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2 Filosofia e origine del cosmo: un celebre dibattito su un insegnamento di Platone Platone

2.2 L’interpretazione allegorizzante

Furono proprio le critiche aristoteliche al modello platonico, databili a partire dalla presenza dello Stagirita nell’Accademia e rintracciabili già in alcuni frammenti del De philosophia, a spingere verosimilmente i successori di Platone a difendere il proprio maestro e predecessore dall’accusa di aver sostenuto la generazione reale del cosmo56. Il

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Sulle differenti interpretazioni del racconto del Timeo, si vedano J. Pépin, Théologie cosmique et théologie chrétienne, Presses universiteires de France, Paris, 1964, pp. 86-100; P. Donini, Le scuole, l’anima, l’impero: la filosofia antica da Antioco a Plotino, Rosemberg & Sellier, Torino 1982, pp. 109-111; E. Berti, In principio era la meraviglia, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 3-40; Torchia, Creatio ex nihilo, cit., pp. 23-38; M. Baltes, Die Weltentstehung des Platonischen Timaios nach den antiken Interpreten, 2 voll. 1, Brill, Leiden 1976-1978;

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Cfr. De Cael. I, 10.

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diffondersi della lettura allegorizzante in pensatori quali Senocrate, Crantore di Soli e Eudoro di Alessandria, se da un lato rappresenta l’attuazione diretta di un intento apologetico ben definito, manifesta dall’altro i segni evidenti dell’accoglimento delle istanze aristoteliche circa l’eternità del mondo in seno alla tradizione platonica. Questo fenomeno di compenetrazione non deve però esser interpretato come l’indice di una mancanza di originalità, poiché tra i lettori del Timeo continuò a regnare una notevole varietà di interpretazioni. A tal proposito, è emblematico il caso di Calveno Tauro che, in un passo scritto a commento del Timeo e a noi tramandato da Giovanni Filopono, distingue ben quattro accezioni possibili della forma verbale “γέγονεν” impiegata da Platone57. L’interpretazione di Tauro ebbe una certa fortuna nell’ambito della scuola di Gaio, ed è forse proprio per la sua diffusione in tale ambiente intellettuale che essa potè influenzare due importanti pensatori quali Alcinoo e Apuleio.

Alcinoo58, presunto autore del Didaskalikos, aderì alla corrente principale della tradizione platonica, ossia quella che sosteneva la tesi dell’eternità del cosmo: secondo Alcinoo, Platone stesso, parlando dell’origine del cosmo, non avrebbe alluso all’esistenza di un tempo anteriore alla nascita dell’universo. Per questo motivo egli sostenne la necessità di offrire una lettura allegorizzante del γέγονεν di Timeo 27c. Alcinoo, tuttavia, operò il tentativo di coniugare la tesi dell’eternità del cosmo con quella della dipendenza dello stesso dall’azione di una causa esterna. L’universo infatti, essendo in uno stato di continuo mutamento59, deve essere considerato come vincolato a una qualche forma di dipendenza causale60. In conformità a queste ragioni, l’autore del Didaskalikos affermò la tesi dell’eterna generazione dell’universo da parte di una causa ingenerata. In questi passaggi è evidente come Alcinoo faccia ricorso al terzo e al quarto dei significati proposti nella tavola di Tauro in rapporto al termine γέγονεν, ossia rispettivamente “ciò che è sempre in un processo di generazione” e “ciò che dipende per il suo ordinamento da una causa esterna”.

Anche Apuleio, in modo particolare nelle pagine del De Platone et eius dogmate, intravide nel racconto del Timeo l’affermazione di una generazione eterna del cosmo. Il filosofo ateniese sarebbe ricorso all’idea di generazione non per indicare un tempo in cui il mondo non sarebbe esistito, ma, al contrario, in riferimento al fatto che la sostanza del

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Cfr. De aet. mun. 145, 13-ss.

58 La plausibilità dell’attribuzione del Didaskalikos ad Albino, invece che ad Alcinoo come attestato dalla tradizione manoscritta, è un dato che ha conosciuto un largo consenso da parte della storiografia moderna, ma che comunque è stato rimesso fortemente in discussione nel corso degli ultimi decenni. Per un quadro più dettagliato della questione rimandiamo a P. Moraux, Der Aristotelismus bei den Griechischen: von Andronikos bis Alexander von Aphrodisias, De Gruyter, Berlin-New York (tr. it. L’Aristotelismo presso i Greci, Vita e Pensiero, Milano 2000, vol. 2) pp. 15-19; Donini, Le scuole, l’anima, cit., p. 103 e p. 150, n. 13-17. Per uno stato della questione esauriente rimandiamo a J. Dillon, Introduction, in Alcinous, Didaskalikos, Translated with an Introduction and Commentary by J. Dillon, Clarendon Press, Oxford 1993, pp. IX-XIII.

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Cfr. Didask. xiv, 3.

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cosmo è composta di cose che hanno in sorte di nascere61. Apuleio giustifica la propria scelta di ricorrere ad una lettura di tipo allegorizzante riprendendo il primo significato di γεννήτος presente nell’elenco di Tauro, ossia quello di realtà “non di fatto creata, ma dello stesso genere delle cose che sono create”.

Accanto a questo filone interpretativo di tipo allegorizzante, si sviluppò tuttavia la convinzione che il racconto platonico dovesse essere inteso non discostandosi dalla lettera del testo. Questa posizione, che poi era la stessa già adottata da Aristotele, venne fatta propria da Plutarco di Cheronea e da Attico. Secondo la testimonianza offertaci da Proclo nel Commento al Timeo, entrambi gli autori avrebbero sostenuto la presenza in Platone della tesi della generazione del mondo, ritenendo che anteriormente a essa non vi fosse null’altro che il moto disordinato degli elementi, ricondotto in un secondo momento all’ordine per l’influsso razionale dell’intelletto demiurgico62.

Sappiamo che Plutarco riteneva l’ammissione della generazione del cosmo imprescindibile ai fini della salvaguardia di alcuni assunti centrali della speculazione platonica in rapporto all’anima, in particolare quello della sua anteriorità rispetto al corpo e quello del suo ruolo di causa del movimento. Proprio un’anima malvagia, infatti, avrebbe prodotto il moto disordinato degli elementi preesistenti alla generazione dell’universo.

La medesima convinzione venne avallata anche da Attico, il quale postulava, facendo leva principalmente non sul testo del Timeo ma su quello delle Leggi, l’esistenza di un’anima malvagia da cui far dipendere il moto disordinato degli elementi primordiali. Tuttavia, a differenza di Plutarco, Attico ritiene che, all’atto della generazione, l’anima cattiva fosse resa partecipe dell’intelligenza, divenendo così assennata e acquistando un moto ordinato e razionale.

La diffusione e l’importanza di cui godettero gli elementi concettuali impiegati nel dibattito riguardante l’origine del cosmo possono essere testate considerando l’utilizzo che ne viene fatto da parte di un autore spesso non chiamato in causa a tal proposito e sul quale Torchia richiama l’attenzione63. Si tratta di Saturnino Secondo Sallustio, vissuto nel IV secolo e autore di un’opera in lingua greca intitolata Περί θεῶν καὶ κόσμου, titolo che in latino suona De diis et mundo. Sallustio afferma innanzitutto che gli dèi possiedono una natura incorporea, buona, immutabile e che non può essere separata dalla Causa suprema, la quale a sua volta è massimamente potente e assolutamente buona64. Nella sfera del divino non regna però una perfetta uniformità, dal momento che al suo interno possono essere distinte due categorie di divinità, ossia rispettivamente quella degli dèi “ultra-mondani” e quella degli dèi “mondani”. Appartengono alla prima tipologia tre

61 Cfr. De Plat. dogm. I, 8, 198.

62

Cfr. In Plat. Tim. I 276-277, 381-382.

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Cfr. Torchia, Creatio ex nihilo, cit., pp. 28-30.

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gruppi distinti di divinità: quelle addette alla formazione degli dèi mondani, quelle che costituiscono l’intelligenza e quelle che danno vita all’anima. Riconducibili alla schiera degli dèi mondani che si occupano della creazione dell’universo sono invece quattro ulteriori gruppi di divinità: quelle che pongono in essere il cosmo, quelle che lo animano, quelle che ne armonizzano le diverse parti e quelle che tutelano tale condizione di equilibrio65.

Tali elementi, combinati con un’altra tesi sallustiana, quella del carattere ingenerato e incorruttibile del cosmo, conducono ad una vera e propria aporia. Come può infatti il mondo al contempo partecipare dell’eterna bontà divina ed essere creato dagli dèi mondani? Sallustio risponde a tale difficoltà facendo leva su una distinzione relativa al significato da attribuire al processo di creazione: tutto ciò che raggiunge l’essere può esser creato o mediante una capacità tecnica (τέχνη), o mediante un processo naturale (φύσει) o in virtù di una funzione (κατὰ δύναμιν)66. I primi due significati sono raggruppati e opposti al terzo. Il primo gruppo di significati prevede infatti l’instaurazione di un rapporto di successione tra soggetto e oggetto dell’azione creatrice. Il secondo invece si dispiega secondo una relazione di simultaneità, in modo che tra natura e funzione non possa verificarsi alcuna forma di dissociazione.

Partendo da questa distinzione concettuale, Sallustio si impegna nella risoluzione del dilemma sopra proposto. Se gli dèi avessero agito secondo le prime due tipologie creative previste da Sallustio, sarebbero incorsi in altrettante difficoltà, ossia rispettivamente in quella di poter agire solamente sulla forma del cosmo senza poterne causare l’esistenza e in quella di esser costretti a conferire all’universo uno statuto incorporeo. Ecco che l’unica alternativa capace di garantire il carattere eterno del mondo senza escludere una sua creazione da parte degli dèi rimane quella che prevede che questi ultimi lo abbiano costituito κατὰ δύναμιν67.

Sallustio dunque, in ultima istanza, si inscrive nella tradizione più consolidata del tardo Platonismo, quella cioè maggiormente aperta all’accoglimento della tesi aristotelica dell’eternità del cosmo. Mediante il concetto di creazione κατὰ δύναμιν egli, inoltre, sembra richiamarsi esplicitamente al terzo e al quarto significato del termine “creato” distinti nella tavola di Tauro, ossia “ciò che è sempre in un processo di generazione” e “ciò che dipende per il suo ordinamento da una causa esterna”.

65 Cfr. ivi VI. 66 Cfr. ivi XIII. 67 Ibid.

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