di leggi regionali per violazione del principio di leale collaborazione

Dalla panoramica giurisprudenziale effettuata, è agevole notare come, sebbene il principio di leale collaborazione abbia natura reciproca, operi cioè astrattamente quale parametro di legittimità

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Sent. Corte cost. 121 del 2012 punto 3.1 Considerato in diritto.

Quanto alle forme di coinvolgimento della Regione, la Corte reinterpreta la normativa impugnata (comma 15 dell’art. 20, l. cit)., e l’inciso «sentito il Presidente della regione interessata»,ritenendo che esso aggiunga un quid pluris alle forme di coinvolgimento della Regione previste dall’art. 8 della legge n. 131 del 2003. La richiesta del parere del Presidente della Regione, secondo la Corte, si pone come preventiva rispetto all’attivazione del procedimento previsto dall’art. 120, secondo comma, Cost., e della legge n. 131 del 2003. Essa, pertanto, non sostituisce la prevista partecipazione del Presidente della Giunta regionale alla riunione del Consiglio dei ministri, in cui si decide sulla proposta di esercizio del potere sostitutivo. (sent. Corte cost. n. 121 del 2012 punto 3.2 Considerato in diritto).

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“Si tratta quindi essenzialmente di un organo – tra l’altro non previsto dallo statuto – preposto alla vigilanza sull’operato

dell’amministrazione regionale con limitati compiti di segnalazione di disfunzioni amministrative, al quale non può dunque essere legittimamente attribuita, proprio perché non è un organo di governo regionale, la responsabilità di misure sostitutive che incidono in modo diretto e gravoso sull’autonomia costituzionalmente garantita dei Comuni.” Sentenza Corte cost. n. 112 del 2004 (punto 3 Considerato in

diritto) nonché per il medesimo orientamento Corte cost. n. 173 del 2004 e 167 del 2005.

130

In tal senso sent. Corte cost. n. 43 del 2004.

131 Esclude la necessità, a pena di illegittimità costituzionale, di procedure di garanzia - analoghe a quelle previste per gli enti con copertura costituzionale - per l’esercizio del potere sostitutivo nei confronti della Comunità montane sent. Corte cost. n. 397 del 2006, con nota di (Dickmann, La Corte precisa i limiti dei controlli sostitutivi delle Regioni sulle Comunità montane, 2007, p. 1 e ss.).

Secondo un A. (Raffiotta, 2007, p. 581), se è vero che la Corte ha legittimato la possibilità per la Regione di sopprimere le Comunità montane, in quanto enti non necessari (sent. 229 del2001) – potendo le funzioni attribuite alla Comunità, essere esercitate dai Comuni – tuttavia, se la comunità è stata costituita e i comuni decidono di esercitare le funzioni per mezzo dell’ente non necessario, tale decisione, e di conseguenza tali funzioni,devono trovare garanzie ispirate al principio di leale collaborazione.

132 Secondo la Corte, nel caso delle Comunità montane, “non venendo in rilievo enti ad autonomia costituzionalmente garantita, non possono

essere utilmente richiamati i criteri e i limiti che la giurisprudenza di questa Corte ha elaborato in relazione al modello di potere sostitutivo – diverso da quello contemplato dalla norma impugnata – esercitato nei confronti degli enti che, invece, per espressa statuizione costituzionale, godono di siffatte garanzie.” (sent. Corte cost. n. 397 del 2006 punto 7 Considerato in diritto).

111 nei confronti dello Stato e delle Regioni, sono rari i casi in cui le leggi regionali vengono annullate dalla Corte per violazione del siffatto principio.

Questo certamente deriva, in primo luogo, dalla posizione asimmetrica di Stato e Regioni quanto alla legittimazione ad agire in giudizio, che è limitata, per le Regioni, alla tutela delle loro prerogative costituzionalmente garantite. Ne deriva, come si vedrà approfonditamente nel prosieguo133, un onere per le Regioni di necessaria, preventiva dimostrazione della “ridondanza” sulle attribuzioni regionali dei parametri costituzionali extra Titolo V eventualmente invocati.

Al di là di questo primo ostacolo “processuale”, attenta dottrina ha altresì rinvenuto altre giustificazioni del fenomeno, sulle quali pare opportuno soffermarsi.

In primo luogo, è stato sottolineato come spetti in solo al legislatore statale l’onere di confezionare i moduli cooperativi, inventarne le procedure, ovvero, in altre parole, “scrivere le regole della leale collaborazione”.134

Tutte le volte, infatti, che la Corte ammette una flessibilizzazione delle competenze, flessibilizzazione cui si annette l’obbligo collaborativo tra centro e periferia, una tale “torsione” del modello rigido di riparto opera solo verso il centro: ciò implica che il potere conformativo della materia regionale non può che spettare alla legge statale. E’ a questa fonte che compete, dunque, delineare le procedure collaborative per l’attrazione in sussidiarietà.

Ma vi sono ancora due importanti considerazioni che spiegano le ragioni per cui le leggi regionali perlopiù “sfuggono” al parametro della leale collaborazione.

La prima è che tali fonti vengono censurate per parametri diversi e più specifici della leale collaborazione: come è stato ben esplicitato, le leggi regionali vengono trattenute dalla fitta rete tessuta dai limiti di legittimità ben prima che debbano fare i conti con il parametro residuale della leale collaborazione. 135

La seconda è che, come si vedrà infra136, sempre più spesso nei processi normativi statali sono inseriti moduli collaborativi che si traducono in atti delle Conferenze, in grado di condizionare le leggi regionali.

Il risultato di questi schemi procedimentali è che qualunque riforma normativa che coinvolga i livelli ordinamentali dello Stato e delle Regioni giunge ai Consigli regionali già definita in tutti gli aspetti che esorbitano dalla cosiddetta dimensione regionale “pura”, o perché sono già stati attivati gli strumenti di collaborazione che hanno definito la composizione di interessi regionali e statali, come nel caso in cui la normazione regionale debba essere preceduta da intese o accordi previsti dalla legge statale, oppure perché comunque il legislatore statale ha già definito le procedure necessarie a comporre tali interessi, escludendo ogni spazio alla disciplina regionale.137

Emblematiche della rara applicazione del principio collaborativo allo scrutinio di legittimità di leggi regionali sono quattro pronunce sulle quali si intende brevemente soffermarsi.

133 Per l’esame degli aspetti processuali si rinvia alla giustiziabilità del principio di leale collaborazione, argomento trattato al par. 8.2.

134 (Agosta S. , 2008, p. 122).

135

(Bin R. , La leale collaborazione nel nuovo Titolo V della Costituzione, 2008, n. 2, p. 39).

136 Si rinvia al par. 5.4 sulle modalità della collaborazione ed al par. 6.1.2 sulla legislazione delegata.

137

112 In una prima sentenza, che decide congiuntamente dell’impugnazione di una legge statale e di una speculare legge regionale, la leale collaborazione è applicata solo con riferimento al primo giudizio, mentre non viene nemmeno evocata nel secondo.

Nella seconda decisione, il principio cooperativo è invocato dal Governo ma non accolto nella pronuncia di accoglimento, fondata su altri parametri.

Nella terza e nella quarta pronuncia, invece, la violazione della leale collaborazione costituisce esplicito motivo di annullamento delle normative regionali.

La prima pronuncia con cui la Corte ha giudicato della legittimità costituzionale di una legge statale e di una legge regionale in merito al potere di nomina del Presidente dell’Autorità portuale138: nei ricorsi regionali veniva lamentata, tra l’altro, la violazione del principio di leale collaborazione139; nel ricorso statale, invece, veniva dedotta la sola violazione dell’art. 117, comma terzo, della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. In estrema sintesi, la legge statale, impugnata dalle Regioni, modificava il procedimento di individuazione del Presidente dell’Autorità portuale previa intesa tra Stato e Regione, prevedendo che, laddove entro tenta giorni non si raggiunga l’intesa140, il Consiglio dei ministri possa provvedere con deliberazione motivata.

Per contro, la legge regionale impugnata141, attribuiva al Presidente della Regione il potere di nomina del Presidente dell’autorità portuale, “previa intesa” col Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti.

Nel giudicare la legittimità di entrambe le norme, la Corte ha, da un lato, annullato la disposizione statale, per violazione della competenza concorrente in materia di porti, con una motivazione imperniata sulla necessità che venga rispettata l’intesa quale “paritaria

codeterminazione dell’atto”, non potendo la stesse essere degradata a “mero parere non vincolante”,

sottointendendo dunque un’applicazione “forte” del principio collaborativo, pur non espressamente menzionato;142 dall’altra, ha annullato le disposizioni regionali, riconoscendo natura di principio fondamentale all’allocazione, effettuata dalla legge statale, del potere di nomina a livello centrale

138

Si tratta della sentenza Corte cost. n. 378 del 2005, cui si è fatto riferimento anche nel precedente paragrafo 4.1.2.

139 Si tratta dei ricorsi delle Regioni Campania, Toscana e Friuli Venezia Giulia.

140 Secondo l’art. 8 della legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale) il Presidente dell’Autorità portuale dev’essere nominato con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, «di intesa con la Regione interessata».

141 Si tratta della legge regionale Friuli Venezia Giulia 24 maggio 2004, n. 17 (Riordino normativo dell’anno 2004 per il settore degli affari istituzionali), art. 9, commi 2 e 3. In particolare, il comma 2 prevedeva che, qualora nei termini indicati nel precedente comma non pervenga alcuna designazione del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste, il Presidente della Regione, previa intesa con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, nomina «comunque» il Presidente tra personalità esperte del settore. Il comma 3 stabiliva che spetta al Presidente della Regione decretare, d’intesa con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e nel rispetto delle previsioni contenute nell’art. 7 della legge n. 84 del 1994, la revoca del mandato del Presidente, lo scioglimento del comitato portuale nonché le eventuali nomine commissariali.

142 Sentenza Corte cost. n. 378 del 2005 punto 6.6.Considerato in diritto: “Non è revocabile in dubbio, infatti, che la norma impugnata si risolve

nel rompere, a danno della Regione, l’equilibrio – realizzato, come si è detto (sub 5), anche grazie alla disciplina dell’attribuzione e delle modalità di esercizio del potere di nomina – tra istanze ed esigenze di vario livello assicurato dalla legge n. 84 del 1994, nella sua originaria formulazione, e nel degradare l’intesa, prevista dall’art. 8, comma 1, della medesima legge, al rango di mero parere non vincolante, in quanto attribuisce al Ministro il potere – quali che siano le ragioni del mancato raggiungimento dell’intesa e per ciò solo che siano decorsi trenta giorni – di chiedere che la nomina sia effettuata dal Consiglio dei ministri, e cioè da un organo del quale il Ministro fa parte. (…) Nel caso di specie, il meccanismo escogitato per superare la situazione di paralisi determinata dal mancato raggiungimento dell’intesa è tale da svilire il potere di codeterminazione riconosciuto alla Regione, dal momento che la mera previsione della possibilità per il Ministro di far prevalere il suo punto di vista, ottenendone l’avallo dal Consiglio dei ministri, è tale da rendere quanto mai debole, fin dall’inizio del procedimento, la posizione della Regione che non condivida l’opinione del Ministro e da incidere sulla effettività del potere di codeterminazione che, ma (a questo punto) solo apparentemente, l’art. 8, comma 1, continua a riconoscere alla Regione. Deve conseguentemente, assorbito ogni altro profilo, dichiararsi l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost., dell’art. 1, comma 2, della legge n. 186 del 2004, e dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004.”.

113 “laddove vi sia un intreccio di interessi locali, regionali, nazionali ed internazionali, armonicamente

coordinati in un sistema compiuto”.143

Nella decisione citata, dunque, il principio cooperativo costituisce la trama di cui è intessuta la motivazione per l’annullamento della legge statale, mentre per l’annullamento della legge regionale è sufficiente il richiamo ai principi fondamentali della materia.

La seconda pronuncia che si segnala riguarda la materia della tutela della salute e appare rilevante perché una legge regionale è stata scrutinata utilizzando un’intesa siglata dalla Conferenza Stato – Regioni come parametro interposto di riferimento per il principio di leale collaborazione. 144

In particolare, il ricorso governativo invocava il rispetto dei principi fondamentali della materia concorrente ed il principio di leale collaborazione istituzionale a fondamento dell’illegittimità di alcune disposizioni regionali contrastanti con l’intesa, avente fonte in una precedente legge statale. 145

Nel decidere le questioni, la Corte ha preso atto che alcune disposizioni statali fondanti l’intesa erano state, medio tempore, annullate dalla Corte medesima146.

Su questa premessa, il giudice delle leggi ha, da un lato, salvato le disposizioni regionali che da tale intesa si erano discostate, ritenendo che l’accertata illegittimità della fonte statale si fosse trasmessa anche all’intesa, la quale non poteva, una volta privata della sua base giuridica, costituire autonoma fonte di diritto147.

Dall’altro, ha annullato le disposizioni regionali contrastanti con l’intesa medesima, ma in relazione ad una specifica previsione sulla quale la legge statale nulla aveva stabilito148.

143

Sentenza Corte cost. n. 378 del 2005 n. Punto 5 Considerato in diritto.

144

Sent. Corte cost. n. 178 del 2007. La vicenda sottesa alla decisione merita di essere riassunta per comprendere il rilievo dell’importante precedente. Nel 2003, con una legge delega e relativo decreto legislativo (rispettivamente l. n. 3 del 2003 e 288 del 2003), il legislatore aveva avviato un processo di riforma degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCSS), che prevedeva anche il raggiungimento di un’intesa in Conferenza Stato-Regioni per la specificazione delle modalità di organizzazione, gestione e funzionamento degli IRCSS non trasformati in fondazioni e lasciando alle Regioni la definizione della ulteriore disciplina. Con sentenza n. 270 del 2005, la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità di alcune disposizioni della legge delega e del relativo d.lgs..

145 In particolare, il Governo aveva impugnato, tra gli altri, l’art. 3, comma 3, della legge regionale Veneto n. 26 del 2005 che dispone che i componenti del consiglio di indirizzo e verifica dell’Istituto oncologico veneto sono nominati dal Consiglio regionale, sostenendo che la disposizione avrebbe violato l’art. 117, terzo comma, Cost., ed il principio della leale collaborazione istituzionale, ponendosi in contrasto con il contenuto dell’atto di intesa del 1° luglio 2004 il quale, all’art. 2, comma 1, prevede che due membri del consiglio debbono essere nominati dal Ministro della salute, due dal Presidente della Regione ed il quinto, con funzioni di presidente, ancora dal Ministro della salute, sentito il Presidente della Regione. La questione non è stata ritenuta fondata.

Il Governo aveva impugnato, inoltre, l’art. 3, comma 6, della legge regionale n. 26 del 2005 nella parte in cui disponeva che l’incarico di direttore scientifico dell’Istituto oncologico veneto non sia rinnovabile per più di una volta consecutiva, affermando il contrasto con l’atto di intesa, che non poneva alcuna limitazione alla possibilità di rinnovo. La questione è stata ritenuta fondata.

146 Con la citata sentenza n. 270 del 2005 in materia di IRCSS.

147

Sent. Corte cost. n. 178 del 2007, punto 3 del Considerato in diritto “L’intesa non è, per vero, un’autonoma fonte di disciplina degli IRCCS non

trasformati in fondazioni. E’, infatti, dalla legislazione statale che derivano sia la legittimazione a ricercare una disciplina tendenzialmente uniforme per quegli enti, sia i limiti al contenuto della disciplina stessa. Ne consegue che, essendo stato dichiarato illegittimo l’art. 42, comma 1, lettera p), della legge n. 3 del 2003 nella parte relativa alla composizione dell’organo di indirizzo degli istituti in questione, lo Stato non può invocare l’efficacia vincolante della previsione dell’intesa che di quella norma statale incostituzionale rappresenta la riproduzione.”.

148 Sentenza Corte cost. n. 178 del 2007, punto 4 Considerato in diritto: “A proposito del direttore scientifico degli IRCCS, questa Corte, con la

citata sentenza n. 270 del 2005, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale delle norme statali (art. 42, comma 1, lettere b e p della legge n. 3 del 2003 e artt. 3, comma 4, e 5 del d. lgs. n. 288 del 2003) che attribuiscono il potere di nomina al Ministro della salute, affermando che un simile potere è giustificato dalla necessità che sia garantita una visione unitaria sul piano della ricerca scientifica dell’intera rete degli IRCCS. Nessuna delle menzionate norme statali impone limiti al rinnovo di simili incarichi, onde è pienamente conforme alla disciplina di principio l’art. 3, comma 5, dell’atto di intesa del 1° luglio 2004 che, nel precisare espressamente che l’incarico di direttore scientifico degli IRCCS non trasformati in fondazioni può essere rinnovato, non assoggetta tale facoltà a limitazioni di sorta. L’illegittimità dell’art. 3, comma 6,

114 Delle due questioni, è sicuramente la seconda quella che merita particolare attenzione. Nella prima, infatti, la Corte fa coerente applicazione della sua giurisprudenza che nega che l’intesa possa essere annoverata tra le fonti del diritto149.

Nella seconda, invece, l’intesa viene utilizzata come parametro interposto di legittimità della regionale impugnata, dal momento che ciò che viene scrutinato è proprio il contrasto tra la precedente disciplina pattizia e la successiva disciplina regionale, in assenza di un quadro normativo statale di riferimento.

La decisione riportata non è sfuggita all’interesse della dottrina150, che ha sottolineato come, se è vero che nella motivazione della decisione l’intesa non si sia imposta per forza propria quale atto che concreta il principio di leale collaborazione, ma nell’ambito di un preciso schema normativo che attribuiva all’intesa forza vincolante in virtù della legge che la prevedeva; è altrettanto vero che, nella fattispecie considerata, l’intesa era stata raggiunta “spontaneamente” su una parte di disciplina non “coperta” dalla legittimazione della fonte statale. 151

Infine, vanno prese in considerazione due pronunce relative alla effettiva applicazione del principio di leale collaborazione nell’impugnazione di leggi regionali.

In una prima decisione, la Corte ha ritenuto integrata la violazione del principio cooperativo dalla legge regionale152 che aveva attribuito alla Giunta regionale il potere di superare unilateralmente la fase di stallo in caso di mancato raggiungimento dell’intesa entro un termine prestabilito.153

Si tratta dell’applicazione anche alle normative regionali dell’orientamento giurisprudenziale in materia di intesa, quale “necessaria codeterminazione paritaria del contenuto dell’atto” 154, che non appare particolarmente significativa, se non per l’ambito materiale nel quale il principio collaborativo è applicato, relativo ad un’intesa tra Regione e soggetti privati155.

della legge regionale n. 26 del 2005 è chiara: tale articolo, infatti, introducendo un limite al potere ministeriale di nomina del direttore scientifico contrasta con il principio fondamentale in materia di «ricerca scientifica» dettato dalla disciplina statale e finisce per pregiudicare l’interesse che giustifica l’attribuzione al Ministro della salute del potere in questione.”. Né è possibile affermare che la disposizione regionale impugnata sia una norma di dettaglio e come tale rientrante nella competenza regionale. In senso contrario è sufficiente osservare che introdurre limiti alla facoltà di rinnovo significa inevitabilmente incidere direttamente sul pieno esercizio del potere di scelta del direttore scientifico.”.

149 Sentenza Corte cost. n. 270 del 2005, punto 19 Considerato in diritto: “non vi sono dubbi che un atto di intesa non possa produrre una vera e

propria fonte normativa”.

150 (Benelli & Mainardis, 2007, p. 973).

151

(Carminati, 2009, p. 291).

152

Si tratta dell’impugnazione degli artt. 2, comma 2, e 3, commi 4 e 7, della legge della Regione Puglia 22 novembre 2005, n. 13 (Disciplina in materia di apprendistato professionalizzante).

153

Sentenza Corte cost. n. 24 del 2007, punto 2 del Considerato in diritto: “La disposizione di cui all’art. 2, comma 2, della legge regionale in

scrutinio, nel prevedere che, se l’intesa non è raggiunta entro il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge stessa, provvede la Giunta regionale, attribuisce ad essa un ruolo preminente, incompatibile con il regime dell’intesa, caratterizzata, quest’ultima, nel caso in esame, dalla paritaria codeterminazione dell’atto in difetto di indicazioni della prevalenza di una parte sull’altra (…). Né vale prospettare la necessità di un meccanismo idoneo a superare la situazione di stallo determinata dalla mancata intesa. Per ovviare a siffatta esigenza e dare concreta attuazione al principio di leale collaborazione – del quale la prescrizione dell’intesa, anche tra i soggetti indicati, costituisce pur sempre espressione – spetta al legislatore regionale stabilire, semmai, un sistema che imponga comportamenti rivolti allo scambio di informazioni e alla manifestazione della volontà di ciascuna delle parti e, in ultima ipotesi, contenga previsioni le quali assicurino il raggiungimento del risultato, senza la prevalenza di una parte sull’altra (per esempio, mediante la indicazione di un soggetto terzo).E’, invece, in contrasto con gli evocati parametri costituzionali la drastica previsione, in caso di mancata intesa, della decisività della volontà di una sola delle parti, la quale riduce all’espressione di un parere il ruolo dell’altra.”.

154 Sul punto si rinvia a quanto sarà illustrato nel prossimo capitolo e, in particolare, al par. 5.3.2.

155

La pronuncia citata è commentata da (Di Cosimo, La leale collaborazione oltre il cerchio dei poteri pubblici, 2007, p. 1028), il quale sottolinea come, dal momento che la legge impugnata prevedeva che, in caso di mancata intesa fra la Giunta regionale e le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro in merito alla disciplina dei profili formativi dell’apprendistato professionalizzante, la Giunta

115 Più di recente, va ancora menzionata un’ultima sentenza nella quale il giudice delle leggi ha fatto applicazione del principio di leale collaborazione.156

In particolare, la disposizione regionale oggetto del giudizio di costituzionalità subordinava l’obbligo di contribuzione a titolo di solidarietà e perequazione, posto a carico della Regione dalla legge statale recettiva dell’accordo finanziario intercorso con lo Stato, alla piena ed effettiva attuazione dell’articolo 119 della Costituzione e alla verifica che un omologo contributo venisse