Per aggiungere valore al prodotto attraverso l’identità di marca non basta soltanto in- ventare un nome accattivante. Il branding rappresenta il culmine di una serie di attività
che interessano l’intero marketing mix e portano a formare un’immagine di marca che trasmette una varietà di messaggi al consumatore (nonché ad amici e parenti) su quali- tà, prezzo, prestazioni e status. Per esempio, il marchio Porsche comunica un’immagine di eccellenza tecnica, affidabilità, sportività, alta velocità e prezzi elevati, ma anche di ricchezza e successo del proprietario. La gente non compra una Porsche soltanto come mezzo di trasporto.
Poiché il branding coinvolge tutti gli elementi del marketing mix, non può essere visto soltanto come uno strumento tattico concepito per differenziare il prodotto sugli scaffali del supermercato. Va considerato, piuttosto, come il punto focale degli sforzi di marketing, come un’opportunità per far convergere i pensieri del management verso l’o- biettivo primario dell’impresa, cioè la soddisfazione dei consumatori. Il marchio funge da punto di contatto comune tra il produttore e il consumatore, come mostra la Figura 6.8.
Come emerge dalla figura, il consumatore trae dal marchio il vantaggio di sapere quale sarà la qualità del prodotto e la performance che può aspettarsi. Inoltre, in certi ca- si il marchio farà crescere anche l’immagine di sé (per esempio, un prodotto prestigioso trasmette per associazione prestigio anche al consumatore; viceversa un prodotto econo- mico può rafforzare nel consumatore un senso di morigeratezza e l’orgoglio di saper in- dividuare un buon rapporto qualità/prezzo).
Quando – e succede frequentemente – il prodotto fondamentale non si presta a es- sere differenziato da altri prodotti, il marchio può diventare davvero l’unico possibile strumento di distinzione. Per esempio, Levi’s è la marca di jeans più venduta al mondo, eppure le uniche differenze percepibili tra i Levi’s e i Wranglers sono le cuciture sulle ta- sche e il marchio. Un altro esempio ben noto riguarda l’aspra concorrenza tra Pepsi Cola e Coca-Cola: nei test ciechi (blind test), i più mostrano di preferire il gusto della Pep- si, eppure le vendite della Coca-Cola superano quelle della Pepsi in praticamente tutti i mercati mondiali. Questo manifesto paradosso è attribuibile soltanto all’effetto dell’im-
Input del produttore verso i brand
Differenziazione da brand concorrenti Performance attesa Costo Qualità Immagine di sé Output del consumatore dai brand
brand Evidenza fisica Processo Persone Promozione Prezzo Luogo Prodotto Figura 6.8
Il marchio come punto di contatto
magine di marca della Coca-Cola, come è attestato dal fatto che se ai consumatori si consente di vedere la lattina da cui proviene la bibita che stanno assaggiando, allora la Coca-Cola diventa la marca preferita.
Malgrado la natura apparentemente artificiale della differenziazione realizzata attra- verso il marchio, i benefici per i consumatori sono molto concreti: sono stati effettuati
Funzione Spiegazione
Il brand come segnale di proprietà
Un tempo, il marchio serviva a indicare chi aveva sostenuto le attività di marketing per la marca. Era un tentativo di difendere la formulazione del prodotto nei casi in cui la protezione dei brevetti si mostrava insufficiente; un altro obiettivo era quello di garantire che i clienti sapessero se stavano acquistando una marca industriale o una marca puramente commerciale. Il brand come strumento
di differenziazione
Non c’è dubbio che un brand forte è in grado di differenziare un prodotto dalla concorrenza, ma non è di per sé sufficiente, perché occorre comun- que che anche il prodotto sia in qualche modo distinguibile dagli altri. In sostanza, l’immagine della marca è uno strumento di comunicazione che trasmette la differenza al consumatore.
Il brand come mezzo funzionale
Il branding può essere utilizzato per comunicare caratteristiche funzionali. In altre parole, il marchio può trasmettere al consumatore l’immagine della qualità e della performance attese dal prodotto.
Il brand come strumento simbolico
Il simbolismo associato a certi brand consente al consumatore di afferma- re qualche aspetto di se stessi. Questo effetto è particolarmente evidente nel settore dell’abbigliamento “firmato”: una maglietta pur molto ordinaria acquista valore aggiunto quando sulla parte anteriore vi viene stampato il nome dello stilista che l’ha disegnata. Se i consumatori si convincono che il valore del marchio risieda nella sua capacità di comunicare, sono disposti a dedicare molto tempo e sforzi per scegliere la marca che trasmetta l’im- magine desiderata.
Il brand come fattore di riduzione del rischio
Nessun acquisto è esente da rischi: il prodotto potrebbe non funzionare secondo le attese e, se succede, chi l’ha venduto potrebbe non essere disposto a intervenire per porvi rimedio. Acquistare un prodotto di una mar- ca rinomata offre al consumatore un certo grado di tranquillità sia verso il prodotto sia verso il produttore. Un buon responsabile marketing si impegna a scoprire quali rischi preoccupano maggiormente i clienti o i consumatori e sviluppa una presentazione del brand indirizzata a sciogliere quei dubbi. Il brand come strumento
“stenografico”
I brand vengono utilizzati come mezzo per classificare le informazioni riguar- danti un prodotto nella memoria dei consumatori. Ciò è particolarmente im- portante quando il marchio viene esteso ad altre categorie di prodotti, dato che la percezione del consumatore riguardante il prodotto originario viene trasferita alla nuova marca: per esempio, Virgin ha esteso con successo l’im- magine della sua marca dai CD alla vendita al dettaglio, alle linee aeree e ai servizi finanziari, sempre conservando il medesimo approccio innovativo e servendo segmenti di mercato simili tra di loro.
Il brand come strumento legale
I marchi offrono al produttore un certo livello di protezione legale, perché la confezione e il nome possono essere protette, mentre (spesso) la formula- zione del prodotto non può esserlo. I brand forti garantiscono una difesa più salda alla proprietà intellettuale dell’impresa.
Il brand come elemento strategico
Gli asset che costituiscono il brand possono essere identificati e gestiti, per far sì che il marchio preservi le sue caratteristiche e si rafforzi grazie al valore aggiunto che rappresenta.
Tabella 6.7
Funzioni strategiche dei brand.
esperimenti che dimostrano come gli analgesici di marca funzionano meglio di quelli generici per alleviare il dolore, anche se la formula chimica è identica. È l’effetto della forza psicosomatica del marchio. Chi possiede un’auto di prestigio può guadagnare van- taggi molto reali in termine di rispetto e invidia da parte del prossimo, anche se le pre- stazioni dell’auto non sono superiori a quelle delle sue concorrenti più economiche.
I brand possono essere esaminati da diverse angolazioni. La Tabella 6.7 descrive otto loro diverse funzioni strategiche.
La differenziazione presenta chiari vantaggi sia per il produttore sia per il rivendito- re, in quanto aiuta a distinguere il prodotto da quelli della concorrenza. A essa vengono attribuite economie di scala e di varietà, e un marchio molto venduto genera economie produttive. Un brand di successo, inoltre, crea una barriera d’ingresso e i concorrenti in- contrano maggiori difficoltà a entrare nel mercato (Demsetz 1982). Il marchio, dunque, consente all’impresa di non dover competere soltanto sul prezzo, con l’ovvio vantaggio di non dover ridurre i margini per poter competere con efficacia.
Ma c’è anche un altro vantaggio: le marche molto stimate hanno vendite più stabi- li, cioè risentono meno delle altre delle oscillazioni del mercato (Png e Reitman 1995). Non tutti i brand scelgono di applicare un sovrapprezzo: molti preferiscono fissare prezzi competitivi, puntando su un incremento dei volumi di vendita.
Ma il branding offre vantaggi anche ai consumatori che trovano più facile ricono- scere il prodotto e identificarsi con esso. I messaggi riguardanti la formulazione e i be- nefici vengono comunicati con chiarezza e, nella maggioranza dei casi, l’impiego di una certa marca parla del consumatore (per esempio, indossare abiti firmati) (Bagwell e Bernheim 1996). Poiché la maggior parte degli acquisti richiede un impegno di problem
solving abbastanza limitato, il branding aiuta a ridurre il tempo necessario per decidere e anche la fatica di confrontare prodotti alternativi: il brand non deve necessariamente possedere tratti esclusivi per ottenere questo scopo (Romaniuk e Gaillard 2007). Quei consumatori che non vogliono perdere tempo a cercare informazioni su molti prodotti, o che non hanno la capacità di farlo, possono servirsi della marca come implicita garanzia di qualità. Queste disposizioni positive verso la marca sono dette “patrimonio di mar- ca per il consumatore” (consumer brand equity) e possono essere indotte da qualunque aspetto della marca, compreso il paese di origine (Pappu et al. 2006). Nel quadro 6.4 viene presentato un esempio di ridefinizione del marchio aziendale, finalizzato a una migliore aderenza con il target di riferimento e le caratteristiche dell’offerta aziendale.
Nei mercati business to business, gli acquirenti sono spesso disposti a pagare un prezzo superiore per una marca nota, in base alle condizioni seguenti (Persson 2010):
l Familiarità con la marca.
l Prodotto risolutivo. È la misura in cui il prodotto è in grado di fornire una soluzione ai problemi dell’acquirente.
l Associazione con servizi. È la misura in cui l’acquirente può verificare che il prodot- to godrà di una buona assistenza post-vendita.
l Qualità della distribuzione. Indica il grado di affidabilità ed efficacia delle conse- gne.
l Natura del rapporto. Indica la qualità dei rapporti di lavoro fra l’acquirente e il forni- tore.
l Immagine del fornitore. Riguarda tutti gli elementi che concorrono a formare la re- putazione dell’impresa fornitrice.
Negli esseri umani, l’archiviazione e il richiamo delle informazioni avviene attraverso un processo di raggruppamento e raccolta di grosse quantità di dati archiviati sotto un singolo “nome di classe” (Buschke 1976). In effetti, il marchio fornisce un raggruppa-
Manas, azienda calzaturiera marchigiana, inizia la propria operatività nel 1956. La produzione delle pantofole mar- chiate “Conchita” prende l’avvio con un’innovazione: il processo di vulcanizzazione, che trasforma la gomma in un materiale elastico e resistente, consentendo al piccolo laboratorio di ottenere calzature comode e confortevoli (caratteristica questa che verrà espressamente dichiarata all’interno della marca aziendale).
Il processo di innovazione nella produzione continua an- che negli anni Sessanta, assecondando la crescita dell’a- zienda anche sui mercati internazionali: giungono infatti dalla Svezia le prime commesse straniere. Successivamen-
te viene sviluppata un’ulteriore linea di calzature per bam- bino marchiata “Santa Maria”.
Negli anni Settanta viene creata un’unica struttura pro- duttiva che presto inizierà a realizzare anche calzature da donna, caratterizzate dal comfort, tratto comune alle al- tre due linee già esistenti, al quale si aggiunge il contenu- to moda.
Alla guida dell’azienda si inseriscono i tre figli del fon- datore, i quali incrementano gli investimenti sul branding. Viene creato il marchio Manas, che non è altro che un acronimo derivante dal nome dei tre nuovi titolari dell’a- zienda: Marino, Nazzareno e Angelo.