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1 Agostino e l’esordio delle Scritture

2.1 Interpretazione cristologica

Già a partire dal primo commentario al testo della Genesi, il De Genesi contra Manichaeos, Agostino si dimostra consapevole che l’espressione In principio, con cui le Scritture esordiscono, può esser fatta oggetto di interpretazioni differenti ed equivoche. Agostino si preoccupa, sin dall’inizio dell’opera, di precisare che il termine principium non deve essere inteso secondo un significato temporale (non in principio temporis), dal

12 Cfr. Pelland, Cinq études, cit., pp.95-96, dove l’autore offre un puntuale prospetto analitico dell’andamento del libro XI del De civitate Dei, non trascurando di evidenziare come esso si integri perfettamente all’interno del piano complessivo dell’opera.

13 M. A. Vannier, “Saint Augustin net la création”, Am, 40 (1990), pp. 349-371, p. 354: «Sans doute le mode d’exégèse qu’Augustin choisit pour chacun de ses commentaires n’est-il pas indifférent, il répond au dessein qu’il s’est fixé dans l’ouvrage: comprendre la création en elle-même ou en préciser la signification en fonction de l’histoire du salut».

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momento che costituisce un rimando implicito alla persona divina di Cristo, Verbo di Dio, per cui e in cui tutto è stato fatto (Gv 1, 1-3)14. Scorrendo poche righe del testo, salta subito agli occhi come Agostino rafforzi l’identificazione proposta tra i termini principium e Verbum ricorrendo ad un altro passo giovanneo, nel quale Gesù, rispondendo ai Giudei che gli chiedevano chi fosse, si definisce mediante l’espressione “principium, quia et loquor vobis” (Gv 8, 25)15.

Nel De Genesi ad litteram imperfectus liber (d’ora innanzi “Imperfectus liber”) Agostino ripropone l’interrogativo relativo al significato del termine principium, aggiungendo però alle due possibili soluzioni prospettate in precedenza una terza prospettiva ermeneutica. In primo luogo, viene nuovamente prospettata l’identificazione con la Sapienza divina, la cui veridicità viene corroborata ancora una volta mediante la citazione di Gv 8, 25. Tuttavia, in accordo con una serie di molteplici fonti patristiche16, Agostino sottolinea come il termine principium non possieda un valore semantico univoco: esso può infatti significare sia il Padre in quanto principium sine principio, sia il Figlio in quanto principium de patre, sia la prima creatura intellettuale in rapporto alle creature create in un momento successivo17. L’applicazione del termine principium alla creatura angelica conduce alla seconda soluzione esegetica menzionata da Agostino, la quale però si rivela intrinsecamente aporetica. Quando infatti il termine principium viene inteso come indice di una preminenza di tipo ordinale (primum factum est) e viene riferito alla creatura angelica, occorre capire se l’origine di quest’ultima debba essere ritenuta precedente l’ordine della successione cronologica (ante omne tempus), coincidente con l’esordio del flusso temporale (in exordio temporis) o inscritta in esso (in tempore)18. Si approfondisce a questo punto il legame tra il significato del termine principium e la sfera della temporalità, che costituisce la terza ipotesi presa in esame e che coincide con la scelta ermeneutica scartata nelle pagine del commentario redatto contro i manichei. L’ipotesi secondo cui la creazione degli Angeli debba essere concepita come inscritta nel

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Cfr. Gn. adv. Man. I, ii, 3.

15 Ibid.

16 Cfr. Pelland, Cinq études, cit., p. 30, n. 14.

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Gn. litt. imp. iii, 6: «Secundum historiam autem quaeritur quid sit: in principio, id est utrum in principio temporis an in principio, in ipsa sapientia dei, quia et ipse dei filius principium se dixit, quando ei dictum est: tu quis es; et dixit: principium quod et loquor uobis. Est enim principium sine principio et est principium cum alio principio. Principium sine principio solus pater est; ideo ex uno principio esse omnia credimus. Filius autem ita principium est, ut de Patre sit. Ipsa etiam prima creatura intellectualis potest dici principium his quibus caput est, quae fecit deus». Cfr. Sancti Aurelii Augustini De Genesi ad litteram liber imperfectus, in Sancti Aurelii Augustini Opera, pars I: De Genesi ad litteram libri duodecim et eiusdem libri capitula, De Genesi ad litteram imperfectus liber, Locutionum in Heptateuchum libri septem, recensuit J. Zycha (CSEL 28/1, pp. 461-462, xxi-v), Tempsky, Vindobonae 1894, pp. 457-503.

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Ivi iii,7 (CSEL 28/1, p. 462, x-xviii): «An ideo in principio dictum est, quia primum factum est? An non potuit inter creaturas primum fieri coelum et terra, si angeli et omnes intellectuales otestates primum factae sunt, quia et angelos creaturam dei et ab eo factos credamus necesse est?. Nam et angelos enumerauit propheta in centesimo quadragesimo octauo psalmo cum dixit: Ipse iussit, et facta sunt; ipse mandauit, et creata sunt. Sed si primum facti sunt Angeli, quaeri potest, utrum in tempore facti sunt an ante omne tempus an in exordio temporis».

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tempo richiede che qualche creatura sia stata posta in essere precedentemente rispetto a essi. Tale presunzione troverebbe conferma nel fatto che il tempo stesso possiede una natura creata. Se risultasse vera invece l’opinione secondo cui gli Angeli furono creati all’esordio del tempo, verrebbe invalidata la tesi di coloro che sostengono che la dimensione cronologica fu inaugurata con la creazione del cielo e della terra. La soluzione che invece considera gli Angeli come anteriori al tempo medesimo deve essere esaminata in rapporto a Gen 1, 14, versetto in cui Dio assegna nel corso del quarto giorno agli astri del cielo il compito di scandire la successione dei giorni e delle notti. Si tratta infatti di spiegare come possano essere esistiti dei giorni anteriori all’istituzione della scansione temporale, avvenuta per mezzo della mansione ricoperta dai luminari in seguito al monito divino.

Bisogna dunque chiedersi se l’autore sacro stia utilizzando un modo di esprimersi immaginifico e pedagogico o se possa essere ritenuto valido l’assunto in base al quale il tempo si sia originato in concomitanza non con il moto delle creature corporee, bensì con quello delle entità spirituali incorporee. Secondo questa seconda opzione, il tempo avrebbe cominciato il suo corso in concomitanza o in seguito alla creazione degli angeli, avvenuta prima di quella del cielo e della terra19. Agostino non risolve però questa fitta trama di interrogativi, ma si limita a dimostrare la complessità dell’accostamento tra il vocabolo principium e la sfera della temporalità. La questione dell’origine del tempo costituisce una res secretissima, mentre l’unica realtà che è lecito affermare indubitabilmente è il possesso da parte del tempo di uno statuto creato e perciò non coeterno a quello divino20.

Nel libro XI delle Confessiones, come detto, Agostino tenta di precisare il significato dell’espressione In principio fecit Deus caelum et terram. Anche in questa occasione, vengono offerte alcune precisazioni in relazione al significato del termine principium, che però scaturiscono da una dinamica argomentativa differente da quella messa in gioco nei due commentari precedenti. Agostino, infatti, non tematizza la questione in se stessa mediante la presentazione e l’approfondimento di differenti soluzioni esegetiche, ma precisa il significato dell’in principio solamente a partire dall’analisi del verbo facere, a cui è accostato dal testo delle Scritture.

Se si prova a concepire il senso più profondo del verbo facere in relazione all’azione divina, bisogna riconoscere innanzitutto che esso esprime la dipendenza totale di tutto ciò che esiste da Dio. In secondo luogo, il facere divino trova esplicazione mediante la dinamica del dicere: al proferir parola da parte di Dio corrisponde istantaneamente il venire all’essere di tutte le cose, cosicché il facere divino deve essere compreso come

19 Pelland, Cinq études, cit., p. 32: «Nous sommes en présence de trois façons de comprendre in principio. Dans l’hypothèse d’un monde antérieur à l’univers visible, nous avons aussi théoriquement à choisir entre deux des trois hypothèses concevables pour les situer par rapport au temps».

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l’azione creatrice avvenuta in Verbo21. Il passo successivo che la meditazione agostiniana si trova a dover compiere è a questo punto quello di comprendere lo statuto mediante cui si caratterizza il Verbum creatore, se cioè esso possieda, al pari delle parole umane, un andamento diacronico che da un inizio perviene, in seguito a un progredire sillabico, a una conclusione, o se invece si tratti di una parola silenziosa nell’eternità (aeternum in silentio Verbum), come lasciano pensare le parole del profeta: Verbum autem manet in aeternum22.

Le due vie ermeneutiche, però, si rivelano da subito non egualmente percorribili. Se infatti il facere divino mediante cui ebbe origine l’universo consistesse nel risuonare di un Verbum temporale, sarebbe al contempo necessario ammettere l’esistenza di una realtà creata precedentemente rispetto al resto degli esseri materiali, a cui farebbe riferimento la Scrittura mediante le parole caelum et terram. Sarebbe empio infatti anche solo ipotizzare che Dio stesso, la cui essenza somma risiede nella dimensione dell’eterna presenza, abbia fatto ricorso in prima persona ad una parola di ordine temporale.

Tuttavia, una simile soluzione pone l’interprete dinnanzi ad un problema ancora maggiore: o infatti egli deve ammettere che la prima creatura sia venuta all’essere grazie ad un facere divino non consistente in una forma di creatio in Verbo, o deve avventurarsi nella disperata impresa di spiegare quale Verbum sia a sua volta stato impiegato in rapporto a questa creazione originaria23. Non rimane quindi che ammettere che il Verbum, alla cui luce deve essere letta l’espressione fecit Deus utilizzata nella Genesi, debba essere inteso come la Parola che sempiterne dicitur et eo sempiterne dicuntur omnia24. A questa altezza, può dunque essere compiuta definitivamente e con certezza l’identificazione tra il Principium e il Verbum, che altri non è se non il Figlio, la Virtù, la Sapienza e la Verità di Dio25.

La questione riguardante il significato del termine principium viene affrontata sin dalle prime pagine del libro I del De Genesi ad litteram. Dopo aver esordito esponendo i diversi significati che possono essere rinvenuti esaminando con attenzione il dettato biblico, Agostino si chiede espressamente in che modo debba essere compresa, se si

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conf. XI, v, 7 (CCL 27, p. 198, xix-xxii): «Nec manu tenebas aliquid, unde faceres caelum et terram: nam unde tibi hoc, quod tu non feceras, unde aliquid faceres? Quid enim est, nisi quia tu es? Ergo dixisti et facta sunt atque in uerbo tuo fecisti ea».

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Is. 40, 8.

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conf. XI, vi, 8 (CCL 27, p. 198, ix-xxii): «At illa comparavit haec uerba temporaliter sonantia cum aeterno in silentio uerbo tuo et dixit: “Aliud est longe, longe aliud est. Haec longe infra me sunt nec sunt, quia fugiunt et praetereunt: verbum autem dei mei supra me manet in aeternum”. Si ergo uerbis sonantibus et praetereuntibus dixisti, ut fieret caelum et terra, atque ita fecisti caelum et terram, erat iam creatura corporalis ante caelum et terram, cuius motibus temporalibus temporaliter uox illa percurreret. Nullum autem corpus ante caelum et terram, aut si erat, id certe sine transitoria uoce feceras, unde transitoriam uocem faceres, qua diceres ut fieret caelum et terra. Quidquid enim illud esset, unde talis vox fieret, nisi abs te factum esset, omnino non esset. Ut ergo fieret corpus, unde ista uerba fierent, quo uerbo a te dictum est?».

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Cfr. ivi XI, vii, 9.

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esclude l’utilizzo di un approccio esegetico di tipo allegorico, l’espressione: in principio fecit Deus caelum et terram.

La prima questione presa in esame è appunto quella relativa all’interpretazione del termine principium, a proposito del quale vengono riportate le tre ipotesi che erano già state introdotte nelle pagine dell’Imperfectus liber: esso potrebbe infatti essere riferito all’inizio del divenire temporale (in principio temporis), potrebbe denotare una forma di preminenza ordinale (primo omnium), o infine potrebbe far pensare all’azione del Verbo, Figlio unigenito di Dio (Verbum Dei unigenitus filius)26.

Agostino lascia esplicitamente irrisolta la questione, limitandosi dunque all’enunciazione delle possibili ipotesi risolutive, e dedica una breve parentesi alla soluzione di alcuni quesiti riguardanti il significato dei termini caelum e terram. Tuttavia, possiamo intuire la destinazione della sua preferenza quando, di lì a poco, egli considera la creazione della luce da parte di Dio. Un’adeguata comprensione esegetica dell’espressione Dixit Deus: fiat lux presuppone la soluzione di due quesiti fondamentali: il primo riguarda precisamente il modo in cui queste parole sono pronunciate (quomodo dixit), il secondo la definizione della realtà significata mediante il termine lux (quae est ista lux).

È mio interesse ora osservare solamente come Agostino risolva la prima questione: si ripropone infatti una forma di ragionamento che già era emersa nei commentari precedenti a proposito del Verbum creatore. La prima fondamentale alternativa a cui Agostino si trova dinnanzi è quella di concepire tale Verbum collocandolo nell’eternità del Verbo divino (in Verbi aeternitate), o ammettendo che esso sia stato proferito nel tempo (temporaliter). Quest’ultimo ramo del dilemma si suddivide a sua volta in due parti: si deve innanzitutto ritenere che per creare attraverso un Verbum pronunciato temporalmente (temporaliter), e dunque secondo il mutamento (mutabiliter), Dio si sia servito di una creatura (per creaturam), fatto che già di per sé esclude che la lux creata sia la prima creatura posta in essere nella creazione. Ciò che si tratta di stabilire è appunto l’identità di una simile creatura. Si può ritenere che si tratti della creatura celeste e incorporea, identificata con il caelum di Gen 1, 1, cosicché la lux del versetto 3 altro non sarebbe se non la luce corporale e visibile che quotidianamente percepiamo mediante la vista. Sebbene questa prima possibilità non sia scartata esplicitamente da Agostino, non è certo lungo questa via che si incammina la sua interpretazione27.

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Gn. litt. I, i, 2 (CSEL 28/1, p. 4, iii-vii): «Si ergo utroque modo illa scriptura scrutanda est, quomodo dictum est praeter allegoricam significationem: in principio fecit deus coelum et terram? utrum in principio temporis, an quia primo omnium, an in principio, quod est uerbum dei unigenitus filius?».

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Gn. litt. I, ii, 4 (CSEL 28/1, p. 5, xiv-xxvii): «Et quomodo dixit Deus: fiat lux? utrum temporaliter, an in uerbi aeternitate? Et si temporaliter, utique mutabiliter. Quomodo ergo possit intellegi hoc dicere deus nisi per creaturam? ipse quippe est incommutabilis. Et si per creaturam dixit deus: fiat lux, quomodo est prima creatura lux, si erat iam creatura, per quam deus diceret: fiat lux? an non est lux prima creatura, quia iam dictum erat: in principio fecit deus coelum et terram? et poterat per coelestem creaturam uox fieri temporaliter atque mutabiliter, qua diceretur: fiat lux? Quod si ita est, corporalis lux facta est ista, quam

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Nel secondo caso, si tratterebbe di accertare se le parole fiat lux possano esser state pronunciate da una creatura corporea, identificata con la realtà materiale espressa mediante l’espressione caelum et terram del versetto primo. A differenza della prima ipotesi, questa ipotesi di lettura materialistica viene immediatamente rifiutata e bollata come illogica e carnale (absurda carnalisque cogitatio)28.

Non resta dunque che prendere in considerazione la prima ipotesi dell’alternativa che era stata proposta inizialmente, ossia quella che considera le parole fiat lux pronunciate secundum aeternitatem Verbi. Questa soluzione è quella che Agostino predilige, dal momento che viene corroborata da quel versetto del Prologo del quarto Vangelo nel quale, a proposito del Verbo, si dice che omnia per ipsum facta sunt29: questa attestazione scritturistica esclude che qualche creatura possa essere stata creata precedentemente o al di fuori dell’azione dell’eterno Verbo divino. Viene ribadita dunque, anche all’interno del maggiore dei commentari agostiniani, la medesima problematica che abbiamo visto affacciarsi nelle pagine dell’Imperfectus liber e delle Confessiones.

A questo punto, Agostino può dedurre che le parole fiat lux sono state proferite attraverso il Verbum aeternum, il quale è Dio in Dio, Figlio Unigenito del Padre e coeterno a quest’ultimo. Il Verbo di Dio dimora totalmente nella dimensione dell’eterna presenza, condizione in base a cui bisogna ammettere che non abbia potuto proferire un suono materiale e composto da una molteplicità di sillabe susseguentisi30.

Se infine si considerano gli sviluppi contenuti nel libro XI del De civitate Dei, ci si accorge che in quest’ultimo non è presente un’analisi esegetica dettagliata dell’espressione in principio, come invece accade nelle opere precedentemente esaminate. Tale libro infatti non è concepito come un commentario puntuale del testo della Genesi, ma è composto nell’ottica più ampia di una dimostrazione della veridicità del contenuto delle Scritture dinnanzi alla fallacia delle teorie cosmogoniche elaborate dalla tradizione pagana. Agostino riconosce in questo senso la difficoltà (magnum est et admodum rarum) dell’operazione che si appresta a compiere, la quale consiste

corporeis oculis cernimus, dicente deo per creaturam spiritalem, quam deus iam fecerat, cum in principio fecit deus coelum et terram, fiat lux eo modo quo per talis creaturae interiorem et occultum motum divinitus diei potuit: fiat lux».

28 Ivi I, ii, 5 (CSEL 28/1, p. 6, ii-x): «et hoc per creaturam corporalem, quam fecerat deus, cum in principio fecit coelum et terram, antequam fieret lux, quae in hac sonante uoce facta est? Et si ita est, qua lingua sonuit ista uox dicente deo: fiat lux, quia nondum erat linguarum diuersitas, quae postea facta est in aedificatione turris post diluuium? Quaenam lingua erat una et sola, qua deus locutus est: fiat lux? et quis erat quem oportebat audire, atque intellegere, ad quem vox huiusmodi proferretur? An haec absurda carnalisque cogitatio est atque suspicio?».

29 Gv. 1, 3.

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Gn. litt. I, ii, 6 (CSEL 28/1, pp. 6-7, xvi-xxv): «cum enim de illo dicitur: omnia per ipsum facta sunt, satis ostenditur et lux per ipsum facta, cum dixit deus: fiat lux. Quod si ita est, aeternum est quod dixit deus: fiat lux; quia uerbum dei, deus apud deum, filius unicus dei, patri coaeternus est, quamvis deo hoc in aeterno uerbo dicente creatura temporalis facta sit. Cum enim uerba sint temporis, cum dicimus “quando” et “aliquando”, aeternum tamen est uerbo dei, quando fieri aliquid debeat, et tunc fit, quando fieri debuisse in illo uerbo est, in quo non est quando et aliquando, quoniam totum illud uerbum aeternum est».

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nell’elevarsi dalla sfera del divenire a quella dell’essenza divina e di comprendere come da Dio solamente derivino tutti gli esseri31. Questa dunque è la verità che si tratta di difendere e di argomentare dinnanzi alle vane credenze e alle sottili teorie a cui i filosofi e le menti più acute dell’antichità avevano dato vita. La derivazione della totalità degli esseri da Dio viene dunque affermata con una certezza che si fonda su ciò che vi è di più attendibile, ossia sulle medesime parole divine. Esse infatti si trovano nelle sacre Scritture, laddove viene detto che In principio fecit Deus caelum et terram. A tal proposito, più che di interrogarsi sulla corretta comprensione del termine principium, Agostino si preoccupa di rendere ragione dell’attendibilità e dell’aeminentissima auctoritas possedute dal testo biblico.

Leggendo tra le righe della riflessione agostiniana, è tuttavia possibile ricostruire alcuni elementi utili alla presente ricerca: quando leggiamo dunque le parole riportate nella Scrittura circa l’origine del cosmo non aderiamo alla verità in esse contenuta perché riteniamo che il Profeta, per mano del quale furono scritte, sia stato testimone diretto di ciò di cui parla, ma, al contrario, perché crediamo che in tale occasione fosse presente la Sapienza di Dio, per mezzo della quale tutte le cose furono fatte. Quest’ultima, a sua volta, comunica la verità somma nel silenzio direttamente alle anime sante dei Profeti, le cui parole rivelate e ispirate debbono quindi essere tenute nella più alta considerazione32.

La Sapienza di Dio non solo era presente al momento della creazione, ma per mezzo della sua azione tutte le cose furono create. Se teniamo conto delle espressioni, ben note ad Agostino, anche se non citate nei brani indicati, riguardanti la Sapienza divina contenute in Pr 8, 22-31 e delle numerose riletture neotestamentarie33, specificamente giovannee e paoline34, di questo brano in chiave cristologica, mi sembra di poter dire che, almeno implicitamente, il vescovo d’Ippona si esprima circa lo statuto del termine