• Non ci sono risultati.

L’identità etnica come categoria emica tra razza e cultura

Nel documento Identità battesimale (pagine 151-153)

L’identità etnica

FABIO MACIOCE

2. L’identità etnica come categoria emica tra razza e cultura

Nella percezione comune, l’identità etnica ha a che fare - seppure in modo non ben chiaro e definito - tanto con la cultura quanto con la razza. Sembra in- somma un concetto piuttosto elastico, che si presenta di volta in volta sotto la pro- spettiva della comune discendenza e appartenenza ad un gruppo con determinati tratti somatici, caratteristiche fisiche, e così via, o sotto la prospettiva della comune cultura, di tradizioni condivise, di prassi comuni.

Tale ambiguità non è del tutto superabile, anche perché i concetti di razza e cultura, ai quali si dovrebbe in ipotesi far riferimento per definire l’identità etnica, sono a loro volta ambigui e difficilmente definibili con precisione.

Che il concetto di razza sia altamente problematico è un dato, oggi, acqui- sito. Non vi è dubbio infatti che, da un punto di vista genetico, la suddivisione

dell’umanità in razze sia praticamente improponibile, esistendo tante varianti ge- netiche all’interno di un medesimo, presunto gruppo razziale, quante ve ne sono tra un gruppo e l’altro (Cavalli-Sforza et al., 1994); è insomma scientificamente screditata la pretesa di suddividere l’umanità in gruppi sulla base di tratti gene- tici ereditari e omogenei. Stando così le cose, è evidente che il concetto di razza è - laddove utilizzato - fondato su basi culturali, ovvero sull’idea che l’identità di ciascuno sia in qualche modo collegata ad un’eredità ricevuta dai suoi antenati; e poiché anche il concetto di etnia tende a veicolare l’idea di una comune discenden- za da antenati comuni - dell’appartenenza ad una comune famiglia - i due concetti tendono a sovrapporsi.

Tale somiglianza è tuttavia altamente problematica. Se si osservano più da vicino alcuni fenomeni ci si rende conto che il rapporto tra etnia e razza non è così lineare, e non si esaurisce nell’essere due formulazioni, su basi differenti, della medesima idea di una comune discendenza. Ad esempio, è certamente vero che il conflitto nella ex Iugoslavia, o quello altrettanto atroce in Rwanda, hanno avuto una connotazione etnica, fortemente rivendicata dai gruppi in essi coinvolti, ma altrettanto certamente nessuno dei due poteva essere descritto in termini di con- flitti razziali. Per converso, è possibile che gruppi con caratteristiche fisiologiche simili siano “etnicizzati”, realizzando così una sorta di sovrapposizione tra aspetti naturali e aspetti culturali dell’identità: si pensi, in proposito, ai concetti di Afri- can-American, o Latinos, che vengono utilizzati nell’idea di qualificare sul piano etnico (ovvero attribuire comuni atteggiamenti, valori, pretese) gruppi di persone accomunate da una comune origine (e dunque, in tesi, da una comune appartenen- za razziale) (Hylland Eriksen 2004: 7).

Non minori difficoltà si incontrano quando si voglia dare dell’identità etni- ca una connotazione puramente culturale. Gli europei condividono, da molteplici punti di vista, una medesima cultura, ma difficilmente potrebbero essere classi- ficati come un gruppo etnico. Così come i Latinos e gli Afro-Americani, che ne- gli USA vengono classificati come un gruppo etnico unitario, fanno riferimento a culture che difficilmente si riconoscerebbero reciprocamente riducibili le une alle altre. E tuttavia, anche in tal caso, qualche vicinanza tra i due concetti è ben pre- sente, se non altro nella misura in cui i gruppi etnici che richiedono qualche forma di riconoscimento, e qualche forma di tutela giuridica, sottolineano la necessità di tale tutela proprio per garantire il loro comune patrimonio culturale, le loro tradi- zioni culturali, ed il loro diritto alla differenza culturale.

Ora, effettivamente l’identità etnica è allo stesso tempo qualcosa di diverso, e qualcosa di simile, dall’identità culturale e dalla razza. E ciò è possibile perché l’identità etnica fa riferimento ad una appartenenza e ad una dimensione relazio- nale al tempo stesso.

Più precisamente, l’etnia è interpretabile come una categoria emica di ascri- zione, che diviene rilevante qualora un gruppo entri in relazione con un altro dal quale intende distinguersi. L’etnia diventa un elemento dell’identità quando un gruppo entra in rapporto con un altro, e quando i membri di ciascun gruppo

percepiscono dall’interno (cioè, dal loro punto di vista) una differenza rilevante con l’altro gruppo. Per tale ragione l’etnia è una categoria emica, perché non fa riferimento a dati oggettivamente rilevanti e percepibili mediante un’osservazione dall’esterno o un’analisi scientifica, ma fa riferimento a dati che divengono rilevanti e oggettivabili nella misura in cui così sono percepiti da coloro che, dall’interno di ciascun gruppo, ad essi fanno riferimento. E tali dati possono essere, di volta in volta, prettamente culturali, o prettamente razziali (comunque si intenda questo termine), o un misto di entrambi gli elementi.

Così, l’identità Hutu o Tutsi, o quella Serba e Croata, non sono fondate su caratteristiche di per sé rilevanti; ma tali caratteristiche, quali che siano, diventano rilevanti nel momento in cui i membri di ciascun gruppo percepiscono l’importan- za della differenza, e ne fanno un tratto identitario. Per tale ragione, come ho detto, l’etnia è una caratteristica relazionale (cioè rilevante solo se e fintanto che serve a marcare la differenza con gli altri) e emica (cioè fondata su elementi rilevanti per chi vi fa riferimento, e che lo diventano oggettivamente in virtù di tale rilevanza interna) (Hylland Eriksen 2004:16). In questo senso è certamente un dato sociale, culturale, parzialmente fittizio (Yelvington, 1991: 168), ma che non di meno di- venta reale nel momento in cui costituisce il tratto distintivo tra due gruppi che entrano in relazione cercando di mantenere le rispettive differenze. E quando ciò avviene, il mantenimento della differenza, ovvero la difesa dell’identità etnica, può produrre comportamenti tutt’altro che fittizi, che vanno dall’incoraggiamento dell’endogamia (si pensi al proverbio: “moglie e buoi dei paesi tuoi”) alla difesa di tradizioni che diventano rilevanti quanto più si vuole sottolineare la propria ap- partenenza differenziale (è il caso delle seconde o terze generazioni di immigrati, che riscoprono tradizioni spesso trascurate dai loro genitori), dalla rivendicazione di diritti di gruppo (relativi alla lingua, ad usi alimentari, all’abbigliamento, a pra- tiche rituali, alla celebrazione di festività specifiche), alla separazione territoriale (sia come rivendicazione di una ancestrale proprietà di determinati territori, come nel caso degli aborigeni o altri comunità native, sia in senso autonomistico, come nel caso dei baschi o dei catalani in Spagna, e dei Tirolesi in Italia), fino a ipotesi estreme, ma non rare, di guerra e pulizia etnica.

Nel documento Identità battesimale (pagine 151-153)