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Questa breve panoramica concernente la meditazione e l’esegesi che i pensatori cristiani dei primi secoli hanno praticato in rapporto al racconto delle origini contenuto nelle Scritture, sebbene non sia stata condotta in maniera analitica e non permetta di riscontrare nel dettaglio gli eventuali rapporti di influenza, analogia o discordanza intercorrenti tra il pensiero di Agostino e quello di coloro che lo hanno preceduto, mi è sembrato utile e proficua. Essa permette infatti di ricostruire alcuni elementi fondamentali della tradizione di pensiero in cui la riflessione agostiniana sulla creazione nasce e prende forma. Provo, a tal proposito, a tracciare un breve bilancio dei dati più significativi che sono emersi nel corso del presente capitolo.

L’attenzione dei pensatori cristiani in rapporto alla tematica della creazione si è esplicitata dando vita a quello che si potrebbe definire un “fatto letterario” di natura davvero notevole: i primi quattro secoli dell’era cristiana conoscono infatti il proliferare di un’ininterrotta serie di scritti concernenti l’opera dei sei giorni o il commento più o meno puntuale e più o meno esteso del testo biblico della Genesi. Un simile genere letterario andrà progressivamente definendosi e uniformandosi, senza che per questo scompaiano le differenze di approccio e l’originalità esegetica e speculativa dei vari autori che in esso scelgono di cimentarsi. Accanto alla pressoché costante presenza, a livello di catechesi battesimale o di formulario destinato al culto, della fede nel Dio unico, onnipotente e creatore, si apre quindi in ambito cristiano un ulteriore spazio dedicato a una serie di riflessioni, di esplicazioni speculative e di discussioni finalizzate alla difesa e all’edificazione in chiave positiva di questa stessa verità di fede.

Da quanto detto, emerge già un secondo elemento fondamentale: se è vero che la letteratura cristiana che discute e approfondisce la tematica della creazione trova nel confronto, spesso molto aspro e serrato, con la filosofia dei grandi maestri greci uno stimolo importante e decisivo, capace di renderla più rigorosa e consapevole, bisogna sottolineare come tra queste due forme di pensiero intercorra un rapporto sintetizzabile fondamentalmente in termini di eterogeneità144. La speculazione cristiana non si propone né si autocomprende come una riflessione di carattere primariamente razionale tendente a individuare in chiave univocamente “scientifica” lo statuto e la genesi del cosmo e degli

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Cfr. ivi I, 5, 19.

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esseri che esso contiene, ma, al contrario, si colloca sul piano del rapporto personale e salvifico che lega il credente al Dio creatore e prende le mosse a partire da una verità rivelata che intende confermare e approfondire, affinché sia riconosciuta come la sola e autentica verità degna di fede. Pur non potendo esaminare adeguatamente i numerosi sviluppi che una simile affermazione meriterebbe, mi sento in dovere di offrire a tal proposito alcune brevi precisazioni.

Come detto, non sono un intento di tipo scientifico o un metodo induttivo legato all’osservazione empirica dei fenomeni naturali145 le principali ragioni che muovono la riflessione cristiana sulla creazione. Se è vero che in alcuni casi il tentativo di conciliare la rivelazione divina con le dottrine puramente umane della filosofia pagana ha dato vita a quelle che sono state definite “le prime tracce della scienza astronomica dei cristiani”146, è altrettanto vero il fatto che le riflessioni dei Padri della Chiesa non sembrano animate dal desiderio di possedere una conoscenza minuziosa e approfondita delle teorie riguardanti gli elementi o i corpi celesti147. Al contrario, è su di un numero piuttosto esiguo di nozioni basilari che i Padri poggiano la propria attività esegetica e speculativa, non proponendosi di estendere effettivamente i confini delle proprie conoscenze nel campo degli studi fisici o astronomici.

Sarebbe tuttavia sbrigativo e non conforme al vero un giudizio che si limitasse a definire anti-scientifico l’approccio speculativo messo in campo dai pensatori cristiani. Il fatto che il loro discorso possa apparire a un osservatore contemporaneo irrazionale e totalmente incompatibile con i canoni che definiscono il moderno criterio di scientificità non significa che l’intera riflessione dei pensatori cristiani dei primi secoli non possegga un intento di autentica comprensione della genesi e dello statuto reali del cosmo. Una simile considerazione si rivela pertinente soprattutto a proposito di un pensatore quale Agostino, che nella sua opera maggiore dedicata alla tematica della creazione, il De Genesi ad litteram, chiarisce in maniera inequivocabile la necessità, da parte di ogni annunciatore del messaggio cristiano, di non misconoscere la verità annunciata dalle Scritture opponendola ai dati indubitabili forniti dalla scienza conformemente all’evidenza degli accadimenti fenomenici. In questo senso, secondo Agostino, la ragione e la fede si pongono fianco a fianco nel riconoscimento del medesimo e solo contenuto veritativo: ogni tesi falsa sullo stato delle cose è contraria alla rivelazione contenuta nel testo sacro,

145 Congar, Le thème, in L’homme devant Dieu, cit., pp. 213-214: «Ils [scil. Les Pères de l’Église] n’avaient à peu près aucune idée d’une connaissance des choses tirée de l’expérience, en tout cas pas de l’expérimentation rationnellement instituée, renouvelable, mathématisée. Ils connaissaient ou croyaient connaître les choses à partir des textes, non à partir des choses elles-mêmes».

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Cfr. P. Duhem, Le système du monde. Histoire des doctrines cosmologiques de Platon à Copernic 2, Hermann, Paris 1914, p. 395.

147 Ivi, p. 396: «Les Pères de l’Église ne semblent nullement se piquer d’une connaissance minutieuse et approfondie des théories relatives aux éléments ou aux corps célestes; la science qu’ils supposent chez auditeurs ou leurs lecteurs, celle dont ils paraissent eux mêmes se contenter, se compose d’un petit nombre de propositions simples et générales».

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così come, viceversa, ogni affermazione contraria alle Scritture non può che essere falsa. Ne consegue dunque che la contraddizione da parte di qualsivoglia cristiano, nel nome della propria erronea credenza, del patrimonio di conoscenze scientifiche osservabili e verificabili costituisce unicamente un esposizione dei Libri Sacri nella loro totalità al discredito e alla diffidenza da parte degli uditori pagani148. Com’é noto, una simile posizione capace di conciliare l’autonomia, la complementarità e l’accordo reciproci tra la fede cristiana e la prassi della speculazione scientifica incontrarono l’approvazione di Galileo, che proprio all’auctoritas di Agostino fece ricorso in una celebre missiva inviata a Cristina di Lorena nell’anno 1615.

Tornando a quanto stavo osservando, cerco brevemente di esporre le ragioni che determinano l’atteggiamento che i primi pensatori cristiani adottano nei confronti della scienza cosmologica profana e che non deve essere inteso nei termini di un totale rifiuto, quanto piuttosto in quelli di un’accettazione parziale, nei limiti della compatibilità della scienza con le verità rivelate nelle Scritture. Come già emerso dal discorso precedentemente condotto, i Padri si muovono all’interno di un orizzonte di pensiero circoscritto e in conformità all’insegnamento delle sacre Scritture. Tuttavia, l’accettazione di un dato stabilito previamente rispetto al corso delle indagini proposte, e dunque sostanzialmente presupposto, non appare ai loro occhi come un sintomo di rinuncia nei confronti del rigore e dell’acribìa della ricerca scientifica e filosofica, ma al contrario come la garanzia di un discorso condotto sin dal principio con il maggior livello veritativo possibile. Il legame con il testo sacro non costituisce dunque, a ben guardare, un’inibizione del pensiero, ma, più profondamente, la sua massima liberazione e il suo più alto esercizio149.

La verità di cui si ricercano le trame è da subito rivelata all’interno di una serie di testi di ispirazione divina e compito del pensatore cristiano è perciò quello di comprenderne a pieno il contenuto. L’adesione al dato rivelato, in questo senso, non viene intesa dai Padri che indagano l’origine del cosmo come un relegare definitivamente il discorso su un piano caratterizzato dall’irrazionalità e dal fideismo ingenuo. Uno statuto controverso e inattendibile, se paragonato all’accordo vigente tra gli autori sacri, si rivela invece ai loro occhi quello con cui si presentano la letteratura e la filosofia profana, le quali, ospitando al proprio interno un’interminabile serie di contrasti e disaccordi,

148 Gn. litt. I, xix, 39 (CSEL 28/1, pp. 28-29, xxii-xi): «Turpe est autem nimis et perniciosum ac maxime cauendum, ut christianum de his rebus quasi secundum christianas litteras loquentem ita delirare audiat, ut, quemadmodum dicitur, toto coelo errare conspiciens risum tenere vix possit. Et non tam molestum est, quod errans homo deridetur, sed quod auctores nostri ab eis, qui foris sunt, talia sensisse creduntur et cum magno eorum exitio, de quorum salute satagimus, tamquam indocti reprehenduntur atque respuuntur. Cum enim quemquam de numero christianorum in ea re quam optime norunt errare comprehenderint et uanam sententiam suam de nostris libris adserere, quo pacto illis libris credituri sunt de resurrectione mortuorum et de spe uitae aeternae regnoque coelorum, quando de his rebus, quas iam experiri uel indubitatis numeris percipere potuerunt, fallaciter putauerint esse conscriptos?».

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potrebbero ben essere descritte, utilizzando la nota immagine a cui Kant ricorrerà per descrivere la storia della metafisica pre-critica, come “un campo di lotte senza fine”.

Infine, il ruolo non primario assegnato dai Padri a quella che modernamente potremmo definire una “considerazione scientifica del mondo” si deve rinvenire nello spirito stesso che anima le pagine delle Scritture. Come ho avuto modo di dire esaminando brevemente l’esordio del libro della Genesi, la tematica della creazione non viene introdotta con finalità unicamente protologiche o con l’intento di fare chiarezza in maniera incontrovertibile sul processo mediante il quale si è originato l’universo, ma si fonde, assieme alla promessa escatologica della salvezza, in un unicum, costituito dalla vicenda del rapporto intimo e dell’Alleanza che legano il popolo ebraico, e con esso l’intero genere umano, al Dio unico, fedele, personale, onnipotente, creatore e salvatore del cosmo e della storia.

Un’ultima considerazione che è emersa dalla precedente trattazione riguarda il carattere evolutivo della parabola lungo cui si dispongono i diversi sviluppi della letteratura “esameronale” dei primi secoli. Abbiamo visto infatti chiaramente come uno spirito diverso guidi le riflessioni ancora sporadiche che sono andate costituendosi nel corso del II secolo e quelle maggiormente mature e propositive che sono sorte a cavallo tra terzo e quarto secolo. Tuttavia, l’intero processo può essere distintamente compreso in termini di continuità, se si osservano l’emersione e la progressiva strutturazione di una serie di nuclei concettuali e dottrinali fondamentali. Essi sono stati definiti e precisati da un lato in accordo con le verità contenute e insegnate nei testi scritturistici, dall’altro in opposizione a una serie di tesi tipiche della tradizione della sapienza pagana, tra le quali spiccano l’eternità del cosmo o della materia, il carattere necessario dell’origine dell’universo avvenuta secondo un processo emanatistico, il dualismo metafisico. A queste ultime, il pensiero cristiano ha contrapposto la progressiva emersione della fede in un’azione creatrice divina libera, eterna, non condizionata da alcuna forma di costrizione e non limitata dall’esistenza di nessun principio esterno e coeterno a Dio, quale poteva essere ad esempio la ὓλη platonica. Il nucleo profondo della più matura definizione della posizione dei Padri è riassumibile nella dottrina della creatio ex nihilo, di cui ho provato a seguire gli sviluppi principali a partire dalla sua comparsa a livello implicito sino alla sua definitiva affermazione in qualità di verità di fede inattaccabile150.

La riflessione agostiniana sulla creazione non si sviluppa e si alimenta solamente nel quadro della speculazione cristiana sull’origine del cosmo. Essa, infatti, si determina e si arricchisce da un lato nel confronto e nella discussione con le tesi classiche della filosofia pagana, dall’altro mediante la netta opposizione alla proliferazione, a partire dal seno del

150 Cfr. T. Van Bavel, “The Creator and the Integrity of Creation in the Fathers of the Church, especially in St. Augustin”, AugSt, 21 (1990), pp. 1-33, dove l’autore cerca di delineare un bilancio delle innovazioni e delle differenze contenute all’interno dell’indirizzo di pensiero dei Padri cristiani in rapporto alle principali tesi riguardanti la genesi e lo statuto del cosmo sostenute dalla tradizione filosofica.

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Cristianesimo stesso, di correnti religiose ereticali. Ho approfondito in quest’ottica i contenuti della cosmogonia manichea, i quali giocarono un ruolo fondamentale in rapporto alla genesi della definizione agostiniana della nozione di creatio.

Il dato che comunque mi è parso maggiormente interessante e che è emerso nel corso dell’esposizione in modo solamente indiretto è quello costituito dall’esistenza di un repertorio tradizionale di obiezioni e di paradigmi ostili con i quali la fede cristiana è costretta nel corso dei primi secoli a confrontarsi. Dualismo gnostico-manicheo, pessimismo antropologico, assoluta svalutazione della realtà materiale, esistenza di un tempo anteriore alla creazione, modello emanantistico-necessario di tipo neoplatonico, ipostatizzazione di un paradigma ideale eterno, eternità del mondo, interpretazione contingente dell’azione creatrice, critica all’impiego di un paradigma tecnomorfo, accusa di antropomorfizzazione della natura divina, sono le principali insidie che da differenti angolature attentano all’integrità e alla coerenza della visione filosofico-teologica di indirizzo cristiano. Cercherò di mettere in luce, nel corso del seguente capitolo, quali posizioni Agostino assuma in rapporto a questi diversi modelli facendo leva sul contenuto del primo versetto della Genesi.

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CAPITOLO QUARTO

«In principio fecit Deus caelum et terram»: Agostino interprete