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2 L’ente creato

2.5 La dottrina del magis et minus esse

Ho preso sinora in considerazione una serie di vocaboli dotati di differente valore semantico, cercando di individuare in che maniera Agostino ricorra ad essi nella designazione degli esseri creati. A tal proposto, un dato ulteriore si impone alla riflessione sulla terminologia agostiniana. L’approfondimento dei caratteri che Agostino attribuisce alle realtà create - finitezza, circoscrizione e mutabilità spaziale e temporale – ha

113 Samek Lodovici, Dio e mondo, cit., p.203: «Si aggiunga, poi, che la mediazione storica di questa ulteriore trasformazione della substantia/cosa in substantia/sostrato è facile da individuare per Agostino. Basti pensare al fatto che uno dei massimi mediatori della logica greca nell’occidente latino era Mario Vittorino, che Agostino ben conosceva; e basti pensare che la prima definizione latina di substantia come sostrato si trova in un suo commento al De inventione di Cicerone, un’opera che faceva parte del curriculum studii di tutti per quell’epoca: substantia, porro, res est, quae aliis rebus subest capax accidentium qualitatum; deinde accidens est id, quod in substantiam cadit».

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trin. VII, v, 10 (CCL 50, p. 260, cl-xiii): «[…] si tamen dignum est ut deus dicatur subsistere? De his enim rebus recte intellegitur in quibus subiectis sunt ea quae in aliquo subiecto esse dicuntur sicut color aut forma in corpore. Corpus enim subsistit et ideo substantia est; illa vero in subsistente atque in subiecto corpore, quae non substantiae sunt sed in substantia; et ideo si esse desinat uel ille color uel illa forma, non adimunt corpori corpus esse quia non hoc est ei esse quod illam uel illam formam coloremue retinere. Res ergo mutabiles neque simplices proprie dicuntur substantiae. Deus autem si subsistit ut substantia proprie dici possit, inest in eo aliquid tamquam in subiecto, et non est simplex cui hoc sit esse quod illi est quidquid aliquid de illo ad illum dicitur sicut magnus, omnipotens, bonus, et si quid huiusmodi de deo non incongrue dicitur».

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evidenziato un costante riferimento a un Summum Esse, nella cui essentia queste forme di limitazione si rivelano totalmente assenti e ritrovano la propria ragion d’essere. È emerso inoltre come le singole creature non possiedano l’esse grazie a cui si costituiscono in forma piena e stabile, ma, al contrario, unicamente in modo parziale e soggetto a variazione. Questa peculiare condizione di contingenza è sottolineata da Agostino mediante il riferimento all’ambito ontologico del non-essere.

Il concetto di non-essere comapare compiutamente nell’orizzonte della filosofia occidentale solamente a partire dalla riflessione di Parmenide115. Nella speculazione dell’Eleate, tale nozione possiede una valenza priva di risvolto positivo poiché, limitandosi a circoscrivere la sfera dell’Essere mediante l’esclusione delle realtà sensibili e transeunti, svolge unicamente la funzione legata alla preservazione del carattere normativo dell’atto pensante. Viatico per giungere alla soglia della comprensione intellettuale dell’autentica realtà, il concetto parmenideo di non-essere non varca tale soglia, perdendo, insieme alla propria utilità, la propria sussistenza116.

Contrariamente a questo tipo di impostazione, Agostino crea le condizioni perché il non-essere possa fare il proprio ingresso nella sfera della comprensione intellettuale vera e propria, divenendo un elemento concettuale attivo a tutti gli effetti. Il non-essere agostiniano, infatti, non possiede una consistenza marginale e finalizzata unicamente ad accompagnare la riflessione pensante in prossimità dell’Essere, per poi defilarsi senza indugio; al contrario, esso diviene, secondo una modalità di pensiero che affonda le proprie radici nel terreno della filosofia platonica, strutturalmente inerente alle realtà finite, che ricevono l’essere mediante il dispiegamento dell’atto creatore117.

L’ineliminabile nesso che lega gli esseri creati alla dimensione del non-essere palesa la propria importanza a proprio partire dalla considerazione dalle caratteristiche che caratterizzano la struttura entitativa. Se infatti, da un lato, finitezza e mutabilità inducono

115 Per un confronto tra il pensiero di Parmenide e quello di Agostino in relazione alle nozioni di “essere” e “non-essere”: cfr. Dubarle, “Essai sur l’ontologie”, cit., pp. 243-250.

116 Ivi, p. 248: «Seulement le caractère très particulier de ce concept est que, finalement, il doit s’évanouir au moment de l’entrée dans la compréhension intellectuelle, une fois rempli son rôle d’instrument de la conduction à celle-ci. A ce niveau le terme «néant» et l’espèce d’intellection qu’il porte à l’expression disparaissent, abolis en quelque sorte, et leur virtualité résorbée dans l’acte intellectuel de la compréhension. Forclos donc par la compréhension elle-même, le concept du néant ne subsiste plus, au terme de celle-ci, que par le traces ambiguës et allusives de la reconsidération réfléchissant après coup et du discours qu’elle produit alors, en procédant à l’«ontographie descriptive» parménidienne faisant suite au dire «ESTIN», déploiement de pensée et parler fidèles-fiables qui circonscrivent la vérité, tels qu’ils l’actualisent dans la première partie, jusqu’au vers quarante-neuvième inclus, du fragment huitième».

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Ivi, pp. 248-49: «Ce qui, par contre, apparaît avec saint Augustin, c’est que le concept du néant doit se réintroduire dans la compréhension elle-même, à ce niveau second, mais dorénavant essentiel une fois qu’il s’est explicité, de la perception de la différence ontique. Le concept se réintroduit alors non plus comme simple moyen d’énonciations normatives de l’acte pensant, ni non plus comme simple instrument opératoire de la réflexion se conduisant à la compréhension, mais bien comme élément conceptuel organisateur de la compréhension […] Il y a chez saint Augustin l’idée, qui, non sans quelque déplacement et transpositions, lui vient en dernier ressort de Platon, d’une adhérence ontique du fini au néant d’où il est tiré par l’acte créateur».

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a volgere lo sguardo verso quella realtà che sommamente è, verso l’Esse immutabile, privo di limitazioni spaziali e non soggetto al divenire temporale, dall’altro lato, proprio dal paragone che si istituisce tra questi ambiti ontologici emerge il fatto che le realtà create godono dell’essere, ma solamente “in qualche modo”, non pienamente.

Questo equivale per Agostino a dire che tutte le cose poste al di sotto di Dio, al quale solamente spetta di essere assolutamente, se paragonate a Lui, non-sono118. Esprimendosi in questo modo, Agostino non intende suggerire un annullamento dell’esistenza degli enti, dal momento che, in maniera incisiva, egli afferma che le realtà create, pur non esistendo del tutto (nec omnino esse), neppure del tutto non esistono (nec omnino non esse)119.

Il riferimento del creato alle due sfere antitetiche dell’Essere sommo e del non-essere, indice del carattere profondamente dialettico della metafisica agostiniana120, si articola mediante una serie di formulazioni che danno vita alla nota dottrina del magis et minus esse della sostanza o degli enti. Tale philosophoumenon, come ben mostra Samek Lodovici121, trova il proprio corrispondente greco nell’ἣττων καὶ μᾶλλον platonico, plotiniano e porfiriano ed è animato da un marcato intento de- e anti-sostantificante tipico di una speculazione relazionale di ispirazione neoplatonica. Si tratta ora di comprendere il significato di questa dottrina, per acquisire un ulteriore dato concernente le modalità con cui Agostino caratterizza gli esseri creati.

In primo luogo, affermare l’esitenza di una duplice declinazione, crescente e decrescente, dell’esse degli enti significa postulare una gerarchia ontologica strutturata secondo una gradazione dei livelli di realtà delle sostanze. L’universo agostiniano, in riferimento a tale ordine gerarchico, si dispone e si concretizza secondo una modalità di tipo scalare nei suoi differenti aspetti, gnoseologico, ontologico e assiologico. Agostino prende in questo modo le distanze da un principio fondamentale della visione sostanzialistica di tipo aristotelico espresso in alcuni brani delle Categorie122, quello cioè in base al quale, tra le sostanze prime, nessuna sostanza lo sarebbe maggiormente rispetto a un’altra123. Tuttavia, arrestandosi a questo punto, non si sarebbe raggiunto nessun significativo guadagno rispetto alle considerazioni precedentemente svolte

118 conf. XI, iv, 6 (CCL 27, pp. 197, viii-x): «Nec ita pulchra sunt nec ita bona sunt nec ita sunt, sicut tu conditor eorum, quo comparato nec pulchra sunt nec bona sunt nec sunt»; cfr. en. Ps. CI,ii,10; en. Ps. CXXXIV,iv.

119 conf. VII, xi, 17 (CCL 27, p. 104, i-iv): «Et inspexi cetera infra te et uidi nec omnino esse nec omnino non esse: esse quidem, quoniam abs te sunt, non esse autem, quoniam id quod es non sunt. Id enim uere est, quod incommutabiliter manet».

120 Zum Brunn, “Le dilemme”, cit., p. 9: «Une telle métaphysique est dialectique jusque dans son analyse du créé, sans cesse référé aux deux termes antithétiques dont il provient et entre lesquels il se situe: l’Etre et le néant absolus».

121 Cfr. Samek Lodovici, Relazione, causa, spazio, cit., pp. 207-217.

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Cfr. Aristote, Catégories, texte établi et traduit par R. Bodéus, (Collection des universités de France; sér. Grecque, vol. 415), Les Belles Lettres, Paris 2001.

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riguardo alla natura gerarchica dell’universo agostiniano e non si sarebbe colta a pieno la spinta anti-reificante di una simile visione.

Si deve quindi evidenziare un secondo elemento. Agostino trasferisce la gradualità strutturale inerente alla disposizione sincronica dell’insieme delle sostanze all’interno della costituzione e dello sviluppo diacronico della singola sostanza. In questo senso, il magis ed il minus vengono concepiti in base alla prossimità o alla lontananza, che, nel corso della sua parabola esistenziale, gli enti maturano in riferimento in primo luogo al massimo grado della sostanza, Dio, e, in secondo luogo e in maniera proporzionalmente inversa, al polo ontologico opposto, quello del non-essere. La singola sostanza possiede in questo senso un magis e un minus in misura variabile, poiché variabile è la sua collocazione sul piano ontologico. Agostino non concepisce la sosanza come un subiectum permanente al di sotto del mutamento, bensì come realtà in movimento, che è ora magis, ora minus. Così facendo, egli scalfisce un altro caposaldo della concezione aristotelica della sostanza, cioè quello secondo cui, a differenza di quanto avviene sul piano qualitativo, non sarebbe lasciato alcun posto per il verificarsi di variazioni di tipo entitativo124.

Una volta rinvenuto questo duplice ordine di mobilità degli enti, sincronico in senso reciproco e diacronico per quanto riguarda la loro strutturazione singolare, si tratta di individuare il principio che lo rende possibile. Quest’ultimo deve essere ricercato nel processo di trasmissione della forma, attraverso una complessa scala di livelli, a partire dal grado sommo della Forma incommutabile125. Sotto l’aspetto della distribuzione sincronica degli esseri, in definitiva, un ente ha l’essere in misura maggiore (magis est) o minore (minus est) rispetto a un altro, in conformità al grado di prossimità ontologica alla Forma. “Vicinanza” e “lontananza” non sono intese quali indicazioni spaziali, ma denotano la dignità ontologica delle distinte realtà, come appare evidente nel caso del binomio anima-corpus.

Se infatti la cifra costitutiva del corpo non risiede nella massa (in mole), ma nella forma che esso possiede (in specie), a maggior ragione il medesimo discorso riguarderà l’anima, in quanto maggiormente prossima al sommo grado della Forma e perciò collocabile a un livello superiore126.

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Cfr. ivi 5, 3 b, 39 ss. .

125 Samek Lodovici, Relazione, causa, spazio, p. 210: «Il presupposto fondamentale per capire questa graduazione ontologica, sia in senso sincronico (degli enti gli uni rispetto agli altri) che diacronico (all’interno della struttura e della vicenda di ogni singolo ente), è il principio che la forma, trasmessa attraverso i vari livelli, e grazie ai livelli stessi, a partire dalla Forma incommutabile, è il motore centrale di ogni decremento o incremento. In altri termini, il magis e il minus dell’ente si spiegano in modo direttamente proporzionale alla partecipazione (o rispettivamente minor partecipazione) alla forma; partecipare alla forma significa partecipare alla permanenza e alla potenza».

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Ibid.: «Pertanto il corpo, ogni corpo, è quello che è nella misura in cui partecipa alla forma; partecipare all’essere significa partecipare alla forma, e la prossimità alla forma rende ragione del maggior livello di essere di un grado rispetto all’altro; l’anima, per esempio, è tanto melior, tanto più entitativa del

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Considerando l’oscillazione diacronica dei singoli enti, il principio della partecipazione alla forma deve essere compreso a partire dall’essere inamissibilis della forma stessa. Questo significa, in parole più semplici, che ogni ente, sia esso corporeo o spirituale, è legato alla forma da un legame strutturale tale che, pur essendo soggetto a mutamenti di intensità, non viene mai meno127. La presenza della forma possiede quindi uno spettro di oscillazione capace di determinare nelle opposte direzioni lo statuto ontologico degli enti. Agli enti, tuttavia, è precluso sia il possesso della totalità della Forma sia il raggiungimento di uno stato caratterizzato dalla sua assoluta assenza128. Questo appunto è il cuore della dottrina del magis et minus esse della sostanza.

L’intero universo creato è quindi coinvolto nel costante processo di variazione determinato dal mutare del grado di presenza eidetica, ma lo è in maniera differente secondo le diverse realtà che lo compongono. L’oscillazione che riguarda la sfera dei corpi, ad esempio, costituisce una forma di mutamento strettamente collegata a quella che si attua al livello superiore dell’anima129. Tuttavia, nonostante si tratti di una variazione di carattere “derivato”, essa possiede a tutti gli effetti una valenza entitativa, che la rende influente in rapporto alla stabilità sostanziale della realtà corporea130. Per questo motivo, Agostino può far ricorso ad espressioni quali inclinari, labere in minus, magis magisque vivere, vergere ad nihilum, minus vigere et minus valere, nihilo propinquare, moveturque et labitur in minus et minus131.

L’analoga esperienza che vede coinvolta l’anima possiede una rilevanza superiore: essa infatti è la protagonista di un processo di miglioramento e di indebolimento

corpo, quanto propinquor, quanto più è vicina, non in termini spaziali, ma per la dignità della natura, a quella Somma Essenza da cui discende la forma».

127 Cfr. lib. arb. II, xvii, 46; imm. an. vii, 12. A tal proposito: Zum Brunn, "Le dilemme", cit., pp. 45-47.

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Samek Lodovici, Relazione, causa, spazio, cit., p. 211: «Non solo cioè ogni essere è formabilis, legato a un rapporto intrinseco con la Forma senza la quale cadrebbe nel vuoto, ma questo suo rapporto con la forma è tale che la presenza della forma in lui non può totalmente svanire. In quel “non totalmente” è presente la possibilità di una variazione. La variazione ontologica, in altri termini, è deducibile dalla dottrina di questa presenza eidetica inamissibile ma non in diminuibile che accompagna in misura maggiore o minore la vicenda dell’ente. La creatura si trova, così, ad oscillare tra una continua possibilità di potenziamento, di maggior stabilità e intensità sostanziale e il continuo pericolo di una distanza, di una deficienza, di una privazione di essere. Senza mai, però, che questa presenza della forma arrivi al punto di ridursi ad un grado zero; che si tratti dell’anima o che si tratti del corpo ( e, si badi bene, di qualunque tipo di corpo) rimarrà sempre un aliquid formae».

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A proposito dell’esplicazione della superiorità dell’anima sul corpo affiancata dalla dimostrazione, mediante i concetti di appetitus e di coactio, della conseguente impossibilità di una trasformazione della prima nel secondo in imm. an. XIII, xx-xxii.

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mus.VI, v, 13: «Oportet enim anima et regi a superiore et regere inferiorem. Superior illa solus Deus est, inferius illa solum corpus, si ad omnem et totam animam intendas. […] Quare intenta in Dominum intelligit aeterna eius, et magis est, magisque est etiam ipse servus in suo genere per illam. Neglecto autem Domino intenta in servum carnali qua ducitur concupiscentia, sentit motos suos quos illi exibet, et minus est: nec tamen tantum minus, quantum ipse servus, etiam cum maxime est in natura propria. Hoc autem delicto dominae multo minus est quam erat, cum illa ante delictum magis esset». Cfr. Aurelius Augustinus, De musica liber VI. A Critical Edition with a Translation and an Introduction by M. Jacobsson (SLS, XLVII), Almquist & Wiksell international, Stockholm 2002, p. 34, iv-vi; viii-xiv.

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ontologico direttamente corrispondente all’incremento e al decremento del proprio grado di moralità. Nel momento in cui si dimostra consenziente nei confronti del male (consentire malo), l’anima sperimenta una diminuzione del grado di essere (minus esse) e di valore (minus valere) rispetto a quello posseduto nel frangente in cui dimorava salda nella virtù (in virtute consistere)132. Viceversa, se volge il proprio desiderio alla felicità (voluntas beatitudinis), per ciò stesso essa indirizza sempre più il proprio volere all’essere (magis magisque esse velle) e, avvicinandosi ad esso (ei quod summe est propinquare), vede aumentare il proprio statuto ontologico133.

Il fattore che conferisce un maggior grado di originarietà alla dinamica ontologica dell’anima rispetto a quella del corpo è quindi questo suo riallacciarsi alla dimensione della moralità e, in ultima analisi, a quella della scelta volontaria134: è proprio la beatitudinis voluntas che traccia la linea di demarcazione che separa le realtà corporee da quelle spirituali e che determina perciò la parabola che l’anima umana percorre tra i poli dell’Essere e del non-essere135. Anche in questo caso, come accaduto in riferimento alle realtà corporee, il vocabolario di Agostino possiede una “semantica dell’esse” estremamente duttile e capace di adattarsi alla natura processuale dell’oggetto che intende designare, ossia il dinamismo ontologico dell’anima. Se si volge all’Essere, l’anima “è in grado maggiore” (magis esse, magis magisque esse), “possiede l’Essere stesso” (obtinere ipsum esse), in quest’ultimo trova la propria costituzione (constitui) e solidità (solidificari), e sempre in quest’ultimo perviene a un rinnovamento (restaurari) e a una nuova forma (reformari).

Viceversa, nel momento in cui viene ad essere sovvertito questo corretto orientamento ontologico, l’anima “è in misura minore” (minus esse), “partecipa in misura inferiore dell’Essere sommo” (idipsum esse minus habere), “è afflitta da una mancanza” (defici), “tende verso il non-essere (tendere ad nihilum), “si annulla” (inanescere)136.

132 c. Sec. 15: «Tanto utique deterior, quanto ab eo, quod summe est, ad id, quod minus est, uergit, ut etiam ipsa minus est». Cfr. Sancti Aurelii Augustini Contra Secundinum liber, in Sancti Aurelii Augustini Opera, sect. VI, pars II: Contra Felicem, De natura boni, Epistula Secundini, Contra Secundinum, Evodii de fide contra Manichaeos, Commonitorium Augustini quod fertur, recensuit J. Zycha (CSEL 25/2, p. 927, xv-xvii), Hoeplius, Vindobonae 1892, pp. 905-947.

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lib. arb. III, vii, 21: «Si uis itaque miseriam fugere, ama in te hoc ipsum, quia esse uis. Si enim magis magisque esse uolueris, ei quod summe est propinquabis; et gratias age nunc quia es». Cfr. Sancti Aurelii Augustini De libero arbitrio, in Sancti Aurelii Augustini Opera, pars II,2: Contra Academicos, De beata vita, De ordine, De magistro, De libero arbitrio, cura et studio W. M. Green et K. D. Daur (CCL 29, p. 287, xx-xxii), Typography Brepols editores pontificii, Turnholti 1970, pp. 205-321.

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Samek Lodovici, Relazione, causa, spazio, cit., p. 213: «L’aspetto più importante, che distingue il caso dell’anima da quello delle cose, è che per lei il magis e il minus esse sono il risultato di una scelta volontaria»; Zum Brunn, “Le dilemme”, cit., p. 9: «Cette suspension entre deux contraires prend un sens dramatique lorsq’il s’agit de la créature spirituelle, maîtresse, souvent sans le comprendre, de son propre destin. Car il tient à elle de se fixer dans l’Etre ou dans un état proche du néant, selon qu’elle ratifie ou non le «vouloir-être» (esse velle) inscrit en elle, c’est-à-dire le désir d’une participation a l’Etre plus élevée que celle qui est la sienne du simple fait de son existence».

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Cfr. Zum Brunn, “Le dilemme”, cit., pp. 50-54.

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