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La leale collaborazione nella funzione legislativa

6. IL REVIREMENT DELLA CONSULTA: LA LEALE COLLABORAZIONE DAL PIANO AMMINISTRATIVO A

6.1. Il consolidato orientamento giurisprudenziale

6.1.1. La leale collaborazione nella funzione legislativa

Va innanzitutto ricordato che, fin da tempo risalente e con un orientamento “granitico”1, la Consulta ha sempre ritenuto inapplicabile al procedimento legislativo il principio di leale collaborazione, poiché non imposto dalla Carta.

La forza di tale assunto non è stata smentita all’indomani della novella costituzionale, apparendo subito chiaro agli interpreti come l’attività delle Conferenze potesse influenzare solo politicamente ma non giuridicamente l’esercizio della funzione legislativa.2

Sul piano politico, infatti, il Governo – come si è avuto modo di sottolineare nel capitolo precedente – tiene in considerazione le indicazioni che provengono dal confronto con il sistema delle Autonomie nell’ambito delle Conferenze.

Sul piano giuridico, tuttavia, la partecipazione delle Regioni ai processi normativi statali si sostanzia in un’attività che non va oltre la mera attività consultiva. Il Parlamento, titolare del potere legislativo, mantiene intatta la propria piena discrezionalità ed è libero di disattendere le indicazioni che provengono dal sistema delle Conferenze.3

Si è visto come, in base alla disciplina contenuta nel d.lgs. 281/1997, la Conferenza Stato-Regioni esprime parere (obbligatorio ma non vincolante) sugli schemi dei disegni di legge, di

1

Si vedano ex multis le sentenze Corte cost. n. 373 del 1997; n.408 del 1998; n. 437 del 2001; n 376 del 2002; n. 196 del 2004; n. 231 del 2005; n. 401 del 2007; n. 159 del 2008; n. 225 del 2009.

2 Come è stato messo in luce dalla dottrina nella prima sentenza della Corte costituzionale successiva alla riforma del Titolo V, la n. 437 del 2001 (Caretti, Gli "accordi" tra Stato, Regioni e autonomie locali: una doccia fredda sul mito del "sistema delle Conferenze"?, 2002, p. 1171). Con riferimento alla partecipazione delle Regioni al procedimento legislativo nazionale, l’A. sottolinea che l’efficacia degli strumenti di cui si avvale il sistema delle conferenze risulta del tutto spuntata sul piano giuridico e interamente affidata alla dialettica politica tra i diversi soggetti istituzionali in campo: tali strumenti non sono in grado, infatti, di condizionare tale procedimento né dal punto di vista formale (rispetto delle cadenze procedurali che vedono entrare in campo a diverso titolo le conferenze) né, tanto meno, sostanziale.

3

166 decreto legislativo e di regolamento del Governo nelle materie di competenza regionale.4 Si è dato vita, in tal modo, ad una consultazione generalizzata e “permanente”, non più subordinata, cioè, alla singola previsione normativa5. In caso d’urgenza, la consultazione può essere posticipata6. Spetta alla Conferenza Unificata, invece, esprimere parere in merito al disegno di legge finanziaria e ai suoi collegati.7

Nei giudizi in via principale, le Regioni hanno tentato più volte di appellarsi alla citata disciplina per sostenere che la violazione delle procedure di cooperazione stabilite dalla legge sarebbe lesiva del principio di leale collaborazione, con conseguente illegittimità costituzionale delle disposizioni adottate in difformità o in assenza di tali procedure.

La Corte, tuttavia, non ha mai accolto tale impostazione, osservando come “Le procedure di

cooperazione o di concertazione possono (…) rilevare ai fini dello scrutinio di legittimità di atti legislativi, solo in quanto l’osservanza delle stesse sia imposta, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione”.8

Come è stato da più parti osservato, con la pronuncia richiamata il giudice delle leggi ha affermato che, in assenza di una precisa prescrizione costituzionale, gli accordi che si raggiungono in Conferenza non hanno, per forza propria, la capacità di imporsi sui circuiti decisionali degli organi costituzionali. Né potrebbe essere diversamente: non potendo "una manifestazione politica

di intento"9, cui si perviene tramite procedure del tutto informali, condizionare giuridicamente i successivi procedimenti decisionali degli organi costituzionali, fuori dallo schema delle procedure formali e tipiche che la Costituzione prescrive per la produzione di norme.10

Nonostante gli sforzi argomentativi delle Regioni, volti a trovare nel disposto dell’art. 11 l. cost. 3/2001 un appiglio di rango costituzionale fondante l’obbligo di procedure legislative ispirate alla leale collaborazione, tale fondamento non è stato mai riconosciuto dal giudice delle leggi.11

Per contro, è stato sottolineato che le ipotesi di consultazione delle Autonomie regionali e locali sono previste soltanto da una fonte di rango ordinario, e pertanto il mancato rispetto delle procedure previste da tali fonti non può rilevare sotto il profilo dello scrutinio di legittimità costituzionale delle disposizioni adottate.

Sul punto, va anche ricordato come la Corte abbia ritenuto – in una pronuncia risalente- come le scelte compiute dal legislatore ordinario nell’istituire il sistema delle Conferenze, quali sistemi di

4

Art. 2. comma 3 , d.lgs. 281 /1997.

5 In questi termini (Ruggiu I. , Conferenza Stato-Regioni: un istituto del "federalismo" sommerso, 2000, p. 884).

6

Art.2, comma 5, d.lgs. 281 /1997.

7

Art. 9, comma 2 lett. a), d.lgs.281 /1997.

8 Sent. Corte cost. n. 437 del 2001, con nota di (Caretti, Gli "accordi" tra Stato, Regioni e autonomie locali: una doccia fredda sul mito del "sistema delle Conferenze"?, 2002, p. 1169 e ss.).

9 Sent. Corte cost. n. 437 del 2001.

10 (Bin R. , Le deboli istituzioni della leale collaborazione, 2002, p. 4187).

11

Sent. Corte cost. 196 del 2004. Impugnando alcune disposizioni in materia di condono edilizio, le Regioni affermavano la lesione del principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo, dal momento che né in sede di adozione del decreto-legge, né in sede di adozione del disegno di legge di conversione, le autonomie regionali erano state consultate attraverso la Conferenza Stato-Regioni. Ad ulteriore sostegno delle proprie argomentazioni era stato altresì sostenuto che dall’art. 11, l. cost. 3/2001, sarebbe desumibile l’esistenza di un principio costituzionale che prescrive “la partecipazione regionale al procedimento legislativo delle leggi statali ordinarie, quando queste intervengono in materia di competenza concorrente”, e ciò pur in assenza dell’attivazione della “speciale composizione integrata della Commissione parlamentare per le questioni regionali” in esso prevista. La Corte ha ritenuto la questione non è fondata “perché non è individuabile un

fondamento costituzionale dell’obbligo di procedure legislative ispirate alla leale collaborazione tra Stato e Regioni (né risulta sufficiente il sommario riferimento all’art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001)”. (Corte cost. 196 del 2004 punto 27 Considerato in diritto).

167 raccordo fra il Governo e le Autonomie regionali e locali, siano legittime ma non “costituzionalmente vincolate”.12

Per tale via, facendo leva sull’assenza di obblighi concertativi imposti dalla Carta, la Corte ha escluso che, in sede di predisposizione o di approvazione dell’annuale legge finanziaria o di assestamento del bilancio dello Stato fosse configurabile un obbligo di formale, preventivo coinvolgimento delle Regioni. E ciò sulla base dell’assunto che è allo Stato che spetta, in via esclusiva, la decisione in merito all’allocazione delle risorse da destinare alle politiche pubbliche, potendo le Regioni recuperare un ruolo in sede di determinazione dei criteri di riparto sul territorio delle risorse medesime, attraverso lo strumento dell’intesa in Conferenza. 13

Per la Consulta, dunque, il mancato rispetto del principio di leale collaborazione, sotteso all’obbligo di coinvolgimento delle Autonomie territoriali tramite il sistema delle Conferenze, è giustiziabile solo “a valle”, e non “a monte”, del procedimento legislativo. Il punto costituisce uno snodo cruciale, che sarà oggetto di trattazione infra14.

Per il momento appare necessario sottolineare come, nella pronuncia in esame (e in molte altre successive), l’omessa consultazione della Conferenza Unificata non si traduce in un vizio formale della legge, nonostante il d. lgs. 281/1997 preveda espressamente il parere obbligatorio di tale organo per l’adozione dell’atto.15

La Corte, in sostanza, assegna scarso rilievo al vizio di forma, ritenendolo inidoneo ad inficiare la validità del provvedimento finale .

Imboccata la strada della sostanziale inconsistenza del vizio procedurale, la Corte non se ne discosta, rimarcando in moltissime occasioni come, anche qualora il Governo abbia omesso di sottoporre alla Conferenza gli schemi di disegni di legge, il Parlamento resti libero di intervenire.16

E ciò non solo – come è ovvio – in materie di competenza esclusiva dello Stato17, ma anche con riferimento alle competenze concorrenti, indubbiamente ricomprese – almeno in astratto - tra quelle “materie di competenza regionale” per le quali il d.lgs. 281/1997 prevede l’obbligo di consultazione.

12

Sent. Corte cost. n. 408 del 1998, secondo cui “La stessa previsione della conferenza Stato-Regioni, quale strumento di raccordo fra il Governo

e le autonomie regionali, come la previsione della istituzione di una conferenza Stato-città quale strumento di raccordo fra il Governo e le rappresentanze delle autonomie comunali e provinciali, rappresentano scelte non costituzionalmente vincolate. Parimenti, é una scelta discrezionale, non in contrasto con la Costituzione, la previsione della conferenza unificata, con la presenza sia dei rappresentanti delle Regioni, sia di quelli delle autonomie locali, quale strumento di raccordo fra Governo e sistema delle autonomie, allorchè siano in discussione argomenti di interesse comune vuoi delle Regioni, vuoi degli enti locali” (Corte cost. n. 408 del 1998 punto 19 Considerato in diritto)

13

Sent. Corte cost. 423 del 2004. In particolare, le Regioni ricorrenti lamentavano il loro mancato coinvolgimento nella determinazione della «misura complessiva» del Fondo per le politiche sociali, ovvero che la quantità di risorse da destinare alla spesa sociale non fosse stata «concordata tra Stato e Regioni». La Corte ha ritenuto la questione non fondata, escludendo che nella fase di determinazione dell’ammontare delle risorse da allocare al Fondo per il finanziamento della spesa sociale, sia configurabile un obbligo per il legislatore nazionale di procedere ad un diretto coinvolgimento delle Regioni, e ciò «nella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in

generale, dei procedimenti legislativi» ed anche solo «nei limiti di quanto previsto dall’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3».

Nell’affermare che spetta in via esclusiva allo Stato, nell’esercizio dei poteri di regolazione finanziaria, stabilire quanta parte delle risorse debba essere destinata alla copertura della spesa sociale, la Corte ha inoltre espressamente affermato che, in sede di predisposizione e di approvazione dell’annuale legge finanziaria o di altri atti legislativi incidenti sulla formazione o sull’assestamento del bilancio dello Stato, non è configurabile il formale coinvolgimento delle Regioni. Tale coinvolgimento – in ossequio al principio di leale collaborazione – deve, invece, essere assicurato nella fase di concreta ripartizione delle risorse finanziarie alle Regioni, anche attraverso l’intesa in sede di Conferenza unificata (Corte cost. 423 del 2004punto 7.4.del Considerato in diritto).

La pronuncia citata è commentata da (Vivaldi, il fondo nazionale per le politiche sociali alla prova della Corte costituzionale, 2004).

14 Si rinvia, per l’esame della giustiziabilità del principio di leale collaborazione, al par. 8.2.

15

(Carminati, 2009, p. 262).

16 (Carminati, 2009, p. 262).

17

168 E infatti, in materia di salute, il giudice delle leggi ha ritenuto insussistente la violazione del principio di leale collaborazione dedotta – per vero alquanto genericamente – dalle Regioni, affermando che costituisce «giurisprudenza pacifica di questa Corte che l’esercizio dell’attività

legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione».18

Ancora, in materia di finanziamento del servizio sanitario, la Corte ha respinto le doglianze regionali che – in maniera più puntuale rispetto al caso precedente - invocavano una preventiva verifica ed un accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni sulle misure legislative statali, ribadendo che le procedure di leale collaborazione non si applicano ai procedimenti legislativi.19

Analogamente, con riferimento alla competenza concorrente in materia di professioni, la Consulta ha precisato che il principio di leale collaborazione non opera nel caso in cui la fonte nazionale rechi principi fondamentali della materia.20

Nell’ambito delle fonti primarie, occorre ancora dare uno sguardo agli atti aventi forza di legge.

Fino alla recentissima svolta giurisprudenziale, il principio di leale collaborazione e il suo inveramento per il tramite del sistema delle Conferenze non avevano avuto particolare fortuna nell’esercizio dell’attività legislativa da parte del Governo per il tramite dei decreti legislativi delegati. Tuttavia, proprio in ragione della recente svolta in senso collaborativo della sentenza n. 251 del 2016, il rapporto tra l’attività consultiva delle Conferenze e la funzione legislativa delegata merita una trattazione più approfondita. Di questo ci occuperemo nel paragrafo successivo.

Venendo, infine, ai decreti-legge, va da subito evidenziato come la portata del vincolo collaborativo appaia, in questo caso, ancora meno stringente.

Al riguardo, la giurisprudenza, nel ribadire che non è individuabile un fondamento costituzionale dell’obbligo di procedure legislative ispirate alla leale collaborazione tra Stato e Regioni21, ha precisato che, per un verso, la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 281 del 1997 non prevede nessuna consultazione preventiva della Conferenza Stato-Regioni per i decreti-legge, e che, per altro verso, non è pensabile che il parere dell’organo predetto possa essere chiesto sul disegno di legge di conversione, che deve essere presentato immediatamente alle Camere e non può che avere il contenuto tipico di un testo di conversione. Infine, in relazione alla procedura d’urgenza prevista dall’art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 281 del 1997, secondo cui il Governo può adottare l’atto ma deve sentire la Conferenza Stato-Regioni successivamente, la Corte ha affermato che, nella fase

18 Sentenza Corte cost. n. 371 del 2008 punto 6 Considerato in diritto. Si trattava, in particolare, dell’impugnazione della legge 3 agosto 2007, n. 120 (Disposizioni in materia di attività libero-professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria). Nello stesso senso anche sentenza Corte cost. n. 159 del 2008.

19 Sentenza Corte cost. n. 98 del 2007, punto 8 Considerato in diritto.

La sentenza è commentata da (Di Girolamo, 2007, p. 503). In particolare, l’A., richiamando la diversa ipotesi di intesa “forte” richiesta dalla Corte per l’assunzione in sussidiarietà della competenza (sent. Corte cost. nn. 303 /2003 e 6/2004), si chiede il motivo per cui la Corte, nella pronuncia commentata, pur relativa ad un differente titolo competenziale, non abbia proseguito verso la strada della valorizzazione del principio di leale collaborazione, imponendo una fase di concertazione anche preventiva alla definizione in via legislativa dei meccanismi di finanziamento, o, comunque, procedure di accesso ai finanziamenti integrativi effettivamente paritari, e, quindi, fondati sul principio della cd. “intesa forte”. In definitiva, secondo il medesimo A., nella sentenza n. 98 del 2007 il principio di leale collaborazione sembrerebbe rimanere confinato ad una mera enunciazione teorica.

20 Sentenza Corte cost. n. 222 del 2008, con la quale la Corte, giudicando la legittimità costituzionale di disposizioni volte a liberalizzare l’esercizio dell’attività di guida turistica, ha affermato che il principio di leale collaborazione non opera nelle fattispecie in cui la norma nazionale detta princípi fondamentali in una materia di legislazione concorrente.

21 Precisando inoltre che risulta insufficiente, a tale fine, il riferimento all’art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 (Sent. Corte cost. 196 del 2004).

169 della conversione dei decreti-legge, il rispetto di tale procedura appare configurata come una mera eventualità. 22

In definitiva, qualora la fonte statale sia un decreto legge, il Governo non deve porre in essere alcun adempimento consultivo.

Dalla rassegna sinora effettuata, emerge con evidenza come la giurisprudenza costituzionale abbia contribuito a svalutare notevolmente la portata generale dell’obbligo consultivo della Conferenza Stato – Regioni, pur legificato in via generale dal d.lgs. 281 del 1997, nell’ambito dei processi legislativi statali.

Come si è già avuto modo di illustrare23, le uniche aperture in favore di un riconoscimento del principio di leale collaborazione sono rinvenibili nell’ambito dei casi di attrazione in sussidiarietà a livello statale di funzioni (amministrative e, di conseguenza, legislative) delle Regioni.

Senza voler ripercorrere argomenti già trattati, basterà qui ricordare che, in base ad una lettura “dinamica” e “procedimentale” del principio di sussidiarietà, laddove si riscontrino esigenze unitarie che giustifichino lo spostamento “verso l’alto” delle funzioni amministrative, lo Stato possa esercitare tali funzioni ed anche disciplinarle con fonti proprie, ma solo con l’adeguato coinvolgimento delle Regioni. Tale coinvolgimento – sotto forma di “accordo” – costituisce adempimento necessario poiché opera una sorta di compensazione alla sottrazione di competenze regionali (Corte cost. n. 303/2003).

La notissima pronuncia aveva lasciato, come si ricorderà, aperti alcuni interrogativi in merito alla natura giuridica dell’”accordo”, all’ambito di operatività della chiamata in sussidiarietà nonché, infine, in relazione al momento in cui esso dovesse intervenire.

Ai primi interrogativi è stata data risposta con la giurisprudenza immediatamente successiva24, riconoscendo sia che il coinvolgimento delle Regioni deve sostanziarsi in un’intesa di tipo “forte”, sia che l’attrazione in sussidiarietà è configurabile non solo nelle materie di competenza concorrente ma anche in quelle di competenza residuale.

Il terzo, relativo alla collocazione del coinvolgimento procedimentale delle Regioni è rimasto non risolto e costituisce tuttora uno degli snodi problematici per l’operatività della chiamata in sussidiarietà25.

22 Sent. Corte cost. 196 del 2004, in materia di condono edilizio. In particolare, secondo le Regioni, lo Stato avrebbe violato il principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo, dal momento che né in sede di adozione del decreto-legge, né in sede di adozione del disegno di legge di conversione, le autonomie regionali sono state consultate attraverso la Conferenza Stato-Regioni. Per la Corte: “La questione non è

fondata Ciò anzitutto perché non è individuabile un fondamento costituzionale dell’obbligo di procedure legislative ispirate alla leale collaborazione tra Stato e Regioni (né risulta sufficiente il sommario riferimento all’art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001). Quanto alla disciplina contenuta nell’art. 2 del d.lgs. n. 281 del 1997 (atto normativo primario), essa prevede solo un parere non vincolante della Conferenza Stato-Regioni sugli “schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o di regolamento”, mentre non prevede ovviamente nulla di analogo per i decreti-legge, la cui adozione è consentita, ai sensi dell’art. 77, secondo comma, Cost., solo “in casi straordinari di necessità e di urgenza”; né è pensabile che il parere della Conferenza Stato-Regioni possa essere chiesto sul disegno di legge di conversione, che deve essere presentato immediatamente alle Camere e non può che avere il contenuto tipico di un testo di conversione. In relazione alla previsione, nel comma 5 dell’art. 2 del d.lgs. n. 281 del 1997, che il Governo debba sentire la Conferenza Stato-Regioni successivamente, nella fase della conversione dei decreti-legge, la procedura ivi prevista appare configurata come una mera eventualità.” (Corte cost. 196 del 2004 punto 27 Considerato in

diritto).

23

Si rinvia alla trattazione del cap. 2 e, in particolare, al par.2.1.5.

24 Con la sentenza Corte cost. n. 6 del 2004 è stato chiarito sia che il coinvolgimento delle Regioni deve sostanziarsi in un’intesa di tipo “forte”, sia che l’attrazione in sussidiarietà è configurabile non solo nelle materie di competenza concorrente ma anche in quelle di competenza residuale.

25 Secondo (D'Atena, Le aperture dinamiche del riparto di competenze, tra punti fermi e nodi non sciolti, 2008, p. 815), l’altro nodo irrisolto concerne le forme della cooperazione, sia perché il sistema delle Conferenze non trova una copertura costituzionale e ha spostato l’asse

170 In altri termini, occorre chiedersi se, nei casi di attrazione della competenza legislativa a livello statale, l’accordo (cioè l’intesa in senso “forte”) con le Regioni debba avvenire prima dell’adozione della legge statale sussidiaria, oppure dopo.

Come è stato puntualmente osservato, nel primo caso, l’intesa assumerebbe carattere pre-legislativo, condizionando la legittimità della legge adottata sulla sua base; nel secondo, invece, precederebbe l’attività amministrativa e dovrebbe costituire il contenuto necessario di una legge adottata unilateralmente dallo Stato.26

E’ questo, come è intuibile, il vero “nocciolo” della questione.

Nel primo caso, spostando l’intesa “a monte” del procedimento legislativo, le Regioni assurgerebbero a co-normatori, partecipando alla funzione di indirizzo politico e così vedendo realizzata pienamente la partecipazione ai processi legislativi.

Nel secondo caso, invece, optando per la praticabilità di un’intesa solo “a valle” della fonte normativa, le Regioni verrebbero spogliate di competenze legislative senza un adeguato meccanismo compensativo, che viene riconosciuto solo per l’esercizio della funzione amministrativa.

Inizialmente è sembrato di poter rinvenire degli appigli in favore di una “procedimentalizzazione prelegislativa”, dal momento che la sentenza n. 6 del 2004 non precisa in quale momento della scansione del procedimento legislativo l’intesa debba essere raggiunta.

Come è stato sottolineato, infatti, dalla lettura della motivazione della sentenza da ultimo citata, la tempistica del momento concertativo sembrerebbe del tutto indifferente. Esso, cioè, potrebbe essere collocato prima (ovverosia all’interno del procedimento legislativo) oppure dopo (nella fase di adozione degli atti amministrativi regolati dalla legge sussidiaria).27

La giurisprudenza successiva, però, ha optato per un atteggiamento più restrittivo, ritenendo soddisfatto il principio cooperativo da un’intesa che intervenga solo “a valle” del procedimento legislativo.

La scelta della Corte non stupisce se si prendono in considerazione i due maggiori ostacoli all’accoglimento dell’ opposta opzione.

In primo luogo, il principio di leale collaborazione, pur di rango costituzionale, non è in grado di prevalere sulle norme sulla produzione che hanno carattere tipico e sul principio di tassatività delle fonti. 28

In secondo luogo, “nella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni

parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi – anche solo nei limiti di quanto previsto dall’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, gli unici strumenti e le uniche sedi della

collaborazione sono fornite dal sistema delle Conferenze, che, essendo incentrate sugli Esecutivi,

decisionale verso gli esecutivi, sia per via delle oscillazioni giurisprudenziali che non paiono distinguere con “criteri decifrabili” quando il coinvolgimento debba sostanziarsi in “pareri” “intese” o “accordi”.