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3 Creatio ex nihilo: la novità radicale della tradizione giudaico-cristiana

3.1 L’idea di creazione nell’Antico Testamento

La nozione di creazione affonda le proprie radici nel messaggio veterotestamentario. Come noto, l’affermazione più esplicita e rigorosa della dottrina della creatio ex nihilo non si trova, come invece si potrebbe pensare, nei versetti inaugurali del libro della Genesi, ma in un passo di un componimento di epoca più tarda. Si tratta del Secondo libro dei Maccabei, testo composto in lingua greca in età ellenistica, sicuramente dopo il 160 a. C., data dell’ultimo episodio in esso riportato, ossia la morte di Nicànore, generale di Demetrio I e stratega della Giudea74. Il settimo capitolo di tale libro biblico è dedicato al racconto del celebre episodio del martirio dei sette fratelli ordinato da Antioco Epifane. I vv. 27-29 riportano il discorso pronunciato, al cospetto del re e dei carnefici, dalla madre dei sette fratelli, anch’essa in procinto di subire l’atroce supplizio. Precisamente al v. 28, ella esorta il figlio minore a contemplare l’intero universo e a riflettere su come esso altro non sia che l’opera dell’unico Dio che, testuali parole, lo avrebbe creato “non da cose esistenti” (οὐκ ἐξ ὄντων). Nonostante una parte degli esegeti moderni abbia messo in dubbio la presenza della dottrina della creatio ex nihilo in 2 Mac 7, 28, ipotizzando che l’espressione “οὐκ ἐξ ὄντων” vada riferita ad una presunta materia preesistente75, i primi Padri della Chiesa considerarono unanimemente un simile luogo biblico come l’attestazione per eccellenza del fatto che Dio avrebbe tratto dal nulla ogni cosa.

Questa indicazione risulta estremamente significativa, se si considera come sia tutt’altro che certo che il luogo in cui Agostino credette di rinvenire la più chiara attestazione della dottrina della creatio ex nihilo, ossia Gen 1, contenga effettivamente un simile insegnamento. Provo dunque a chiarire alcuni elementi che caratterizzano i primi versetti delle Scritture, nel tentativo di comprendere quale sia effettivamente il tenore della nozione di creazione impiegata in Gen 1.

Prendendo in considerazione il primo racconto della creazione dell’universo, ossia il blocco narrativo di Gen 1-2, 4a, si deve innanzitutto tener conto di alcuni elementi storici e redazionali. In primo luogo, bisogna sottolineare come tale testo sia riconducibile alla cosiddetta tradizione “sacerdotale” (P), operante tra gli Israeliti alla fine del VI sec. a. C., e precisamente nel frangente terminale dell’esperienza dell’esilio babilonese. A tal

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Ivi, p. 1: «But Augustine’s understanding of this doctrine can be viewed as an outgrowth of a long series of developments which span first four centuries of the Christian intellectual tradition. Accordingly, Augustine’s approach to creation ex nihilo must be viewed within the larger Patristic context in which it emerged».

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Cfr. 2 Mac. 15, 30-ss.

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proposito, è significativo come il culmine di tale racconto, ossia l’istituzione dello Shabbat76 in occasione dell’origine del cosmo, costituisse un forte tratto legittimante della pratica ritenuta massimamente identificativa da parte degli Israeliti durante l’esilio, ossia quella del riposo sabbatico77. In secondo luogo, costituisce un dato ormai certo che la tradizione “sacerdotale” abbia dato alla luce il primo racconto della creazione rielaborando una serie di materiali preesistenti e dando vita, a partire da questi ultimi, a un testo unitario. Tuttavia, facendo leva su una serie di contraddizioni all’interno del testo (es. numero dei giorni - numero delle creature portate alla luce) e sulla problematica compresenza di elementi appartenenti a diverse tradizioni (es. verbo bara’ che indica la creazione mediante la parola - verbo ‘asah che indica la creazione mediante l’agire), si è dubitato sulla natura organica e unitaria del testo.

Dopo aver riportato queste concise annotazioni in rapporto al blocco narrativo di Gen 1-2, 4a, bisogna prendere in esame i primi versetti della Scrittura, cercando di trarre maggiori delucidazioni in rapporto alla nozione di creazione che essi veicolano. La consueta traduzione di Gen 1, 1 “In principio Dio creò” corrisponde all’espressione ebraica “Bereshît bara’ Elohim”, della quale prenderò in considerazione i primi due termini. La parola Bereshît, che abitualmente si traduce con “In principio”, costituisce anche il titolo che gli ebrei, secondo la consuetudine semitica di designare i testi biblici mediante i vocaboli con cui questi stessi si aprono, hanno assegnato al libro della Genesi. Essa possiede verosimilmente, nonostante una serie di considerazioni grammaticali e linguistiche lascino aperta la possibilità che tale termine venga determinato dal gruppo di parole che la segue78, un significato indeterminato che può essere reso ricorrendo alle espressioni di tipo cronologico “In un inizio” o “In un primo tempo”. Se però si tengono presenti altri e ulteriori valori semantici del termine Bereshît, quali ad esempio quelli di “primizia”, o, in senso traslato, di “bellezza”, di “cosa prima tra tante”, si può comprendere come esso possa essere letto non solo in ottica protologica, ma anche secondo una prospettiva escatologica. Oltre che come inizio cronologico, Bereshît può dunque essere inteso quale fine ultimo verso cui l’intero progetto divino è indirizzato.

Il verbo bara’, che ricorre con una frequenza non molto elevata nelle pagine delle Scritture, si richiama alla radice semitica br’ che significa “costruire”, “fabbricare”. Il suo utilizzo biblico è molto circostanziato, poiché richiede sempre che il soggetto dell’azione sia Dio stesso79: esso indica inoltre quasi esclusivamente un’azione creatrice iniziale o

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L’autore sacerdotale evita tuttavia di impiegare all’interno di Gen 1-2, 4a tale termine, poiché propriamente l’imposizione della pratica sabbatica avverrà sul Sinai, dove assumerà i tratti di segno perenne dell’alleanza tra Dio e il popolo di Israele (Es 31, 12-17).

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Cfr. A. Caquot, Brèves remarques exégétiques sur Genèse 1, 1-2, in In Principio. Interprétations des premiers versets de la Genèse, Études Augustiniennes, Paris 1973, pp. 9-21, p. 9.

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Cfr. ivi, pp. 13-14, dove l’autore fornisce dettagliati ragguagli esegetici sulla questione.

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Vannier, “Creatio”, “conversio”,“formatio”, cit., p. 6: «Par le terme bârâ’, les Hébreaux désignaient l’action unique et originale de Dieu, action qui a fait surgir quelque chose de radicalement neuf: le monde

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un’opera di ri-creazione finale, come testimoniano le ricorrenze presenti nella seconda parte del libro di Isaia80 e in altri testi composti durante l’esilio babilonese. Ancora una volta risalta con chiarezza il legame che lega il racconto delle origini alla prospettiva della salvezza: l’inserimento di tale verbo da parte del cosiddetto Deutero-Isaia nel contesto pasquale di un nuovo Esodo conferma come la creazione implichi già di per se stessa la redenzione, come la genesi dell’universo rechi in seno il germe e la ragione della pienezza escatologica della totalità della creazione81. Un’ulteriore peculiarità del verbo bara’ può essere dedotta mediante un confronto tra il primo racconto (Gen 1-2, 4a) della creazione, appartenente alla cosiddetta tradizione “sacerdotale”, e il secondo racconto delle origini (Gen 2, 4b-25), che invece deve essere ricondotto alla fonte “jahvista”, la quale ha origine in Giudea e opera per lo più durante gli anni del regno di Salomone (970-930 a.C.). La tradizione jahvista designa infatti mediante il verbo jaçar l’azione creatrice di Dio nei confronti dell’uomo e degli animali a partire dalla terra, evocando in questo modo con chiarezza l’attività del vasaio. La scelta dell’autore “sacerdotale”, che scrive successivamente rispetto a quello “jahvista”, di sostituire il verbo jaçar con il verbo bara’, che pure etimologicamente rimanda al lavoro del boscaiolo, denota la volontà di “disantropomorfizzare” il più possibile l’azione divina: un segno tangibile di questa intenzione può essere individuato nell’omissione della “terra” in occasione della creazione dei viventi82.

Dopo essere andati alla ricerca delle maggiori peculiarità dei due termini fondamentali che compaiono nel primo versetto delle Scritture, operazione questa che ha suscitato alcune importanti conoscenze riguardanti la prospettiva teologica che anima il racconto biblico, bisogna ampliare il raggio dell’indagine. Questo consentirà di tematizzare la questione dell’eventuale presenza della nozione di creatio ex nihilo all’interno del contesto di Gen 1. Se infatti si volge lo sguardo oltre Gen 1, 1, che del resto deve quasi sicuramente essere considerato come una frase autonoma, come un titolo che ha il compito di ricapitolare il contenuto dei versetti seguenti e che può quindi essere

et les êtres vivants. Ce terme, qu’ils avaient forgé, mettait donc en évidence la transcendance absolue de créateur».

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Ivi p. 11: «Le “deutéro-Isaïe”, qui fournit les plus nombreuses attestations de bârâ’, révèle seulement qu’à la fin de l’Exil le verbe avait conquis droit de cité dans le vocabulaire religieux, mais n’oblige pas à supposer que l’écrivain “sacerdotal” l’ait emprunté au grand prophète du VIe siècle».

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Y. Congar, Le thème de Dieu-Créateur et les explications de l’hexaméron dans la tradition chrétienne, in L’homme devant Dieu. Mélanges offerts au Père H. de Lubac 1, Aubier, Paris 1963, pp. 189-222, p. 192: «Son œuvre de grace est en continuité avec son œuvre de creation: dans les saintes Écritures, le récit de la creation n’est pas un préliminaire philosophique, un “Praeambulum fidei”: il est le première chapitre de l’histoire du salut. Le Dieu du salut, le Dieu qui sera ce qu’il sera (Ex 3, 14), ce qu’on verra progressivement qu’il est, à mesure qu’il interviendra – le Dieu qui a fait sortir Israël d’Égypt, le Dieu qui a contracté alliance avec lui, le Dieu qui l’a conduit dans le désert, l’a fait entrer en possession de la Terre promise, le Dieu qui a établi son habitation en Sion, le Dieu qui a tant de fois châtié son peuple pour ses péchés et l’a tant de fois sauvé à cause de Sa miséricordie, etc. etc…, EST identiquement Celui qui a fait le ciel et la terre».

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separato dal corpus dell’intero racconto, si possono isolare in Gen 1, 2-3 alcuni termini estremamente significativi per la presente indagine83.

Innanzitutto, Gen 1, 2 esordisce descrivendo lo stato della terra mediante gli attributi “informe” (tohu) e “deserta” (bohu): dal momento che in questo luogo l’autore sacro non sta evidentemente facendo riferimento a una realtà creata anteriormente a quella descritta nel prosieguo del testo, sembra già essere preclusa la possibilità di parlare di creatio ex nihilo a proposito di Gen 1. Una simile impressione viene rafforzata dalla lettura del secondo emistichio che si trova in Gen 1, 2, nel quale si fa riferimento ad un’altra realtà, le “tenebre”, colta nell’atto di ricoprire un’ulteriore entità, l’“abisso” (tehom). Anche in questo caso sembra chiaro come il testo stia chiamando in causa delle entità pre-cosmiche, non incluse nell’azione creatrice di Dio e di conseguenza, in conformità ai requisiti richiesti da una rigorosa mentalità filosofica, eterne.

Se però ci si addentra nelle profondità del lessico biblico, questa impressione immediata viene almeno parzialmente smentita e corretta. La coppia di vocaboli tohu-bohu costituisce una figura retorica presente in diverse lingue semitiche, la quale consente, mediante l’associazione di due termini sinonimici, di rinforzare un unico significato che si desidera mettere in luce. Secondo la consuetudine, il vocabolo in possesso di un significato maggiormente rilevante occupa la prima posizione all’interno del binomio stesso. Una simile circostanza caratterizza anche la coppia di termini che sto esaminando: mentre infatti bohu si trova nella Scrittura impiegato unicamente in coppia con tohu, quest’ultimo ricorre anche autonomamente. Esso inoltre possiede un’etimologia ai nostri occhi più chiara, dal momento che lo possiamo verosimilmente far risalire a una radice semitica che denota l’ambiente specifico del “deserto”. Inoltre, un numero non irrilevante di testi attesta l’impiego del termine tohu in riferimento all’idea di “nulla”: ecco che sorgono alcuni parallelismi con alcuni termini traducibili come “nulla”, “niente”, “vanità”, “menzogna”, “illusione”. Se dunque si tiene conto di queste attestazioni del termine tohu, la maggior parte delle quali compaiono nel libro di Isaia, pressoché contemporaneo alla redazione del testo operata dall’autore “sacerdotale”, si può comprendere come il binomio di attributi tohu-bohu riferito in Gen 1, 2 alla terra serva a sottolinearne l’inconsistenza, in sostanza a metterne in luce il non essere in quanto realtà concreta84.

Un analogo discorso può essere fatto in relazione alle realtà nominate nella seconda metà di Gen 1, 2, ossia alle “tenebre” e all’“abisso” (tehom). Se appare abbastanza

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Cfr. ivi, pp. 13-15, dove l’autore fornisce alcuni elementi che sembrano supportare l’ipotesi secondo cui Gen 1, 1 sarebbe una frase autonoma posta all’esordio del racconto come titolo riassuntivo di quanto segue. Il più significativo mi sembra essere la presenza del verbo bara’, accompagnato dal merismo “cielo e terra”, in Gen 2, 3-4a, versetti che suggellano e concludono il racconto della creazione ispirato alla tradizione “sacerdotale”. Tale elemento lascia infatti pensare che l’autore abbia voluto ricorrere al procedimento retorico dell’“inclusione”, assegnando quindi a una medesima espressione emblematica il compito di precedere e di seguire il corpus della narrazione vero e proprio.

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comprensibile per la nostra mentalità il fatto che le tenebre, in quanto assenza di luce, siano un sinonimo di una realtà priva di consistenza e perciò nulla, un discorso un po’ più approfondito merita di essere dedicato a quello che la Bibbia chiama tehom, ossia l’abisso delle acque primordiali. Le Scritture intenderanno sempre la realtà marina quale ambiente pericoloso posto in relazione all’abisso primordiale, tanto che nella prospettiva escatologica del libro dell’Apocalisse, la nuova Gerusalemme sorgerà senza essere minacciata dalle acque marine85.

Il vocabolo tehom viene quindi impiegato quasi come un sinonimo poetico del termine “mare”, indicando la grande massa delle acque che si trova al di sotto della terra. Nel contesto del racconto delle origini, esso si riferisce alla dimensione del vuoto, simboleggia un’immensa massa acquatica indifferenziata e informe, una sorta di chaos primordiale caratterizzato dall’assenza di ordine e forma. Non è difficile a questo punto cogliere come si tratti ancora una volta, più che di un riferimento a una realtà concreta e consistente, dell’allusione alla dimensione del nulla, dell’assenza di essere.

Tirando dunque le fila di questa breve esposizione relativa a Gen 1, 1-2, posso dire che alla lettera non si rinvengono le tracce della presenza dell’insegnamento della creatio ex nihilo. Tuttavia, bisogna tener presente che veicolare una simile dottrina non è sicuramente l’obiettivo specifico di tale testo. L’autore “sacerdotale” non appare dunque primariamente preoccupato di definire la tesi metafisica della creazione dal nulla86, quanto piuttosto di porre l’accento sull’aspetto di relazione delle creature al Creatore, di dipendenza totale di tutto ciò che esiste da Dio87. Detto questo, non bisogna trascurare gli elementi che emergono quando ci si sforza di cogliere le sfumature non superficiali del testo. Il linguaggio di cui l’autore “sacerdotale” dispone possiede un tenore fortemente simbolico ed evocativo, estremamente differente da quello preciso e rigido di un trattato di teologia. Le immagini della terra deserta e informe e delle tenebre ricoprenti l’abisso rappresentano quindi gli strumenti simbolici attraverso i quali il racconto biblico cerca di esprimere “l’essere-prima-di-tutte-le-cose” da parte di Dio.

Si comprende ora come un mondo privo della bellezza, dell’ordine e della bontà derivanti da Dio non possa che possedere uno statuto equivalente, agli occhi dell’autore sacro, a quello dell’assoluto nulla88. La mentalità semitica utilizza quindi tali immagini per

85 Cfr. Ap. 21, 1.

86 Torchia, Creatio ex nihilo, cit., p. 4: «They were simply not preoccupied with abstract speculations concerning that from which God created the world, or what preceded the act of creation».

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Vannier, “Creatio”, “conversio”,“formatio”, cit., p. 6: «Mais, cette question ne concerne plus tant le commencement que ce qui permet de le comprendre: la création. Celle-ci se situe sur un autre plan, elle se définit essentiellement comme relation, relation au créateur, d’où l’idée de dépendance dans l’être (l’homme recevant l’être du créateur). Cette idée est beaucoup plus décisive que celle de creatio ex nihilo. Elle exprime l’essence même de la création: la communication que Dieu fait de son être et le don que nous pouvons en faire analogiquement».

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Ivi, p. 5: «Il ressort de ces quelques remarques que la notion de création est d’origine hébraïque, qu’elle exprime le commencement absolu: de là, l’idée de creatio ex nihilo, dont Dieu seul est l’auteur,

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sopperire alla sua intrinseca riluttanza a esprimersi per astrazione: nessun concetto possiede un grado di astrazione maggiore dell’idea del nulla, e sarebbe perciò sbagliato attendersi una sua formulazione mediante un lessico filosofico codificato. La Bibbia avrà la possibilità di definire espressamente e compiutamente l’idea di una creatio ex nihilo solamente dopo che si sarà compiuto l’incontro con la lingua greca e l’orizzonte di concetti che essa è in grado di nominare. L’indagine è tornata così, chiudendo il cerchio, lì dove era cominciata, in piena epoca ellenistica, a 2 Mac 7, 28.