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L’emergere della dottrina della creazione negli Apologisti

3 Creatio ex nihilo: la novità radicale della tradizione giudaico-cristiana

3.4 L’emergere della dottrina della creazione negli Apologisti

Se si rivolge l’attenzione agli scritti dei primi Padri Apostolici, ciò che colpisce è sicuramente il fatto che le discussioni relative all’origine dell’universo possiedono un carattere rapsodico e non sistematico100. Se consideriamo ad esempio le formulazioni contenute in uno dei documenti più significativi di quest’epoca, ossia nell’epistolario di Ignazio di Antiochia (35 ca.-107 ca.), dobbiamo riconoscere come l’attenzione rivolta alla tematica dell’origine e della natura del cosmo sia subordinata a fini ulteriori di carattere pastorale e pratico.

Tuttavia, due significativi testi redatti nella fase iniziale del pensiero cristiano mostrano già di possedere i germi di alcuni nuclei concettuali, che giungeranno a piena maturazione nei secoli successivi. Il primo testo è la Prima Epistola di Clemente ai Corinzi, probabilmente composta agli inizi del II secolo. Il capitolo ventesimo della lettera esplica la totale dipendenza del cosmo, considerato in relazione al funzionamento dei meccanismi fisici secondo leggi immutabili, dall’azione divina, che assume i tratti positivi della benevolenza paterna.

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Cfr. Geoltrain, Quelques lectures juives, in In Principio, cit., p. 59.

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Significativa appare inoltre la formula con cui Clemente descrive la realtà divina in rapporto al cosmo: Dio infatti viene definito, in accordo con quanto troviamo scritto nelle opere di altri autori cristiani coevi, come “il Grande Demiurgo” (ὁ μέγας δημιουργός). Non compare però nessun accenno alle modalità con cui si è dispiegata l’azione creatrice divina, e, conseguentemente, non viene ancora stabilita in termini positivi la dottrina della creatio ex nihilo.

Quest’ultima operazione viene invece esplicitamente portata a compimento in un altro testo risalente alla prima metà del II secolo, il Pastore di Erma. Nel corso di una riflessione esposta nel primo capitolo del testo e dedicata ai contenuti della fede autentica, compare infatti l’esortazione a credere nell’unico Dio che ha creato tutte le cose (ὁ πάντα κτίσας), conducendole dal non essere all’essere (ἐκ τοῦ μὴ ὄντος εἰς τὸ εἶναι). Tuttavia, al di fuori di questa isolata affermazione, non si trovano né un adeguato sviluppo della tematica della creazione né un completo dispiegamento della dottrina della creatio ex nihilo. Per poter rinvenire una tematizzazione più significativa e dettagliata dell’insegnamento cristiano riguardante le origini del cosmo bisogna dunque considerare i pensatori cristiani della generazione successiva, i cosiddetti Apologisti del II secolo.

Il tratto comune della speculazione messa in campo dagli Apologisti deve sicuramente essere rinvenuto negli obiettivi comuni che tali pensatori, pur in modi differenti, unanimemente perseguono: essi vogliono innanzitutto minare la credibilità delle accuse di immoralità rivolte alla religione cristiana, dimostrare la superiorità di quest’ultima nei confronti della sapienza di cui dispongono i filosofi del mondo greco-romano e, in ultima istanza, porre l’accento sugli errori di fondo della cultura e della religione dell’antichità pagana. Considerando in maniera concisa alcuni tratti della riflessione dei vari Giustino, Atenagora, Taziano o Teofilo d’Antiochia relativamente all’origine del cosmo, si assiste all’emergere della dottrina della creatio ex nihilo in termini finalmente degni di nota.

Giustino (100-162/68), filosofo e martire vissuto interamente nel II secolo, possiede una lucida consapevolezza della distanza ontologica che intercorre tra le creature e il Dio cristiano che le ha poste in essere: solo quest’ultimo infatti, a differenza delle prime, può essere definito, come avviene nel Dialogo con Trifone, l’“ingenerato” (ἀγέννητος) e l’“incorruttibile” (ἄφθαρτος)101. Assodata la presenza di questa distinzione ontologica, si può osservare come Giustino concepisca il processo attraverso cui le realtà fisiche sono poste in essere dall’azione divina. In un significativo passo della Prima Apologia, egli afferma che “in principio Dio creò nella Sua bontà ogni cosa a partire da una materia informe (ἐξ ἄμορφου ὔλης) per amore dell’uomo”102. A partire da questa significativa affermazione, si impone la necessità di approfondire e chiarire il nesso che intercorre tra

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Cfr. Dial. Triph. 11.

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il creazionismo biblico e il cosiddetto “semicreazionismo” platonico: Giustino compie questa operazione nel corso della Seconda Apologia. Negli importantissimi capitoli LIX-LX, Giustino istituisce un vero e proprio confronto tra i primi capitoli della Genesi e il Timeo platonico. Senza voler entrare nel merito della plausibilità della lettura proposta da Giustino, mi limito a segnalare come essa si accordi in pieno con tutto quel filone della letteratura giudaica improntato alla dimostrazione della compatibilità tra gli insegnamenti scritturistici e quelli teorizzati dai massimi esponenti del pensiero filosofico e poetico greco. Tale visione deve essere definita “più che concordista”, dal momento che ciò che essa arriva a sostenere non è la semplice affinità tra i due diversi ambiti di pensiero, ma la derivazione, corroborata da una serie di computi cronologici fittizi e ai nostri occhi del tutto privi di attendibilità, delle formulazioni dei filosofi greci a partire dalle verità contenute nelle pagine del testo mosaico103.

L’accostamento della rivelazione contenuta nella Genesi e della speculazione platonica sulle origini del cosmo lascia presumibilmente pensare che Giustino sia un sostenitore di un creazionismo moderato, secondo cui Dio avrebbe esercitato la propria funzione ordinatrice su di un sostrato materiale preesistente104. Tuttavia, questa stessa materia, a sua volta, non sembra poter essere ritenuta eterna, almeno stando all’affermazione tratta dal Dialogo con Trifone, secondo cui solamente Dio è ingenerato. Si potrebbe quindi, sebbene con una notevole forzatura ermeneutica e passando sotto silenzio la presenza di una sorta di costante dualismo di fondo, rinvenire negli scritti di Giustino, almeno a livello implicito, l’affermazione della dottrina della creatio ex nihilo105. Tuttavia, mi sembra più prudente limitarsi al riconoscimento dell’ambiguità che a proposito di questo tema pervade la riflessione di Giustino, agli occhi del quale, evidentemente, interrogarsi esplicitamente circa l’origine della materia non costituisce una questione di primaria importanza106.

103 Cfr. Nautin, Genèse 1, 1-2, de Justin à Origène, in In Principio, cit., pp. 61-94, p. 62. Sul tema dei cosiddetti furta Graecorum si veda anche: D. Ridings, The Attic Moses: the dependency theme in some early Christian writers, Acta Universitatis Gothoburgensia, Göteborg 1995.

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Torchia, Creatio ex nihilo, cit., p. 12: «Indeed, Justine’s claim that Plato derived his own understanding of creation from Genesis might suggest that Justin himself viewed Genesis in platonic terms (that is, as no more than a “ordering” of preexistent matter».

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Ivi, p. 8: «Technically speaking, then, a theory of creation ex nihilo can be extracted from Justin’s writings. But such a theory is implicit rather than explicit. Justin, in fact, maintains something of a dual allegiance to both the Scriptural and the Platonic interpretations of the emergence of the cosmos (or, an uneasy alliance between these outlooks)».

106 G. Girgenti, Giustino Martire: il primo platonico cristiano (con in appendice gli Atti del martirio di san Giustino), Vita e Pensiero, Milano 1995, p. 119: «Il problema della preesistenza della materia amorfa, come sostrato da cui Dio trae il mondo, ovvero la sua creazione diretta insieme al mondo, non sono problemi per lui fondamentali. Non si può dire né che egli sostenga che Dio ha creato la materia, né che la materia è eterna […]. Se una conclusione si può trarre, quindi, è necessario riconoscere che Giustino lascia in sospeso il problema della materia, aderendo al creazionismo dal punto di vista teologico, ma rimanendo influenzato, in qualche modo, da una forma di semicreazionismo platonico dal punto di vista filosofico».

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Non dedicherò un’attenzione analoga anche alla riflessione sulla tematica della creazione di Atenagora di Atene (133 ca.-190 ca.), poiché i risultati sarebbero del tutto simili a quelli appena raggiunti a proposito del pensiero del martire cristiano Giustino.

Una variazione sul tema di importanza non trascurabile si ritrova invece nella speculazione di Taziano di Siria. Questi, al pari dei predecessori, sottolinea con forza la differenza abissale tra l’orizzonte delle creature e quello di Dio. Solo quest’ultimo, come si legge nella Quarta Orazione, è ingenerato ed eterno e, in quanto principio di tutto ciò che esiste, non ha conosciuto un inizio temporale107. Taziano si distingue però da costoro nel non lasciare dubbi circa la natura creata della materia. Egli infatti descrive il processo creativo distinguendolo secondo due differenti momenti: il primo è quello che riguarda la generazione del Λόγος divino, il secondo è quello invece in cui il Λόγος divino, a sua volta, procede alla generazione del cosmo attraverso la fabbricazione della materia108. Taziano colloca poi in un ulteriore frangente l’azione ordinatrice e legislatrice volta al perfezionamento del sostrato materiale, originariamente presente in uno stato caotico e privo di forma. Tale operazione “cosmopoietica” si compie secondo una modalità specifica che Taziano denomina “divisione” (διάκρισις)109. Se dunque in Taziano si trova l’affermazione indiscutibile della generazione della materia, non si deve sottovalutare che essa si colloca nel più ampio quadro, di matrice chiaramente platonica, dell’imposizione di una forma su di un sostrato preesistente in uno stato caotico e informe.

L’abbandono dell’ultima forma di resistenza contraria al completo dispiegamento della dottrina della creatio ex nihilo si compie nella riflessione di Teofilo di Antiochia († 183/85). Questi, innanzitutto, compone un’opera, ora perduta, intitolata Adversus Hermogenem, dedicata appunto alla confutazione della tesi ermogeniana, ma ancor prima platonica, secondo cui Dio avrebbe creato l’universo facendo ricorso ad un sostrato materiale eterno e preesistente110. Ciò che viene rimproverato ad una simile posizione è infatti l’equiparazione a cui essa conduce tra Dio e la materia, errore aggravato per di più dal fatto di descrivere l’azione divina in termini spiccatamente antropomorfici. Teofilo, inoltre, si impegna, in un’altra sua opera di grande importanza intitolata Ad Autolycum, nel considerare dal punto di vista linguistico il significato profondo del termine greco “θεός”: se considerato in rapporto all’azione creatrice, esso possiede i valori semantici di “Demiurgo” e di “Creatore” del cosmo111. Ben lungi dal costituire una formulazione ridondante, l’accostamento di questi due appellativi serve a precisare come l’azione creatrice divina non si limiti a ordinare demiurgicamente una materia data, ma provveda al contrario alla fabbricazione del materiale stesso su cui opera112. In questo senso,

107 Cfr. Or. Graec. 4. 108 Cfr. ivi 5. 109 Cfr. ivi 12.

110 Cfr. Nautin, Genèse 1, 1-2, in In Principio, cit., pp. 67-69, dove l’autore fornisce le informazioni principali relative alla figura e alla posizione concettuale assunta da Ermogene.

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Cfr. Aut. I, 4.

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stupisce relativamente che l’appoggio scritturistico su cui Teofilo fa affidamento non sia Gen 1, ma al contrario 2 Mac 7, 28.

Anche Teofilo rivolge contro il Timeo platonico la medesima accusa proferita nei confronti di Ermogene, ossia quella di minare la sovranità divina mediante l’ammissione di un principio materiale eterno e increato113. Se con Giustino e Atenagora si poteva parlare di una presenza sotterranea e implicita della dottrina della creatio ex nihilo, con Teofilo si osserva la sua completa emersione ed esplicitazione. Con Teofilo, in definitiva, giunge a un grado di maturazione considerevole quel processo di affrancamento dalla tradizione filosofica platonica e di definizione positiva in termini cristiani del nucleo concettuale della creazione, in quanto passaggio all’essere dall’assoluto non essere, osservato nelle opere dei Padri Apologisti114.