La semiotica è lo studio dei segni e si occupa del valore simbolico attribuito a oggetti e parole. La semiotica fa riferimento a sistemi simbolici: quello più ovvio è il sistema ver- bale, ma ne esistono anche altri. Per esempio, un film utilizza i sistemi simbolici delle
parole pronunciate, dei gesti degli attori, della musica della colonna sonora e delle regole di regia e produzione per generare un significato complessivo. Questo deriva dall’intera- zione tra il sistema e l’osservatore o il lettore, che interpreta le informazioni alla luce di conoscenze e atteggiamenti esistenti, includendole poi in una mappa percettiva generale della realtà (su questo tema si veda anche il Capitolo 3).
I brand sono simboli importanti che spesso fanno uso di molteplici sistemi simbolici per generare un significato: a questo scopo contribuiscono il logo, il colore e il design della confezione. Secondo la semiotica, i brand si articolano su quattro livelli simbolici di seguito descritti.
1 Un simbolo funzionale, riferito agli aspetti pratici del prodotto e comprendente i si- gnificati di affidabilità, praticità, idoneità allo scopo e così via.
2 Un simbolo commerciale, che riguarda i valori di scambio del prodotto, potendo co- municare significati sul value for money o livello di costo.
3 Un simbolo socioculturale, che sottolinea gli effetti sociali derivanti dall’acquista- re (o non acquistare) il prodotto. I significati possono essere associati all’ingresso in gruppi di aspirazione o all’idoneità del prodotto per ricoprire determinati ruoli socia- li. Dalle ricerche emerge che persino i bambini vengono influenzati da questo aspetto: avere nello zainetto la merendina della marca giusta è considerato estremamente im- portante dai bambini di età compresa fra gli 8 e gli 11 anni (Roper e La Niece 2009).
Mastro Lindo non ha più una ruga. Capitan Findus s’è tinto barba e capelli. L’omino Michelin ha perso dieci chili. Il ti- grotto dei Frosties ha gli addominali scolpiti. Le faccine de- gli M&M’s sono diventate più sexy. Il Gallo del Riso ha lo sguardo più disteso e la cresta più turgida. Cosa succede? Al pari di molte celebrities, i personaggi di marca si fanno il ritocco. Sono icone dello star system pure loro. E il tempo passa inesorabilmente per tutti, reali o virtuali. Per appari- re sempre attuali, seducenti, ammiccanti, bisogna interve- nire costantemente sul proprio look, sull’aspetto fisico e
sul modo di comunicare.
Bibendum, l’ormai centenario uomo Michelin, è cambiato. In me- glio. Sicuramente fa una vita più sa- na e più serena: i tratti somatici si sono addolciti; è più snello; ha per- so le maniglie dell’amore; ha smes- so di bere e di fumare. Nel 1898, all’inizio della sua carriera, adorava il sigaro. Oggi non se ne parla nemmeno. E se nei primi annunci appariva spesso con il calice alzato, sempre a brindare, grossolano e goliardico, oggi ama la natura, la campagna, i bambini. È diventato un animo gentile e sensibile.
Il brand character – animale o antropomorfo che sia – è l’ambasciatore della marca, ne è la parte più visibile, insie- me al nome e al packaging. La sua funzione è veicolare la
personalità della marca, i suoi attributi, i suoi valori. Deve mantenere un link emozionale con il proprio pubblico ed essere sintonizzato con i codici e i segni del proprio tem- po. Per questo non può permettersi d’invecchiare.
Tony The Tiger, il mitico tigrotto dei Kellogg’s, ha cin- quantasei anni, ma non li dimostra. Deve aver fatto, negli ultimi tempi, molta palestra. E dieta. S’è asciugato e rasso- dato. Gli sono venuti deltoidi da nuotatore. E un paio di bicipiti da culturista. E ha perso il faccione tondo e ram- mollito di un tempo: i trattamenti cosmetici possono fare miracoli.
E Mastro Lindo? Be’, ormai si può dire, perché è di do- minio pubblico. Il celebre genio del pulito – marchio sto- rico della Procter & Gamble – ha fatto un lifting. Il volto è diventato più affilato, soprattutto il mento e l’area del- la bocca. Le rughe appianate, i tratti più distesi. Invece di chirurghi con bisturi e laser, è stato
“operato” da abili designer: esper- ti in creazioni 3D e programmi co- me Avid Softimage e Adobe Pho- toshop.
Trent’anni fa era un bullo nerboruto e – a dirla tutta – anche un po’ “coatto”. Ades-
so ha sopracciglia perfette e classe da vendere. Sembra uno stilista di moda. Chi dei due, Dolce o Gabbana? QUADRO 6.3 Brand character: Mastro Lindo ha fatto il lifting
4 Un simbolo dei valori mitici del prodotto. I miti sono storie eroiche riguardanti il prodotto, molte delle quali non sempre basate sui fatti: per esempio, il brand della motocicletta Harley Davidson contiene un forte valore mitico dovuto (in parte) al ruolo centrale ricoperto nel film Easy Rider. Lo stesso vale per l’Aston Martin pilota- ta da James Bond e per numerose marche di birra.
I miti forniscono uno schema concettuale attraverso il quale è possibile comporre le con- traddizioni della vita e su cui i brand possono fare leva. Per esempio, la moderna realtà industriale rappresenta l’antitesi, presumibilmente, della vita avventurosa dei pionieri. Eppure la Harley Davidson, un prodotto del ventesimo secolo, è stata utilizzata per evo- care la (probabilmente mitica) atmosfera di libertà e avventura del West americano. La maggior parte dei brand più forti contiene almeno qualche connotazione mitica: nella caso della marca di pane britannica Hovis esse sono incentrate sulle piccole panetterie sotto casa di cent’anni fa; in Malesia e Singapore, Tiger Balm si richiama agli antichi farmacisti cinesi; in Australia, Vegemite evoca valori mitici legati alla vita familiare au- straliana cui il suo principale concorrente, Promite, non ha mai attinto.
L’associazione di una serie di valori con il marchio può risultare estremamente utile quando si studia l’accoglienza di un’immagine di marca. L’importanza che i consumato- ri attribuiscono a questi valori può essere studiata per mezzo di focus group, analizzando poi i simboli chiave contenuti nel brand. I consumatori possono essere successivamente segmentati in funzione della loro sensibilità a quei particolari simboli e dell’affinità di questi ultimi con il personale sistema di valori interni del consumatore.
Uno studio condotto da Gordon e Valentin (1996) sui comportamenti d’acquisto al dettaglio ha mostrato che i vari punti di vendita comunicano ai consumatori sensazioni differenti (si veda il Caso di studio Fornarina nel Capitolo 3) in tutta la gamma delle ti- pologie d’acquisto, da quello pianificato e di routine fino a quello puramente impulsivo. I ricercatori hanno scoperto che ogni tipo di negozio soddisfa i bisogni dei clienti in modo differente e trasmette significati diversi in termini di adeguatezza di comportamento. I piccoli negozi che vendono beni di acquisto di uso generale comunicavano un’immagine di disordine e una sensazione di colpa e confusione (forse associata alla consapevolezza di aver dimenticato di acquistare alcuni articoli durante le regolari compere settimana- li). I supermercati vengono associati all’acquisto programmato e trasmettono un’imma- gine di efficiente gestione della casa e di funzionalità. Le stazioni di servizio comuni- cano un duplice significato di acquisto programmato (per il carburante) e impulsivo (nel negozio). Sia chi si sposta per lavoro e desidera prendersi una pausa, sia chi viaggia per turismo e cerca di rafforzare ancor più la sensazione di essere “in vacanza” è incline a effettuare acquisti impulsivi, motivati dall’esigenza di prendersi una piacevole parentesi. Infine, i negozi con licenza di vendere alcolici giustificano l’acquisto di alcol, permet- tendo ai clienti di comprare bevande alcoliche senza essere colti dalla spiacevole sensa- zione di essere disapprovati dagli altri acquirenti. Questi negozi offrono anche un am- biente in cui la gente si sente autorizzata a sperimentare nuovi acquisti.
Questi segni sono importanti non soltanto per gli stessi rivenditori, che possono avva- lersene per le loro finalità di differenziazione, ma anche per i produttori di beni di marca che devono scegliere i punti di vendita più appropriati per i propri brand e la collocazione da privilegiare all’interno dei locali. Per esempio, gli spuntini e le tavolette di cioccolata sono venduti con successo nelle stazioni di servizio, dove chi viaggia spesso va in cerca di gratificazioni per combattere la noia del viaggio.