LEONARDO NEPI
Nel linguaggio comune la persona “sadica” è quella che si comporta in ma- niera crudele verso gli altri, cercando di umiliarli gratuitamente nelle relazioni sociali, familiari e lavorative. Al di là di questo significato comune, il sadismo è annoverato tra le parafilie, cioè le perversioni sessuali causate da impulsi intensi e ricorrenti: in questo caso, il sadico trae piacere sessuale dall’infliggere umiliazioni e sofferenze agli altri e questa tendenza può essere all’origine di atti di aggressione sessuale. Se, infatti, il corpo dell’altro è visto come mero oggetto di piacere, senza alcun riguardo per la dignità della persona di cui il corpo stesso è parte essenziale, il rischio che si corre è quello di utilizzare l’altro come strumento e non come fine, trascurandone quindi il valore-persona per assecondare il proprio desiderio.
Caratteristica dell’atteggiamento sadico sembra quindi essere l’oggettualiz-
zazione, intesa come riduzione dell’altro ad oggetto, privato quindi della sua digni-
tà e della sua autonomia. Il concetto di oggettualizzazione è stato proposto soprat- tutto dalle teorie femministe (MacKinnon, 1987) per indicare la negazione dell’e- spressione autonoma delle donne, ma analogamente può essere esteso ad ogni re- lazione interpersonale di assoggettamento. Il sadismo è allora interpretabile come una forma malata di individualismo possessivo, nel quale il rapporto con il corpo dell’altro è vissuto come forma di dominio perverso, in quanto possesso orientato all’abuso e alla prevaricazione. Perversa è anche la forma di comunicazione che si instaura tra il sadico e la sua vittima, poiché le atroci sofferenze dell’altro non attivano sentimenti di compassione e solidarietà, quanto piuttosto sensazioni di piacere e soddisfazione. Luigi Lombardi Vallauri, in un saggio del 1976, indivi- duava il fondamento teoretico del sadismo nello “scientismo materialista”, inteso come riduzione del corpo umano a materia plasmabile e, in definitiva, a prodotto. Questo comporterebbe l’impossibilità di pensare l’essere umano come persona, in tutta la sua valenza ontologica e normativa, aprendo la strada a forme sadiche di manipolazione dell’umano fondate su un indifferentismo naturalistico puro (p. 59) e quindi sul mancato riconoscimento dell’altrui dignità trascendente.
Paradossalmente, Martha Nussbaum (2014) afferma che in un contesto di parità, rispetto e consenso, l’oggettualizzazione può non essere così problemati- ca, o comunque non necessariamente riconducibile ad un comportamento sadico: l’inerzia della persona-oggetto non è infatti condizione necessaria per rendere la
persona stessa strumentale e priva di autonomia. Il punto fondamentale della que- stione, secondo Nussbaum, non risiede nel fatto che si debba essere trattati come soggetti piuttosto che come oggetti, ma nel fatto che si debba essere trattati kan- tianamente come un fine in sé. Se, tuttavia, è vero che l’utilizzo strumentale delle persone le spoglia dell’autonomia, esponendole al rischio di abusi, l’oggettualizza- zione può essere giustificata dal principio di reciprocità.
Nussbaum fa esplicito riferimento a Kant, il quale, riflettendo su sessua- lità e matrimonio, afferma che il desiderio sessuale è una pulsione molto inten- sa, che può portare a trattare l’altro non come un fine in sé, ma come strumento per raggiungere il soddisfacimento del proprio desiderio. Per poter configurare come moralmente e giuridicamente legittimo questo comportamento, Kant pone l’accento sulla reciprocità di tale “oggettualizzazione”, sul fatto cioè che ambedue le parti del rapporto sessuale giungano a trattarsi reciprocamente come mezzi e non come fini. Tale reciprocità, che legittima questa forma di strumentalizzazione dell’altro, verrebbe compiutamente realizzata soltanto nel matrimonio, un istituto che garantirebbe reciproco rispetto tra i coniugi. Ed è proprio partendo da questi autorevoli presupposti kantiani che Martha Nussbaum arriva ad affermare che “in molti casi, se non in tutti, la differenza fra un uso deprecabile e uno benigno dell’oggettualizzazione dipenderà dal contesto globale della relazione umana in questione”. Seguendo gli sviluppi della cultura contemporanea, il contesto che le- gittima l’oggettualizzazione per Nussbaum non è soltanto quello coniugale, ma qualsiasi relazione caratterizzata da mutua fiducia, rispetto e considerazione.
Se, quindi, non è l’oggettualizzazione la caratteristica fondamentale del comportamento sadico, questa può essere individuata nella inflizione del dolore e nel piacere che da questa inflizione scaturisce. Anche in questo caso occorrono delle precisazioni, perché non sempre il dolore è un criterio attendibile per giudi- care come illegittimo un rapporto. Il dolore entro certi limiti può apparire idoneo ad attivare una relazione erotica soddisfacente sia per chi lo procura, sia per chi lo subisce. Esiste infatti una relazione tra potenza e desiderio, che in certi casi può portare una delle parti della relazione ad attivare stimoli sessuali con azioni che apparentemente appaiono sopraffazioni, ma che in realtà sono gradite al partner nel contesto erotico. La percezione del dolore, attraverso la stimolazione dei sensi, genera emozioni che possono invitare al rapporto sessuale, senza per questo dege- nerare in comportamenti patologici (Scruton, 1986).
A ben vedere, il sadico riesce a trovare una soddisfazione quando suscita una reazione di sofferenza nell’altro, che quindi non può essere concepito mera- mente come oggetto, ma deve essere consapevole vittima delle crudeltà che ven- gono inflitte. Nell’infliggere dolore, il sadico è bramoso di riconoscimento ed as- soggettamento, che non possono essere ottenuti da un oggetto: per questo si tratta di una perversione che si realizza nell’ambito di una relazione intersoggettiva. Il ruolo del sadico non è quindi quello di dominio assoluto sul corpo-oggetto della vittima, ma si inserisce in una relazione con un altro soggetto.
prendere in considerazione nella definizione dell’identità sadica: la Natura a cui il sadico fa riferimento, la quale non soltanto è indifferente, ma è malvagia, al punto tale da strumentalizzare il sadico stesso. Laddove la Natura sia concepita come matrigna e la legge naturale come imperativo volto all’annichilimento dell’altro, l’atto sadico è infatti governato da una legge superiore e trascendente, un’etica per- versa che impone di infliggere sofferenze e di punire. Come hanno ben evidenzia- to studi psicanalitici (Benvenuto, 2005), il sadico si fa allora strumento di un ordine naturale ingiusto e crudele, senza per questo aver alcun risentimento personale nei confronti della vittima, ma seguendo la legge naturale della perversione. La prospettiva di padronanza e di dominio, apparentemente propria dell’identità sa- dica, inizia quindi a sfumare in nome di un (dis)ordine superiore, al quale il sadico stesso si assoggetta.
C’è inoltre la possibilità che il gesto di sottomissione alla legge perversa sia consapevole e volontario, da parte di una persona che prova a sua volta piacere nell’essere maltrattato ed umiliato in quanto masochista. La relazione sadomaso- chista è infatti una relazione tra soggetti consenzienti e consapevoli, nella quale la “vittima” desidera soffrire, perché riconosce nel dolore un messaggio erotico che comunica interesse nei suoi confronti. Nel dichiararsi schiavo del suo padrone, il masochista non gode della soddisfazione del desiderio del sadico, ma soltanto del sentirsi esso stesso schiavo. Paradossalmente la relazione si capovolge ed è il masochista a strumentalizzare il sadico per il perseguimento del proprio piacere. Il masochista non è allora una vittima passiva, ma il soggetto attivo della sofferenza e, in quanto tale, ha una certa padronanza nel rapporto con il sadico.
Per questo l’identità sadica, apparentemente semplice da definire, risulta ben più problematica di quanto si possa immaginare. Ciò che caratterizza l’atteg- giamento sadico è la perdurante necessità di assoggettare ed umiliare l’altro, sen- za tenere in debita considerazione la volontà dell’altra persona, che tuttavia nel masochista è una volontà consenziente. Questo non impedisce al sadico di farsi strumento di una legge perversa, in quanto finalizzata alla distruzione, né ad altri di strumentalizzare il sadico stesso, il quale si espone quindi al rischio di perdere la padronanza sugli altri e su di sé; ma, soprattutto, perde la possibilità di provare il piacere di una relazione autentica.
Bibliografia
Benvenuto, Sergio. 2005. Perversioni. Sessualità, etica, psicoanalisi. Torino: Bollati Boringhieri. Lombardi Vallauri, Luigi. 1976. Abortismo libertario e sadismo. Milano: Scotti Camuzzi.
MacKinnon, Catharine. 1987. Feminism Unmodified. Cambridge (MA): Harvard University Press. Nussbaum, Martha C. 2014. Persona Oggetto (1995). Trento: Erickson.