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I marchi commercial

Nel documento Fondamenti di Marketing - Terza edizione (pagine 193-200)

Il potere dei distributori è cresciuto progressivamente negli ultimi trent’anni, con una vera e propria proliferazione di prodotti con marchio proprio (i cosiddetti private la-

bels). In passato i prodotti con il marchio del rivenditore offrivano, di solito, una qua- lità inferiore rispetto a quelli marchio industriale, ma oggi la situazione è radicalmente cambiata, tanto che in molti casi sono anche migliori. Nel Regno Unito, in alcune delle catene di rivendita più importanti, come Tesco e Sainsbury, questi brand rappresentano fino al 60% delle vendite totali; lo stesso vale in Francia per Carrefour (che ha creato lo slogan: «Carrefour – c’est aussi une marque» ovvero: «Carrefour – è anche una mar- ca») (Hankinson e Cowking 1997). Per i produttori questa tendenza crea un problema di risposta: è opportuno che il produttore investa ancora di più sul suo brand per vincere la battaglia contro il distributore, oppure è meglio dedicarsi a produrre per conto del ri- venditore (Quelch e Harding 1995)? Oggi succede spesso che i produttori diventino for- nitori di articoli con il marchio commerciale che entrano in concorrenza con quelli con marchio proprio. Le ragioni per farlo sono compendiate nel prosieguo.

l Economie di scala. Se i volumi di produzione aumentano, il produttore riesce ad ac- quistare materie prime in quantità superiori o a investire in sistemi di produzione più efficienti.

l Impiego della capacità in eccesso. In alcuni casi, effetti stagionali e sinergie di pro- duzione possono rendere attraente produrre con il marchio del rivenditore.

l Base per espandersi. Fornire a un distributore prodotti con il suo marchio può aprire opportunità supplementari di fornire altri beni in futuro.

l Nessun costo di promozione. Il rivenditore sostiene tutti gli investimenti da effettuare nel brand (che in ogni caso è, naturalmente, un’estensione del nome commerciale del rivenditore).

l Non c’è altra scelta. Alcune catene distributive (nel Regno Unito Marks and Spen- cer, per esempio) commercializzano soltanto brand propri. I produttori che desidera- no concludere affari con questi rivenditori non hanno altra scelta che produrre con il marchio del cliente.

l Escludere la concorrenza. Se il produttore non fornisce i beni con il marchio del ri- venditore, lo farà un altro fabbricante.

È abbastanza normale che i produttori con un brand forte si rifiutino di produrre beni con marchio commerciale, come dimostra l’esempio della rinomata marca di cereali per colazione Kellogg’s. Se il brand è sufficientemente forte, può permettersi di varare una piattaforma basata sull’assunto che «non si ammettono imitazioni».

In passato i prodotti marchiati dal rivenditore si presentavano come versioni econo- miche delle marche leader, ma oggi molti rivenditori possiedono una forza finanziaria sufficiente a sostenere lo sviluppo di versioni dei prodotti del tutto nuove, alcune delle

quali superiori ai brand esclusivi e, di conseguenza, sono riusciti ad acquisire rilevanti quote di mercato (per esempio l’italiana COOP).

In molti casi questo risultato è stato ottenuto creando brand “fotocopia”, cioè com- mercializzando un prodotto molto vicino a quello della marca leader. Nel Regno Unito questa tendenza ha stimolato la formazione di comitati come il British Producers e il Brand Owners Group, che esercitano pressioni sul Parlamento affinché disciplini l’imi- tazione, sia d’immagine sia fisica, dei brand più noti. In effetti, una ricerca ha mostrato che, sebbene i consumatori che sbagliano involontariamente la scelta della marca siano pochissimi o forse nessuno (Balabanis e Craven 1997), viene creato comunque una certo grado di confusione. I distributori (forse con un pizzico di malafede) sostengono che le confezioni simili a quelle originali aiutano i consumatori a individuare i prodotti, men- tre i fabbricanti controbattono che i “cloni” suggeriscono che i prodotti siano identici. In altre parole, la confusione non sembra provocare errori dei consumatori nella scelta dei prodotti, ma si esprime a un livello più sottile, contribuendo alla formazione di con- vinzioni errate sugli attributi dei prodotti fotocopia sulla base di quelli del brand leader (Foxman et al. 1992).

Un’altra argomentazione avanzata dalle catene distributive sostiene che i brand forti dei produttori hanno creato di per sé categorie di prodotti generiche, come nel caso delle “miscele oro” di caffè. I rivenditori, in sostanza, sostengono che prodotti con qualità e caratteristiche paragonabili dovrebbero apparire il più possibile simili a quelli della mar- ca che per prima ha creato quei valori, un discorso particolarmente irritante per produt- tori che in passato hanno investito molto denaro per costruire brand forti.

La confezione

Anche la confezione (packaging) fa parte del prodotto, poiché anch’essa può offrire be- nefici sia ai produttori sia ai distributori e ai consumatori/clienti. Ricerche recenti mo- strano come una confezione attraente attivi aree cerebrali normalmente associate con la ricompensa, mentre confezioni sgradevoli attivano aree diverse, tra cui una normalmen- te associata ad attività negative, come la reazione a offerte non eque o la visione di im- magini disgustose (Stoll et al. 2008).

Essa può comprendere fino a tre livelli di materiali. La confezione primaria è il con- tenitore vero e proprio: per esempio, la bottiglietta di vetro di un profumo. La scatola di cartone che contiene la bottiglia è la confezione secondaria: essa fornisce una ulteriore protezione e numerose opportunità di comunicazione ai clienti e sul punto di vendita. L’imballaggio (terzo livello) comprende i materiali necessari per il magazzinaggio, l’i- dentificazione e il trasporto del prodotto.

Se il compito principale del packaging è quello di proteggere il contenuto dall’am- biente esterno e viceversa, con lo sviluppo del libero servizio e l’aumento del tenore di vita di molti gruppi di consumatori, svolge anche le seguenti funzioni supplementari:

l informare i clienti;

l fornire le informazioni obbligatorie per legge;

l a volte facilitare l’impiego del prodotto (per esempio, l’anello posto sul coperchio delle lattine rende più facile aprire la confezione).

Le scelte riguardanti la confezione riguardano aspetti come la resistenza alle mano-

missioni (per esempio, le fascette che saldano i tappi impediscono l’apertura delle bot-

tiglie poste sugli scaffali dei supermercati) e l’impiego del prodotto da parte dei clienti (per esempio, l’evoluzione dei metodi utilizzati per confezionare la birra, dove si è pas- sati progressivamente dalle bottiglie alle lattine, alle lattine con apertura ad anello, alle

lattine con apertura ecologica ad anello solidale e, infine, agli attuali sistemi dotati di spina). Negli ultimi anni i consumatori sono diventati più sensibili ai problemi ambienta- li e, di conseguenza, oggi molte confezioni sono riciclabili o biodegradabili. Ovviamen- te, è importante che le confezioni appaiano accettabili ai consumatori e, quindi, devono rispondere a requisiti di igiene e praticità. Nel Regno Unito si è verificata una crescente tendenza a studiare confezioni che possano godere della protezione della legge promul- gata nel 1994 a difesa dei marchi di fabbrica (Trade Marks Act), con il preciso intento di impedire agli imitatori di produrre confezioni fotocopia di quelle di marca. In alcuni casi, le confezioni sono state progettate in modo da risultare costose da copiare, attraver- so forme insolite che comportino elevati costi per le attrezzature produttive o complesse procedure di stampa (Gander 1996). Le confezioni “me too” sono diventate particolar- mente comuni tra le versioni di prodotti popolari distribuite con il marchio dei super- mercati, e si è molto discusso sull’accettabilità di simili iniziative dal punto di vista eti- co. In alcuni paesi, le imitazioni troppo simili all’originale violano le leggi sul copyright o sui brevetti (Davies 1995).

Anche il colore ha la sua importanza: per esempio, Heinz utilizza un’etichetta turche- se per la scatola dei suoi fagioli al forno per esaltare il colore arancio dei legumi osserva- bile all’apertura del barattolo. Persino le proporzioni dell’imballo possono fare una dif- ferenza: il rapporto tra i lati della scatola ha un certo effetto sulla percezione (Raghubir e Greenleaf 2006).

Negli ultimi tempi, a causa dell’enorme sviluppo del commercio mondiale, è diven- tato necessario prendere in considerazione anche gli obblighi di legge riguardanti le eti- chette, che differiscono da un paese all’altro: per esempio, le informazioni nutrizionali da fornire sono differenti in ogni paese (negli Stati Uniti, per esempio, occorre riportare nell’etichetta la quantità di grasso contenuta nell’alimento espressa come percentuale di un’assunzione calorica giornaliera di 2000 calorie). In molti paesi sono state recente- mente introdotte normative che impongono, per i prodotti alimentari, l’indicazione in etichetta dell’eventuale presenza di organismi geneticamente modificati (OGM). Ciò ha creato non pochi problemi per le grandi multinazionali alimentari, che si approvvigiona- no sia degli ingredienti sia dei prodotti finiti da una molteplicità di fonti a livello globale (D’Souza et al. 2008).

Molte volte, le confezioni sono utilizzate anche per promuovere altri prodotti della linea dell’impresa (per esempio, nei prodotti alimentari, attraverso le istruzioni delle ri- cette) o per promozioni congiunte con aziende non concorrenti.

Fondata a Genova nel 1856, la Riso Gallo S.p.A. è oggi una tra le più grandi riserie d’Europa e tra le più antiche in- dustrie risiere italiane. La storia dell’azienda ha inizio con l’apertura di uno stabilimento per la lavorazione di riso- ne importato dall’area indonesiana e destinato all’esporta- zione in Sud America. Il successo ottenuto e la crescente esperienza nel settore convinsero i titolari a concentrare l’attenzione sulle coltivazioni italiane e, per tale ragione, gli impianti produttivi furono trasferiti prima a Novara e poi a Robbio Lomellina, attuale sede aziendale.

Fin dalla costituzione della società, l’area di gravitazio- ne commerciale ha interessato sia il mercato nazionale sia quello estero, ponendo le basi per quella vocazione inter- nazionale che ancora oggi contraddistingue l’azienda. Per far fronte alle necessità del mercato sudamericano, fu rea- lizzato un altro stabilimento in Argentina, l’Arrocera Ar- gentina, dove ebbe origine il marchio storico Riso Gallo

(Arroz Gallo). In quel periodo il riso era venduto in sacchi da 50 kg ai grossisti, che a loro volta lo commercializzava- no in sacchetti di carta, senza alcuna indicazione dell’azien- da produttrice.

Per questa ragione, vennero introdotte scatole di carto- ne per la vendita al minuto, le quali erano contraddistinte dallo stesso marchio del gallo impresso sui sacchi di riso per i grossisti. Il citato marchio fu depositato verso la fi- ne del 1930, in Italia e in Argentina, per distinguere i sac- chi dell’azienda da quelli della concorrenza. La decisione di adottare l’immagine di un animale è giustificata dall’eleva- to livello di analfabetismo che in quegli anni affliggeva l’Ar- gentina. I consumatori avrebbero così memorizzato non un nome, ma un disegno di un’immagine che conoscevano. Già allora il “gallo” individuava il riso di qualità migliore e per tale motivo divenne simbolo dell’azienda stessa (Figu- ra 6.12).

CASO DI StUDIO 7 Riso Gallo e l’innovazione di prodotto

Figura 6.12

Nuovo logo e logo storico della Riso Gallo.

L’idea di vendere il riso confezionato in scatole da un chilo con il marchio “gallo” si concretizzò anche in Italia e, nel 1943, Riso Gallo è stata la prima azienda a commercializzare il riso in scatole con marchio, quando ancora lo si vendeva sfuso. Si tratta di una svolta storica nel marketing del settore che testimonia il carattere dinamico e innovativo dell’azienda.

Nell’attuale contesto competitivo l’impresa può identifi- carsi come una realtà imprenditoriale altamente dinamica, caratterizzata da un management che ha saputo coniugare l’antica e radicata tradizione produttiva familiare con uno spiccato orientamento all’innovazione e al marketing.

La gestione del business ha condotto l’azienda a una no- tevole crescita dimensionale, raggiungendo un organico di 134 unità, cui corrisponde un fatturato di circa 103 milioni di euro nel 2011. L’approccio adottato da Riso Gallo nei con- fronti del mercato deriva da due diversi scenari, che si rife- riscono rispettivamente alla realtà italiana e a quella estera.

Per quanto concerne l’Italia, le principali problematiche riguardano il fattore tempo: oggi, infatti, si trascorrono in media venti minuti in cucina e il risotto tradizionale è una ricetta che richiede una preparazione di circa diciotto mi- nuti. Da una ricerca motivazionale commissionata dall’im- presa è emerso che «le giovani mogli considerano il risot- to un piatto fantastico e chiedono alle madri di cucinarlo la domenica quando si recano a trovarle». Come si intui- sce facilmente, questo comportamento limita il consumo di riso solamente a eventi occasionali, e per tale ragione Riso Gallo si è posta l’obiettivo di rendere più facile il con- sumo del risotto e di trovare nuove occasioni di consumo del riso.

All’estero, invece, il principale problema riguarda la scar- sa conoscenza di questo piatto, giustificando l’individuazio- ne di una diversa mission: «Diffondere la cultura del riso e del risotto nel mondo, con innovazioni graduali e conti-

nue che rispondano al meglio alle esigenze del consuma- tore moderno».

L’evoluzione del consumatore e le innovazioni di prodotto

La Riso Gallo S.p.A. ha consolidato nel tempo la sua posi- zione di leader di mercato attraverso costanti investimen- ti in ricerca e sviluppo, che da sempre hanno assecondato l’evoluzione dei bisogni e delle esigenze dei consumato- ri. L’area Ricerca e Sviluppo è organizzata in due divisio- ni: una svolge le sperimentazioni sul seme per lo svilup- po di nuove varietà di riso, l’altra si concentra sullo studio di nuovi prodotti. L’innovazione è considerata dal gruppo imprenditoriale una miscela composta da tre ingredienti: sogno, osservazione del modo in cui le persone vivono e conoscenza delle culture locali e di altri paesi. L’ascolto, la comprensione e l’anticipazione di bisogni e desideri dei consumatori rappresentano le chiavi interpretative dell’in- novazione aziendale, che viene efficacemente sintetizzata dalla cosiddetta “regola delle 4S” (De Felice 2006): • servizio (piatti facili e veloci);

• salute (equilibrati dal punto di vista nutrizionale); • sicurezza (massima garanzia di qualità e controllo); • sapore (delizioso).

Di seguito esaminiamo le principali innovazioni di prodotto introdotte da Riso Gallo sul mercato per mettere in prati- ca i dichiarati strategici.

Nel 1978 Riso Gallo lancia sul mercato italiano un pro- dotto nuovo, assolutamente innovativo per i tempi: il riso parboiled. Si tratta di un riso molto resistente alla cottura, ottenuto mediante il processo di “parboilizzazione” che gelatinizza l’amido, rispondendo così a uno dei problemi assai diffusi tra i consumatori: il timore per la tenuta in cot- tura. Alcune ricerche di mercato avevano evidenziato che «le signore erano restie a cucinare il riso per timore che potesse scuocere».

Nel 1996 la nuova linea di risotti pronti rappresenta una novità mondiale: il nome di lancio era Chicchi Conditi, oggi la denominazione è “Risotto”, poiché per la realizzazione di tale prodotto viene cucinato un risotto secondo la ricet- ta tradizionale. Il risotto così ottenuto è successivamente asciugato con aria calda, in modo che i chicchi assorbano sapori e condimento. Gli attuali risotti pronti prevedono l’aggiunta di ingredienti a pezzi, sono senza coloranti, con- servanti e glutammato di sodio.

Il lancio della linea 3 Cereali si concretizza nel 1999, in seguito a un’attenta analisi del mercato. Il consumo di ce-

reali era in crescita e registrava un forte potenziale di svi- luppo. Inoltre, dalle rilevazioni effettuate dalla rete ven- dita di Riso Gallo, emergevano alcuni punti di debolezza dell’offerta allora presente: prezzo elevato e scarso livello di servizio. Venivano infatti posti in vendita preparati per zuppe o minestre che andavano messi a bagno, confeziona- ti in sacchetti non sottovuoto, senza istruzioni dettagliate di preparazione e con lunghi tempi di cottura. Riso Gallo decise dunque di entrare nel mercato dei cereali con un prodotto vicino al mondo del riso, di buona qualità e per- formance, garantito da una marca leader.

Nel 2004 Riso Gallo lancia il prodotto “Blond Veloce & Versatile”, un riso parboiled di nuova generazione che cuo- ce in soli 8 minuti, adatto a tutte le ricette. Questo pro- dotto si ottiene sottoponendo il riso parboiled a ulteriori trattamenti termici: dopo la parboilizzazione, il riso viene cotto in acqua calda e poi disidratato in essiccatoi ad aria calda, creando delle microfessure sulla superficie che con- sentono ai liquidi di cottura di penetrare più facilmente nel chicco e di ridurre notevolmente il tempo di cottura.

Sempre nel 2004 Riso Gallo lancia un nuovo prodotto: la “Linea Expresso” che comprende il “Riso Expresso” e il “Risotto Expresso”. Questa particolare linea viene defini- ta la nuova generazione del riso e ha come finalità la sod- disfazione dei gusti dei consumatori moderni ed esigenti, che si attendono prodotti-soluzione piuttosto che sempli- ci prodotti-ingrediente. Si tratta di prodotti pratici, veloci, versatili e con modalità di preparazione semplici, che ri- spondono agli attuali stili di vita. Le persone, infatti, hanno sempre meno tempo da dedicare alla cucina, sono in au- mento coloro che mangiano fuori casa e si assiste sempre più al fenomeno della destrutturazione dei pasti. Il “man- giare tutti insieme” riguarda ormai soltanto una minoranza delle famiglie italiane e le persone, anche se vivono in fa- miglia, si comportano a tavola come se fossero dei single, CASO DI StUDIO 7 Riso Gallo e l’innovazione di prodotto (segue)

Figura 6.13

Campagna televisiva Riso Gallo Primo Premio 2012: Risotti Pronti e Risotti Expressi.

mangiando spesso pietanze diverse a orari differenti. I pro- dotti della linea Expresso sono realizzati con una tecnolo- gia innovativa, la cosiddetta “sterilizzazione a vapore” che garantisce un anno di conservazione a temperatura am- biente, senza conservanti né coloranti.

Nel 2005 il mercato della pasta di riso era in forte svi- luppo ed era presidiato da una sola marca, Scotti, che ave- va investito rilevanti risorse finanziarie in comunicazione, sviluppando notorietà e domanda. Tuttavia il prodotto offerto presentava debolezze in termini organolettici, di packaging e di prezzo, tanto da convincere Riso Gallo a creare una linea di pasta senza glutine, prodotta in un im- pianto italiano certificato e dedicato a prodotti senza glu- tine. Ulteriori benefit proposti riguardavano la digeribilità, un aspetto e colore più simili a quelli della tradizionale pa- sta italiana e la qualità al dente, grazie alla nuova ricetta ar- ricchita con farina di mais e grano saraceno.

Negli anni 2011 e 2012 l’azienda presenta le ultime in- novazioni di prodotto: Chicchi più Ricchi e Risotto Box.

La linea Chicchi più Ricchi racchiude due prodotti realiz- zati per coloro che sono attenti al proprio benessere e non vogliono rinunciare al sapore dei cereali:

• Chicchi più Ricchi Riso, Orzo e Avena con Betaglucani, che contribuisce a mantenere stabili i livelli di colesterolo; • Chicchi più Ricchi Riso con Sali Minerali, che concorre a

nutrire la vitalità.

Risotto Box è un risotto pronto da consumare con estre- ma comodità in ufficio o a casa, in soli 1,30 minuti. È un

prodotto ad alto contenuto di innovazione, preparato con ingredienti di qualità. La monoporzione da 325 grammi, in confezione che può essere messa direttamente nel micro- onde, è già completa di forchetta. Si tratta del primo pro- dotto di questo genere posizionato nello scaffale ambient.

L’evoluzione del consumatore e l’innovazione nella comunicazione

Oltre al sito web istituzionale, nel 2011 è stato creato

www.chicchiricchi.com, un sito ricco di contenuti e rubriche

dedicato alle consumatrici: racchiude ricette, informazioni e curiosità sul riso e anche intrattenimento con test, giochi e un blog. In concomitanza è stata realizzata anche la pa- gina facebook “Un Gallo in Cucina” per l’Italia e le pagine Facebook Riso Gallo UK e Riso Gallo France.

Nel 2011, Riso Gallo crea uno spot televisivo anche per il mercato estero. A differenza della strategia utilizzata in Italia con il testimonial, il galletto Chicco, all’estero l’azien- da vuole trasmettere tutti i suoi valori e l’italianità. Nasce così il nuovo spot Heritage, una storia ambientata nel terri- torio del pavese che racconta come Riso Gallo sia da sem- pre sulla tavola degli italiani.

In definitiva, l’azienda si è distinta nel tempo per un’in- novazione di prodotto guidata dalle esigenze insoddisfatte del consumatore. Questo orientamento spiega i numerosi successi ottenuti, non solo sul mercato italiano, ma anche su quelli esteri in cui è inserita, perseguendo non tanto un obiettivo di vendita di riso, quanto il proposito di veicolare cultura e un prodotto tipico della tradizione culinaria ita- liana: il risotto.

CASO DI StUDIO 7 Riso Gallo e l’innovazione di prodotto (segue)

Figura 6.14

Un’immagine dello spot Heritage di Riso Gallo, realizzata da Armando Testa.

Sintesi conclusiva

Nel documento Fondamenti di Marketing - Terza edizione (pagine 193-200)